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La lezione di Bertie

Il film che mostra re Giorgio VI lottare con la balbuzie può aumentare la consapevolezza nei confronti di una malattia debilitante e migliorare le conoscenze sulle terapie possibili.
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Se vi è piaciuto Il discorso del Re, siete in buona compagnia: Peter Howell, professore alla University College London e studioso della balbuzie, condivide il giudizio positivo sul film in un bell’articoletto su Nature.

Nel film il futuro re Giorgio VI, padre dell'attuale regina Elisabetta II, Bertie per i più intimi, cerca di superare una balbuzie che risulta particolarmente debilitante, dato il ruolo che sarà costretto a ricoprire suo malgrado. Scrive il professor Howell: “Sebbene non possiamo essere certi dell’accuratezza degli eventi storici raccontati, molte delle scene mi sono sembrate verosimili. Ci sono aspetti di questa malattia che oggi sono molto più chiari rispetto ai tempi di re Giorgio VI, mentre per altri siamo ancora completamente al buio”.
 

 
Quanti bambini soffrono di balbuzie? Le statistiche dicono che un bambino su 20 balbetta, ma la maggior parte supera il problema prima dei 10 anni di età; soltanto uno su 100 continua a balbettare da adolescente e da adulto. In questi casi la guarigione è difficile, ma la balbuzie si può controllare con tecniche in genere efficaci.
 
Come si può migliorare? Chi balbetta spesso scopre di riuscire a parlare in maniera fluida quando non sente la propria voce, per esempio ascoltando la musica in cuffia. Così fa il Duca di York fa nel film, seguendo il suggerimento di Logue, un logopedista australiano poco convenzionale. Anche far riascoltare la voce in tempo reale, ritardata o modificata nella frequenza, può aiutare. Perché queste due tecniche funzionino non è ancora chiaro, ma esistono apparecchi prostetici che producono questo effetto, offrendo un miglioramento. “Più controversa è l’idea che si possa indurre la fluidità del parlato, specialmente nei bambini, usando procedure di addestramento simili a quelle utilizzate per gli animali e basate su ricompense e punizioni. Alcuni dati suggeriscono che la tecnica funzioni, ma i numeri sono troppo piccoli per trarre conclusioni”, scrive il professor Howell. Mentre ripetere ad alta voce parolacce (Logue fa fare anche questo a Sua Altezza Reale!) oggi non sarebbe considerata una tecnica efficace, se mai lo è stata (senza con questo volere rovinare troppo la sorpresa a chi non ha ancora visto il film, che è da vedere assolutamente).
 
Qual è la causa della balbuzie? Di preciso non si sa. Un cosiddetto "gene della balbuzie" è apparso sui media dopo la scoperta di alcune mutazioni, trovate nel DNA di una famiglia pachistana affetta dal problema e pubblicate sul New England Journal of Medicine. Il gene identificato è coinvolto nella produzione di proteine dei lisosomi, gli organuli cellulari che sequestrano e degradano i virus e le molecole danneggiate della cellula. La funzione dei lisosomi è tuttavia molto ampia e generica: per capire come questo difetto possa determinare un problema nel sistema nervoso centrale dei balbuzienti sono necessarie altre ricerche. Un altro studio, effettuato in Cina e pubblicato sulla rivista Cortex, suggerisce una base genetica più plausibile, dal momento che le mutazioni in questo caso sembrano colpire i gangli basali, una parte del cervello già implicata nella malattia.
 
Fra le persone che guariscono dalla balbuzie e quelle che persistono ci sono differenze? Sì, fra i due gruppi risultano differenze a livello genetico, nella struttura cerebrale, nell’elaborazione del linguaggio, nel sistema motorio e anche nei sintomi di balbuzie (il modo di balbettare è diverso).
 
È possibile fare una diagnosi precoce di balbuzie? Secondo gli studi di Howell il livello di gravità dei sintomi nei bambini di 8 anni è un indice affidabile della probabilità che il problema possa persistere. Questa informazione potrebbe essere utilizzata dai terapeuti, per esempio per intervenire in maniera tempestiva o – opzione migliore – per offrire una terapia soltanto dopo aver osservato un eventuale peggioramento dei sintomi, evitando così di curare la maggior parte dei bambini che guarisce in maniera spontanea.
 
Ottimismo nella difficoltà. “Se l’interpretazione di Colin Firth è un ritratto fedele del modo di parlare di re Giorgio VI, allora il tipo di balbuzie che il re produceva — consonanti prolungate e ripetizione della prima parte delle parole — avrebbe dovuto suggerire fin dall’infanzia che le probabilità di guarigione erano nel suo caso modeste. Dovremmo fare più sforzi per trasmettere questa informazione ai genitori, insieme alla consapevolezza che, come mostra il film, si può comunque essere ottimisti”. Dedizione e tenacia negli esercizi, insieme a una famiglia che sostiene e incoraggia gli sforzi, sembrano essere ingredienti utili a dominare la disabilità.
 
A pochi balbuzienti è richiesto di diventare re, ma a tutti è richiesto di interagire e scambiare parole con molti altri esseri umani. Se questo problema può a volte generare situazioni involontariamente comiche, chi si diverte non è mai chi sta lottando con un impedimento difficile da sormontare. Osservando la lotta che il povero re balbuziente ingaggia con la sua lingua “annodata”, non si può non provare un forte senso di immedesimazione e di empatia. Le emozioni provate riemergeranno a ogni futuro contatto con chi balbetta? Sarebbe il dono migliore che il film potrebbe fare alla società. E proiettiamo il film nelle scuole, mi raccomando.

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