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Bergamo Scienza, un festival nato dal basso

Qual è la ricetta per organizzare un festival della scienza come quello di Bergamo? Fare un ottimo programma, trovare il budget e arruolare tanti volontari per gestire gli eventi. Ma prima di tutto ci vuole la passione per raccontare bene la scienza.
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Oggi si chiude l’ottava edizione di Bergamo Scienza, un festival dove torno sempre volentieri per la straordinaria atmosfera che si respira nella città dei Mille, nelle quasi tre settimane dedicate alla scienza.

Mario Salvi è uno dei soci fondatori di quest’iniziativa partita dal basso una decina d’anni fa, come tante attività di volontariato comuni nel Nord Italia. Mentre mangiamo un piatto di casoncei, prima di avviarci alla conferenza che modererò, con Rino Rappuoli e Ilaria Capua, mi racconta la storia del primo decennio.
 
“Eravamo un gruppetto di amici, alcuni di noi ricercatori. Organizzavamo piccole conferenze, per diletto, sugli argomenti più svariati. Ma quando si parlava di scienza la sala inevitabilmente si riempiva. Era chiaro che c’era curiosità, un bisogno latente di capire di più. Così ci siamo costituiti in Associazione Bergamo Scienza e siamo partiti con quest’avventura”.
 
Il primo anno organizzano un minifestival di un week-end, con 10.000 euro di autofinanziamento. Ospite d’onore è Kary Mullis, l’inventore della PCR. La pubblicità si limita a un microscopico trafiletto sull’Eco di Bergamo, ma la sala magicamente si riempie fino a strabordare. Un successo del tutto inaspettato, che porta all’edizione successiva, un po’ più in grande. Fino alle tre settimane attuali, straboccanti di conferenze con scienziati che il Nobel o l'hanno già preso o è probabile che lo prenderanno; di mostre e laboratori che raccontano la ricerca, quella vera, in una serie di cornici incantevoli (il Teatro Sociale, sede attuale del Festival, già da solo vale il viaggio).
 
Come si organizza una macchina così imponente? “Abbiamo un budget di circa 900.000 euro”. Davvero non molto per organizzare così tante cose di ottima qualità (guardatevi il programma per rendervene conto). Come starci dentro? “Tutta la città è mobilitata, centinaia di studenti universitari fanno i volontari senza che nessuno sia pagato, neppure il gruppo dirigente; solo una ragazza dello staff prende uno stipendio per soli 6 mesi”. E il budget non è garantito. “Ogni anno, a marzo, il calendario è pronto. Da quel momento parte la caccia ai fondi: evento per evento, conferenza per conferenza, andiamo letteralmente a vendere il programma agli industriali, alle banche, alle associazioni, al comune, alla provincia, alla regione, a chiunque possa contribuire con un finanziamento, che non è mai scontato”.
 
Inutile dire che questo gruppo di amici, bravissimi, professionali, sono ancora molto appassionati: ascoltano, se possono, ogni conferenza, discutono con i relatori e instaurano relazioni durature con chiunque, in questi giorni, passi da Bergamo contribuendo con il proprio mestiere ad allargare gli orizzonti della cultura cittadina.
 
Che cosa resta di tutto questo sforzo, concentrato in tre settimane? “Le scuole, soprattutto i licei e gli istituti tecnico-scientifici, hanno da qualche anno reimpostato il programma delle materie scientifiche in funzione, almeno in parte, del festival: parecchie ore di scienze sono dedicate a organizzare i laboratori e le interattività che le classi porteranno negli stand del festival organizzati da loro l’ottobre successivo”. Ascoltando il racconto di Mario Salvi, per la prima volta mi convinco che un festival di questo tipo non è un’attività effimera, che svapora nel vuoto quando si smontano gli allestimenti. È chiaro che da queste tre settimane, centinaia di classi e migliaia di giovani di tutta la provincia sono influenzati in maniera significativa e duratura. Ce ne vorrebbero di più di Bergamo Scienza. Ma, attenzione, con la stessa qualità!
 
In attesa di altri exploit, l’appuntamento resta a Bergamo. Ci vediamo a ottobre 2011.

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