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Stili di apprendimento e altri miti da sfatare

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Se credete che usiamo solo il 10% del cervello; che ambienti ricchi di stimoli migliorino le capacità cognitive dei bambini in età pre-scolare; o che impariamo meglio quando riceviamo informazioni nel nostro stile di apprendimento preferito, siete in ottima compagnia.

Io stessa mi sono lasciata trascinare dall’intuito e sono caduta in diverse trappole cognitive prima di approfondire, a partire da questo articolo molto divulgativo del Wall Street Journal. Ho scoperto così che ci sono parecchi miti su come funziona il nostro cervello quando impara (o non impara) e alcuni sono più diffusi di altri. Vediamo di sfatarne almeno qualcuno:
 
Usiamo solo il 10% del nostro cervello. L’evoluzione non produce organi che funzionano a un decimo della loro capacità. Il cervello in particolare consuma molta energia e per questo lo usiamo per intero nella maggior parte del tempo. Da dove nasce allora il mito? Forse dalle immagini di risonanza magnetica funzionale, che spesso mostrano una piccola area del cervello colorata in mezzo a una grande zona scura. Le aree scure in realtà non sono spente: ci sono regioni in cui l’attività è basale e altre in cui è più intensa, ma il cervello è sempre attivo.
 
Un'immagine del cervello ottenuta 
con la risonanza magnetica funzionale (fMRI)
 
Ambienti ricchi di stimoli potenziano le capacità cerebrali dei bambini piccoli. Non è vero che un ambiente molto più ricco di sollecitazioni sia più efficace di un ambiente normale. Il mito nasce da alcuni studi sui ratti in cui si è osservato che animali allevati in gabbie insieme ad altri ratti, con giochi come tunnel, ruote e altri oggetti, mostravano abilità cognitive superiori a quelle di ratti cresciuti da soli, in gabbie spoglie e privi di stimoli. Ma questi esperimenti dimostrano soltanto che un ambiente veramente povero e innaturale porta a uno sviluppo peggiore di un ambiente più normale. Tornando a noi umani, se uno cresce chiuso in un armadio o senza contatti umani, avrà certamente uno sviluppo cognitivo anomalo; ma questo non significa che arricchire oltre misura l’ambiente in cui cresce un bambino porti allo sviluppo di un “baby Einstein”.
 
Gli individui imparano meglio quando ricevono informazioni nel loro stile preferito di apprendimento (uditivo, visivo, sinestetico). Questo è un mito molto popolare perché è intuitivo e perché gli studenti hanno realmente delle preferenze sul modo di apprendere. Ma preferire informazioni visive piuttosto che verbali non significa che uno impara meglio se l’insegnante presenta le informazioni nella modalità prediletta o meno. Lo si è visto in esperimenti in cui alcuni studenti, divisi in gruppi, hanno ricevuto istruzioni che potevano o meno corrispondere al loro stile di apprendimento preferito. In un caso, per esempio, gli studenti dovevano memorizzare un insieme di oggetti presentati verbalmente (attraverso i nomi) o visivamente (tramite figure): in generale la presentazione visiva ha portato a una memorizzazione migliore, ma non si è dimostrata alcuna relazione fra le preferenze espresse dagli studenti e lo stile in cui è stata impartita l’istruzione. In altre parole non c’è alcuna prova che personalizzare il formato di istruzione per cercare di corrispondere agli stili preferiti dagli studenti porti a migliori risultati.
 
I miti sono più diffusi fra le persone che sono interessate alle neuroscienze e in ambito scolastico fra gli insegnanti più motivati da questo punto di vista, che sperano di aiutare i propri studenti a imparare meglio e di più con le conoscenze acquisite sul funzionamento del cervello. Lo ha dimostrato una ricerca svolta in Olanda e in Gran Bretagna.
 
Ma non è una questione di ignoranza da parte degli insegnanti, come giustamente ha scritto Cedar Riener, un professore di psicologia al Randon-Macon College in Virginia. Il problema è che le neuroscienze sono una materia affascinante, ma difficile da capire, e ancor più difficile da applicare a scuola. Chi infatti non vorrebbe migliorare l’apprendimento degli studenti attraverso i risultati delle neuroscienze? Farlo sarebbe bello, se non fosse così facile cadere nelle infinite trappole cognitive disseminate fra i risultati; ignorare le numerosissime sottigliezze importanti; e trarre conclusioni sbagliate e fuorvianti.
 
