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Veleno o rimedio? Dipende dalla dose

La natura è una risorsa neutra. Produce veleni che sono usati anche come medicine. Gli effetti dipendono dall’uso che ne facciamo, ma soprattutto dalle dosi.
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“Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto”, scriveva Paracelso nel 1538. Anche l’ultima mostra dell’American Museum of Natural History di New York, The power of poison, si apre con questo conosciutissimo detto dell’alchimista svizzero, valido ancora oggi. In effetti anche una sostanza innocua come l’acqua è tossica se uno ne beve qualche litro in meno di un’ora. Ma è vero anche il contrario: veleni potenti prodotti da molte piante sono, a certe dosi, medicine utili contro diverse malattie.
In natura i veleni sono la norma più che l’eccezione perché offrono un vantaggio competitivo specialmente alle piante, ai funghi e in generale agli organismi fissati al suolo che non possono fuggire dai predatori. A meno che siano ricoperti di spine o disgustosi, una pianta o un fungo innocui hanno infatti alte probabilità di finire divorati da qualche animale. I veleni sono comuni anche nel mondo acquatico, e anzi sono a volte più potenti di quelli terrestri, perché devono funzionare alla diluizione imposta dall’acqua. Ma anche qui, l’ambiguità fra veleno e rimedio è forte. Una delle tossine prodotte da alcuni animali marini che appartengono ai tunicati è diventata la trabectedina, un farmaco che alle dosi corrette funziona contro sarcomi e tumori dell’ovaio. La scoperta delle proprietà antitumorali è quasi tutta italiana: viene dal laboratorio di Maurizio d’Incalci al Mario Negri di Milano.
Il carattere ambivalente di (quasi) ogni sostanza naturale o artificiale, che a seconda della dose può essere un veleno o un rimedio, affascina da sempre i farmacologi che considerano il mondo dei composti biologici non solo un terreno di caccia formidabile, ma anche una straordinaria fonte di ispirazione. Le strutture chimiche che si sono affermate nel corso dell’evoluzione sono infatti estremamente complesse, raffinate e difficili da imitare, tanto che per alcuni chimici riuscire a riprodurre i composti più arzigogolati è una sfida intellettuale al di là della possibile eventuale utilità medica. Perché dobbiamo imitare una sostanza se la natura è in grado di produrla da sola? A volte una sostanza naturale ha un buon effetto terapeutico, ma è anche un po’ tossica: se è possibile sintetizzarla in laboratorio, si può eliminare o sostituire la parte che la rende poco sicura. È quello che è accaduto per esempio all’acido salicilico, che è contenuto nella corteccia del salice bianco, una pianta curativa nota fin dai tempi dei Sumeri. L’aggiunta del gruppo acetile ha portato all’efficace e sicura Aspirina.
Un’altra ragione per passare dal prodotto naturale a uno di sintesi è che la natura è un fornitore inaffidabile: non solo il raccolto può essere più o meno abbondante a seconda delle stagioni, ma la concentrazione della sostanza che ci interessa può variare addirittura da organismo a organismo, se per esempio uno è più esposto di un altro ai predatori ed è quindi stimolato a produrre più tossine. Prendete ad esempio le piccole rane dorate dalla splendida pelle gialla e lucida. Proprio nella pelle di questi animaletti si trova la batracotossina, un veleno potentissimo che se ingerito può uccidere diversi animali neppure troppo piccoli. Le rane però non producono neanche un grammo della dispendiosa tossina se crescono in cattività, in luoghi protetti dove non si trovano i predatori tipici della foresta equatoriale colombiana da cui provengono. Da questa tossina non si ricavano farmaci, ma è un esempio di come la produzione naturale dei veleni, e dei rimedi, fluttui alla grande, a seconda delle condizioni.
L’artemisinina è un farmaco fra i più efficaci contro la malaria, ma le fluttuazioni del raccolto e dei prezzi crea problemi notevoli. L’artemisinina è infatti estratta dal 1972 da un arbusto chiamato Artemisia annua, ma gli effetti di questa sostanza contro le febbri malariche sono noti in Cina almeno dal 340 d.C. Negli ultimi anni il gene necessario a produrre l’artemisinina è stato inserito in un microrganismo che può produrre il farmaco in modo molto più costante, prevedibile ed economico rispetto alle coltivazioni dai raccolti e dai prezzi fluttuanti. Un bel vantaggio per gli oltre 200 milioni di pazienti malarici che ci sono nel mondo! Altri veleni naturali che sono diventati farmaci utili sono gli alcaloidi estratti dai papaveri da oppio, come la morfina e la codeina, usati nella terapia del dolore (e purtroppo come droghe ricreative e di abuso); la scopolamina, un farmaco ottenuto dalla belladonna che ha aiutato generazioni di marinai e astronauti a vincere la nausea da movimento; e il paclitaxel, un antitumorale trovato nella corteccia velenosa dell’albero del tasso. E l’elenco potrebbe continuare.
I veleni usati come medicine sono forse il più bell’esempio del fatto che la natura di per sé non è mai benigna né maligna. La natura è una risorsa neutra: gli effetti che produce dipendono dall’uso che ne facciamo e soprattutto dalle dosi.
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