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Un immenso laboratorio di genetica chiamato Islanda

Dopo 18 anni di ricerche e migliaia di campioni analizzati, vedono finalmente la luce i primi risultati del più grande studio di sequenziamento del genoma di una popolazione, quella islandese.
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Dopo 18 anni di ricerche e migliaia di campioni analizzati, vedono finalmente la luce i primi risultati del più grande studio di sequenziamento del genoma di una popolazione, quella Islandese. I risultati, raccolti in quattro studi pubblicati su Nature Genetics, sono il frutto degli sforzi di deCODE, l’azienda di Reykjavik impegnata da anni nell’analisi a tappeto del panorama genetico islandese. Il risultato è uno studio unico nel suo genere, non solo per i dati raccolti, ma soprattutto perché apre la strada ad un nuovo modo di fare genetica.
Isolata e con una popolazione di circa trecentomila abitanti, l'Islanda è un perfetto laboratorio naturale di genetica (Foto: Wikimedia Commons).
Uno studio senza precedenti Quando si dice “lavoro di gruppo”: per ottenere questi primi risultati, deCODE ha coinvolto nel suo studio quasi un terzo della popolazione dell’Islanda. E non un caso che un simile studio di genetica, il primo di queste proporzioni, sia stato condotto proprio qui: gran parte degli islandesi discende infatti da pochi progenitori, rendendo la popolazione molto omogenea dal punto di vista genetico, un requisito essenziale per condurre studi genetici di alta qualità. Decodificando la sequenza completa del DNA di 2636 islandesi e analizzando marcatori genetici di oltre centomila loro conterranei, i ricercatori sono così riusciti ad identificare alcune varianti genetiche che potrebbero giocare un ruolo nell’insorgenza di malattie. Tra le scoperte del progetto, anche le mutazioni del gene ABCA7, la cui presenza sembra raddoppiare il rischio di sviluppare l’Alzheimer. 1171 geni di cui si può fare a meno? Una delle scoperte più interessanti del progetto rivela la presenza, su centomila campioni presi in esame, di circa 8000 persone prive della versione funzionante di un certo gene (chiamate, per questo, knockout): in tutto, i ricercatori hanno identificato 1171 geni di cui, apparentemente, si può vivere senza. Si tratta di una situazione di studio assolutamente unica, che avvicina davvero l’Islanda ad un immenso laboratorio di genetica: la creazione di modelli knockout è infatti uno stratagemma comunemente usato dai genetisti per capire la funzione di un gene, ma che ovviamente non può essere applicato all’uomo. A meno quel knockout non esista già, come nel caso dello studio islandese, che trasferisce alla genetica umana un tipo di studio finora relegato al modello animale. Seguendo nel tempo la storia clinica di queste persone sarà possibile capire gli effetti che l’assenza di questi geni ha sulla loro salute: svilupperanno una particolare malattia oppure non avrà alcun effetto? Sebbene si tratti di casi senza dubbio rari, i risultati di questo studio potrebbero scavalcare i confini dell’Islanda e permettere di identificare i geni responsabili di malattie diffuse in tutto il mondo, come per esempio l’Alzheimer. La nuova genetica Ci sono già altri studi che stanno seguendo le orme dello studio islandese. Ne sono un esempio il progetto 1000 Genomes che, ad oggi, ha già superato la soglia che il suo nome sembrava imporrre: 2500 genomi provenienti da tutto il mondo sono già stati sequenziati. Un numero di tutto rispetto che tuttavia, a differenza dello studio islandese, si deve confrontare con l’intera popolazione mondiale: la percentuale rappresentata è quindi ancora troppo bassa per poter trarre conclusioni, ma la strada è segnata e presto i ricercatori sperano di poter individuare i geni responsabili di malattie in popolazioni circoscritte. Segue la stessa scia il progetto Exome Aggregation Consortium, che ha già raccolto da sessantamila persone le sequenze codificanti (chiamate esoni) del loro genoma. Per il momento si tratta però di timidi tentativi di emulazione dello studio islandese, che ha dalla sua l’enorme fortuna di poter riunire in un unico studio le sequenze del genoma, l’anamnesi clinica delle persone e delle famiglie in studio, i dati sul fenotipo specifico associato a ciascun indididuo e altri dati importanti, come per esempio la capacità di rispondere o meno a determinati farmaci. Seguendo le briciole di Pollicino... Lo studio islandese, tuttavia, non è solo un trampolino di lancio verso la genetica del futuro. I dati raccolti da deCODE sono infatti un valido aiuto anche per risalire alle origini della specie umana. Le mutazioni che si accumulano progressivamente su un gene sono come le briciole di Pollicino: seguendole a ritroso è possibile risalire al nostro passato evolutivo e ricostruire i passaggi che hanno portato all’evoluzione di Homo sapiens. Uno dei quattro studi pubblicati da deCODE è incentrato proprio sulle mutazioni del cromosoma Y: seguendone a ritroso le tracce, i ricercatori sono giunti alla conclusione che il più antico progenitore della specie umana è vissuto circa 239 000 anni fa; più “giovane”, quindi, di circa centomila anni rispetto a quanto creduto fino ad ora. Immagine banner: Wikimedia Commons Immagine box: Kenneth Muir, Wikimedia Commons
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