Nel lungo elenco che segue, trovate 30 affermazioni sul cervello e sulla sua influenza sull’apprendimento. Sono le affermazioni usate nel sondaggio che ha coinvolto gli insegnanti britannici e olandesi. In base a quel che se ne sa finora, la metà circa di queste affermazioni (contrassegnate con una V fra parentesi) sono corrette, mentre altre (indicate con una F) sono credenze che sarebbe meglio abbandonare. Buona lettura!
 
1. Usiamo il cervello 24 ore al giorno (V).
2. I maschi hanno un cervello più grande delle femmine (V).
3. Se gli alunni non bevono acqua a sufficienza (6-8 bicchieri al giorni) il cervello si restringe (F).
4. È scientificamente provato che gli integratori a base di acidi grassi (omega-3 e omega-6) hanno un effetto positivo sul successo scolastico (F).
5. Quando un’area del cervello è danneggiata, altre parti del cervello possono svolgere la stessa funzione (V).
6. Usiamo solo il 10% del nostro cervello (F).
7. Gli emisferi destro e sinistro del cervello lavorano sempre insieme (V).
8. Differenze nella dominanza fra i due emisferi (cervello sinistro e cervello destro) possono spiegare le differenze individuali fra coloro che apprendono (F).
9. Il cervello delle ragazze e dei ragazzi si sviluppa alla stessa velocità (F).
10. Lo sviluppo del cervello termina quando i bambini iniziano la scuola secondaria di primo grado (F).
11. Nell’infanzia ci sono periodi critici al termine dei quali alcune cose non possono più essere apprese (F).
12. L’informazione è immagazzinata nel cervello in una rete di cellule distribuite in tutto il cervello (V).
13. L’apprendimento non è dovuto alla proliferazione di nuove cellule nel cervello (V).
14. Gli individui imparano meglio quando ricevono informazioni nel loro stile preferito di apprendimento (uditivo, visivo, sinestetico) (F).
15. L’apprendimento avviene attraverso la modifica delle connessioni neurali del cervello (V).
16. Saltare la colazione può influenzare negativamente il profitto scolastico (V).
17. Il normale sviluppo del cervello avviene attraverso la nascita e la morte di molte cellule cerebrali (V).
18. La capacità mentale è ereditaria e non può essere modificata né dall’ambiente, né dall’esperienza (F).
19. Un vigoroso esercizio fisico può migliorare le funzioni mentali (V).
20. I bambini sono meno attenti dopo che hanno consumato bevande o snack che contengono zucchero (F).
21. Il ritmo circadiano (“l’orologio interno al corpo”) si modifica durante l’adolescenza e per questo i ragazzi sono stanchi durante le prime lezioni del mattino (V).
22. Bere regolarmente bevande contenenti caffeina riduce la capacità di attenzione (V).
23. Gli esercizi che fanno ripassare mentalmente il coordinamento delle abilità percettivo-motorie possono migliorare le abilità letterarie (F).
24. Gli esercizi prolungati nel tempo, che fanno ripassare mentalmente alcuni processi mentali, possono cambiare la forma e la struttura di alcune parti del cervello (V).
25. Le persone che apprendono mostrano preferenze per un modo o un altro di ricevere le informazioni (per es., uditivo, visivo, sinestetico)(V).
26. Problemi di apprendimento, associati a differenze nello sviluppo delle funzioni cerebrali, non possono essere corretti dall’educazione (F).
27. La produzione di nuove connessioni nel cervello può continuare fino alla tarda età (V).
28. Esercizi brevi ma intensi di coordinamento possono migliorare l’integrazione delle funzioni cerebrali degli emisferi destro e sinistro (F).
29. Durante l’infanzia ci sono periodi nei quali è più facile apprendere alcune cose (V).
30. Quando dormiamo il cervello si spegne (F).
 
Per scrivere questo post ho consultato: OECD, Understanding the brain: toward a new learning science (2002); S. Dekker et al., Neuromyths in education: Prevalence and predictors of misconceptions among teachers, Frontiers in Psychology, vol. 3 (18 Oct 2012); C. Chabris e D. Simons, Using just 10% of your brain? Think again!, The Wall Street Journal (16 Nov 2012); Cedar Riener, Myths come from value, not from ignorance, Cedar’s Digest (18 Nov. 2012); E. Pasquinelli, Neuromyths: Why Do They Exist and Persist?, Mind, Brain, and Education, vol. 6, Issue 2, pp. 89–96 (June 2012). La fotografia di apertura è dell'archivio Shutterstock; l'immagine fMRI è tratta da Wikipedia.

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