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Leibniz e la definizione di «vivente»

Leibniz e Stahl: una polemica su cosa sia il «vivente» nella Germania del Settecento tra vitalismo e meccanicismo
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Che cosa intendiamo quando utilizziamo l’espressione «essere vivente»? Una domanda non banale per la filosofia, ma importante anche per chi studia la vita con il metodo scientifico, come ci ricordano le difficoltà che si incontrano nel tentativo di classificare i viventi (per saperne di più, si può andare a questo articolo sui regni dei viventi e al nostro speciale sulla tassonomia). A puntare l’attenzione a questo aspetto basilare della ricerca in biologia è la recente stampa in italiano di un opera meno nota del filosofo e matematico Gottfried Wilhelm Leibniz, le Obiezioni contro la teoria medica di Georg Ernst Stahl di cui si è occupato anche Armando Torno sul Corriere della Sera di qualche settimana fa.

Gottfried Wilhelm Lebniz in un ritratto del 1700 (Immagine: Wikimedia Commons)

La querelle intellettuale
Siamo nel 1708 quando Georg Ernst Stahl, professore di medicina dell’Università di Halle in Germania, dà alle stampe un testo dal titolo Theoria medica vera. Il testo circola ampiamente, dando modo al suo autore di consolidare la propria fama di medico di spicco. Il libro capita anche nelle mani del filoso Leibniz, cui sfuggivano poche novità librarie e intellettuali. Lo legge e rimane interdetto da quelle che ritiene posizioni oramai superate dalle conoscenze dell’epoca. In particolare, non si trova d’accordo sulle posizioni vitalistiche professate da Stahl, secondo le quali gli organismi viventi sarebbero animati da una forza spirituale indipendente dall’aspetto materiale e biologico ad esso legato: un’idea di anima, di spirito come causa del comportamento degli organismi viventi.

Un anno dopo la pubblicazione dell’opera di Stahl, Leibniz spedisce al barone Karl Hildebrandt von Canstein, che funge da intermediario, una lunga lettera di risposta, nella quale contraddice punto per punto l’impostazione generale del medico. La posizione di Leibniz si basa sulle idee di materialismo e meccanicismo che cominciarono a circolare tra Seicento e Settecento. Per il filosofo e matematico di Lipsia, un organismo vivente è semplicemente un meccanismo, ovvero un’entità che esiste semplicemente in virtù della sua materialità e che «funziona» in quanto prodotto delle funzioni delle parti che la compongono. Almeno in parte, è l’idea che sosteneva anche Isaac Newton nella sua descrizione matematica dell’Universo e, nella biologia moderna, echeggia nella stessa definizione di organismo come di un «essere vivente risultante dall’integrazione morfologica e funzionale di unità più semplici, per esempio organi, tessuti e cellule» (dal glossario di Biologia. La scienza della vita di D. Sadava et al.).

La folta pelliccia consente all’orso polare di sopravvivere alle temperature più rigide: è un esempio di adattamento all’ambiente (Immagine: coolhunting.com)

Ma che cos'è un essere vivente?
Le fuzioni che l’attuale cornice di riferimento culturale in biologia vengono individuate come caratteristiche degli esseri viventi sono cinque. Gli esseri viventi si riproducono, sia che diano origine a copie identiche di se stessi, oppure a individui che presentano variazioni rispetto a quelli che li hanno generati. Gli organismi viventi, inoltre, crescono e si sviluppano, e hanno la caratteristica di potersi adattare all’ambiente in cui vivono, dalla pelliccia per difendersi dal freddo degli orsi polari alle foglie ridotte ad aghi dei cactus che abitano i deserti. Infine, gli organismi viventi reagiscono agli stimoli dell’ambiente che li circonda e sono in grado di trasformare l’energia che prendono dall’ambiente stesso in una forma diversa, per esempio utilizzando i nutrienti del suolo, come fanno le piante, per trasformarli in energia e produrre i frutti. Cinque caratteristiche che avrebbero trovato d’accordo anche Leibniz, ma che avrebbero contraddetto le convinzioni di Stahl.

Un divario incolmabile
Ricevute le obiezioni dal barone van Canstein, Stahl non ritiene necessario rispondere: in fin dei conti Leibniz non era un intellettuale noto (le sue opere filosofiche maggiori erano ancora tutte inedite all’epoca della querelle), mentre la fama del medico era all’apice. Fu proprio von Canstein che spinse la faccenda a diventare pubblica, anche sotto le richeste di altri intellettuali che conoscevano Leibniz per le sue opere di ottica. Alla fine, Stahl risponde, mostrando quanto avesse frainteso le obiezioni del filosofo: non ritiene nemmeno necessario rispondere a una delle critiche più forti, quella cioè in cui Leibniz esamina la concezione della vita secondo Stahl come «funzione vegetativa», che prelude a un vero e proprio attacco alla nozione di anima stessa utilizzata dal medico.

Gli aghi dei cactus minimizzano l’evaporazione dell’acqua (Immagine: Alex & Gregory)

Insoddisfatto della risposta di Stahl, Leibniz prepara una seconda replica, che sarà pronta e inviata al medico nel 1711. La polemica rimane ferma sugli stessi punti, ma il filosofo lascia cadere i tecnicismi metodologici e si concentra sullo scontro filosofico frontale. Quello che almeno in parte questa discussione mette in evidenza (Stahl risponderà a questa seconda critica solamente dopo la morte del filosofo) è il cambiamento di concezione filosofica di fondo che sta maturando nei massimi esponenti della filosofia e della scienza di quel periodo. In fisica la conoscenza e descrizione del cosmo raggiunge uno dei sui apici con la descrizione meccanicistica del moto dei pianeti di Newton e la sua legge di gravitazione. Nelle scienze della vita, già la distinzione tra res cogitans e res extensa operata da Cartesio poneva le basi di una concezione materialistica e meccanicistica della natura che servirà da sfondo culturale per le grandi conquiste della scienza nei secoli successivi.

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