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Fullerene spaziale

Grazie a Spitzer, un telescopio orbitante a infrarossi targato NASA unico nel suo genere, ora sappiamo che i fullereni in forma di aggregati solidi esistono anche nello spazio
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Grazie a Spitzer, un telescopio orbitante a infrarossi targato NASA unico nel suo genere, ora sappiamo che i fullereni in forma di aggregati solidi esistono anche nello spazio

Il fullerene è una molecola davvero notevole. Composta interamente di carbonio (del quale è un allotropo con formula C60) nella sua forma più comune ha l’aspetto di un pallone da calcio in miniatura (per usare un eufemismo, il diametro è grossomodo di un nanometro), e per questo potrebbe ingannare per quanto riguarda la sua origine. Nonostante il suo aspetto intuitivamente artificiale, infatti, il fullerene è presente anche in natura.

Basta una candela
Non serve peraltro andarlo a cercare nei cristalli della Shungite, un minerale (piuttosto raro) presente in un’area al confine tra Russia e Finlandia, perché il fullerene, noto anche come «buckyballs» (entrambi i nomi sono omaggi all’architetto Buckminster Fuller, famoso per le sue cupole geodetiche), perché per produrlo può bastare la semplice fiamma di una candela.

Rappresentazione di una molecola di fullerene ottenuta con un software di modelizzazione chimica (Immagine: Isaacs Program)

Fullerene nello spazio
Il telescopio orbitante Spitzer già nel 2010 aveva confermato le previsioni rilevando la molecola (C60 ma anche C70, un fullerene sferoidale di forma più allungata, come un pallone da football americano) in forma gassosa, ma solo recentemente lo stesso telescopio, nel sistema XX Ophiuchi (a 6.500 anni luce)  è riuscito a trovare le buckyballs in forma di aggregati solidi. 

Come spiega Nye Evans della Keele University (Regno Unito), il primo autore della pubblicazione su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: «Queste sfere sono ammassate assieme a formare un solido, come arance in una cassetta da frutta. Le particelle che abbiamo rilevato sono minuscole, molto più minute della larghezza di un capello, ma ognuna può contenere aggregati di milioni di sfere».

Come può un telescopio riuscire in questa impresa?
Il principio alla base è uno dei pilastri dell’astronomia: una sostanza interagisce con le onde elettromagnetiche in un modo caratteristico, e analizzandone gli spettri si riesce quindi a risalire alla sua natura senza doverne prelevare un campione. Spitzer ha scovato le sfere di fullerene usando il suo sensibilissimo spettrometro a raggi infrarossi

Secondo l’astrofisico Bill Danchi: «Spitzer ci ha fornito una finestra sull’Universo che ha rivelato bellissime strutture su scala cosmica. E ora, grazie un’altra sorprendente scoperta della missione, siamo così fortunati da poter ammirare un’elegante struttura a una delle scale più piccole, e da tutto questo possiamo trarre insegnamento sull’intima architettura dell’esistenza».

L’interesse per la scoperta va oltre il suo valore intrinseco di aumento delle conoscenze sul nostro universo, poiché il fullerene è al centro della rivoluzione nanotecnologica, dall’elettronica alla biomedicina, e sarà interessante vedere se e come questi nuovi dati potranno essere utilizzati nella ricerca applicata. 

 

Video didattico sulla scoperta del fullerene in forma gassosa da parte di Spitzer nel 2010

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