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Cellule di T. rex. Forse

Jurassic Park è un sogno destinato a rimanere tale ma, forse, possiamo conoscere molto di più sui dinosauri poiché in alcune condizioni i tessuti sopravvivono alla fossilizzazione. Non tutti, però, la pensano così. Storia di una disputa pluriennale
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Settembre 1993. Proprio mentre il pubblico ancora si entusiasmava al cinema per Jurassic Park facendone uno dei più grandi successi cinematografici, esce uno studio che sta ancora facendo discutere la comunità scientifica. Sul Journal of Vertebrate Paleontology la paleontologa Mary H. Schweitzer pubblica "Biomolecule Preservation in Tyrannosaurus Rex", il primo di una serie di paper che annunciano una scoperta sconcertante: in alcune ossa di Tyrannosaurus rex si erano conservate molecole biologiche, e vere e proprie strutture cellulari. Riportare in vita un dinosauro da paleo-DNA come voleva il film tratto dal best seller di Michael Crichton è scientificamente impraticabile, non di meno la scoperta non poteva che entusiasmare, primo tra tutti Jack Horner, consulente del film di Spielbgerg e ispirazione per Crichton di uno dei protagonisti del romanzo, il professor Alan Grant. 

Nel 1994 Horner firma un abstract (quindi non un vero e proprio articolo completo), stavolta assieme Schweitzer, nel quale ribadisce la scoperta. Lo studio arriva, però, nel 2007 sempre firmato a quattro mani. L’anno successivo, però, arriva la prima doccia fredda: il materiale interpretato dai paleontologi come resti di tessuto non sarebbero altro che biofilm batterici. Da allora la disputa è seguita a colpi di pubblicazioni, l’ultima di queste in stampa sulla rivista Bone.

Scheletro di T. rex. Nelle sue ossa fossili sono rimaste tracce di suo materiale organico o si tratta di un biofilm batterico? (Foto: Smithsonian Magazine)

 

Le analisi: sufficienti per chiudere la questione?
Schweitzer e collaboratori puntano di nuovo a dissipare i dubbi sull’aspetto più critico: al microscopio sembrerebbero proprio cellule, ma solo i dati molecolari possono togliere dubbi ai più scettici, visto che stiamo parlando di tessuti che sarebbero sopravvisuti 68 milioni di anni. I presunti osteociti di T-rex, assieme a quelli trovati nelle ossa di un’altra specie, Brachylophosaurus canadensis, sono stati sottoposti a una classe di anticorpi specifica degli osteociti di vertebrati, a sua volta legati a un determinante antigenico specifico degli uccelli, dal momento che gli uccelli e i dinosauri come T-rex sono entrambi all’interno del clade Theropoda (a sua volta all’interno del clade Dinosauria)

La reazione osservata è stata appunto quella che ci si aspetterebbe da osteociti di dinosauro. I ricercatori hanno inoltre identificato proteine di tubulina, actina, e di una classe di istoni. Le proteine istoniche sono ovviamente di organismi eucarioti, poiché sono responsabili dell’impacchettamento di DNA dei cromosomi, di cui i batteri sono privi, mentre esistono anche nei procarioti proteine simili a tubulina e actina; tuttavia i ricercatori hanno escluso questa ipotesi, poiché gli anticorpi che si legavano alle «cellule» di dinosauro non reagivano invece agli E. coli prelevati dal suolo del sito di estrazione delle ossa.

Come scrive Kate Wong su Scientific American, Schweitzer, presentando in anteprima i dati al meeting della Society of Vertebrate Paleontology, ha concluso teatralmente l’intervento mostrando una slide bianca: «Ecco i dati che supportano la tesi dei biofilm, non ne abbiamo ancora trovati». Fine della disputa? Staremo a vedere.

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