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Gatti domestici... a metà

La domesticazione del gatto è relativamente recente. Tracce di questo evento sono però rintracciabili nel suo genoma, interamente sequenziato. Una lunga selezione artificiale ha prodotto razze molto diverse e dal carattere mansueto, ma il DNA rivela la sua vera natura di temibile cacciatore.
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Da 9000 anni i gatti gironzolano per le nostre case. La loro domesticazione è molto recente se paragonata a quella del cane, la cui discendenza dal lupo risale a ben 30 000 anni fa. Un’analisi del genoma felino condotta da ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis e pubblicata sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) rivela alcuni particolari sorprendenti. Tracce di una domesticazione imperfetta I gatti, a differenza dei cani, non sono mai stati del tutto addomesticati. Inoltre la loro recente separazione dal gatto selvatico, con cui possono incrociarsi, rende difficile trovare tracce genetiche della loro domesticazione. Ma i ricercatori sono riusciti nell’impresa. Hanno confrontato i genomi di gatti domestici e gatti selvatici, trovando regioni specifiche che differivano in modo significativo. In particolare, la convivenza con l’uomo ha alterato nei nostri gatti alcuni geni che, come mostrano precedenti studi, sono coinvolti in comportamenti quali la memoria, la paura e la ricerca di una ricompensa.
Il gatto domestico si è separato da quello selvatico (nella foto) in tempi relativamente recenti. Il confronto tra i loro genomi rivela però alcune differenze significative (immagine: Wikimedia Commons)
Soprattutto l’offerta di una ricompensa in cibo, considerata una molla della domesticazione, potrebbe avere motivato i mici a reprimere la loro indole solitaria. In cambio, gli umani hanno acquisito preziosi alleati per controllare i topi che devastavano le loro scorte di cibo. Il cat genome project Il progetto di sequenziamento del genoma del gatto, finanziato dal National Human Genome Research Institute, è partito nel 2007. L’obiettivo iniziale del progetto era quello di studiare le malattie ereditarie nei gatti domestici, alcune delle quali affliggono anche gli umani, tra cui disturbi neurologici e malattie infettive e metaboliche. Sono stati scelti gatti di razza per meglio rintracciare caratteristiche della domesticazione come colore e lunghezza del pelo, forma del muso e docilità. Un genoma analizzato appartiene a una femmina di gatto Abissino chiamata Cinnamon (Cannella). Questa razza è stata scelta in quanto la sua genealogia può essere ricostruita per molte generazioni ed è inoltre afflitta da una malattia degenerativa degli occhi che i ricercatori volevano studiare. Il team ha esaminato anche il gatto Birmano, dai tipici piedi bianchi. Questa caratteristica dipende da due piccole variazioni in un gene associato al colore del pelo, ed è stata acquisita in tempi molto rapidi grazie alla selezione operata dagli allevatori.

Tutti i gatti birmani hanno piedi con dita bianche, un carattere dovuto a due piccole varianti genetiche favorite dalla selezione artificiale (immagine: Wikimedia Commons)

Supersensi felini Come altri carnivori, i gatti hanno particolari geni che aiutano a metabolizzare i grassi dei loro pasti a base di carne, assenti negli umani (onnivori) e negli erbivori. Come prevedibile, i geni coinvolti nell’olfatto sono meno numerosi che nel cane, ma quelli che percepiscono i feromoni sono di più: un vantaggio per animali solitari che devono monitorare l’ambiente in cerca di partner, a differenza dei cani che si spostano in branchi. Specifici geni, infine, si sono evoluti per potenziare l’udito dei gatti - che capta anche gli ultrasuoni e supera quello della maggior parte degli altri carnivori - e la loro visione in condizioni di luce scarsa, davvero eccezionale.   Immagine banner in evidenza: Wikimedia Commons Immagine box in homepage: Eugenio Melotti
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