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Si potrà guarire dall’AIDS?

Tentativi di liberare completamente i malati di AIDS dal virus presente nelle loro cellule sono in corso. Siamo solo all'inizio, ma gli approcci sono potenti, promettenti e fanno sperare.
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Sarà mai possibile liberare completamente tutte le cellule di una persona sieropositiva dal virus? Dato che le cellule infette possono essere milioni, per anni l’impresa è sembrata al di là di ogni capacità umana. Il virus si è fatto la sua casetta in milioni di cellule del sistema immunitario di un organismo infetto. E ha depositato ciò che ha di più prezioso, il suo materiale genetico, all’interno di ciò che noi abbiamo di più prezioso, il nostro DNA, che è custodito nel nucleo. Via via che il virus si riproduce infetta sempre nuove cellule, penetrando in sempre più nuclei e depositando sempre più copie del suo materiale genetico. Così, per ottenere la guarigione completa, andrebbe estirpato dal nucleo di ogni cellula. Missione impossibile? Forse questa missione è proprio impossibile, ma proviamo a ragionare in un altro modo. Se anziché cercare di estirpare il virus, tentassimo di eliminare la porta d’ingresso che il virus usa per entrare in ogni cellula? Per entrare nelle cellule tutti i virus animali usano come porta d’ingresso un recettore presente sulla superficie. L’HIV ne usa addirittura due: una proteina chiamata CD4 e una seconda proteina che nella maggioranza degli individui si chiama CCR5 (poche persone hanno al suo posto una variante, chiamata CXCR4). Mentre senza CD4 si vive maluccio, di CCR5 possiamo fare a meno. Lo dimostrano i pochissimi fortunati che, avendo una mutazione in entrambi i geni ccr5, non solo sono sani, ma sono anche immuni all’AIDS: alcune persone che sono omozigoti per questa mutazione non si sono infatti mai infettate con l’HIV nonostante le ripetute esposizioni al virus. Questo è perché nel loro corpo l’HIV non ha mai trovato il recettore cui attaccarsi per entrare nelle cellule e infettarle. La storia di uno dei pochissimi pazienti mai guariti dall’HIV conferma l’importanza del recettore CCR5. Si tratta di Timothy Ray Brown, anche noto come il paziente di Berlino dato che la sua cura è avvenuta nella capitale tedesca. Timothy, oltre ad avere l’AIDS, si era ammalato di leucemia e una delle terapie contro il suo tumore del sangue era il trapianto di midollo osseo (il midollo osseo è un tessuto molle che si trova all’interno delle ossa, dove si formano tutte le cellule del sangue). Proviamo a prendere i proverbiali due piccioni con una fava, è stata l’idea dei medici. Già che dobbiamo fare questo trapianto, perché non proviamo a sostituire le cellule del midollo di Timothy con cellule del sangue che siano anche resistenti all’HIV? Così la scelta del donatore di midollo è caduta su uno di quegli individui resistenti all’HIV a causa della mutazione omozigote nel gene ccr5. Il trapianto di Timothy è avvenuto nel 2008: da allora è guarito da entrambe le malattie e contro l’HIV non prende più farmaci antiretrovirali. In pratica che cosa può essere successo nel suo organismo? Le cellule trapiantate, che non avevano il recettore CCR5 e quindi erano resistenti all’infezione da HIV, essendo più forti e sane possono avere preso il sopravvento: possono essersi riprodotte con più vigore rispetto alle cellule infette di Timothy, che erano probabilmente ancora presenti in organi diversi dal midollo, come i linfonodi o la milza, ma anche più acciaccate. Invece nel midollo, che era stato completamente irradiato prima del trapianto e quindi era stato per così dire sterilizzato, verosimilmente non c’erano più cellule infette. Questi risultati hanno acceso la speranza che altri pazienti possano guarire dall’AIDS se nelle loro cellule si elimina il recettore CCR5. Il trapianto di midollo è però una procedura complicata e costosa, e inoltre i donatori compatibili che abbiano anche la mutazione omozigote di ccr5 sono estremamente rari. Occorreva cercare un’altra strada. Immaginate un minuscolo chirurgo genetico che entra nelle cellule, penetra nel nucleo, taglia a pezzi il gene ccr5 e lo rende inservibile. Questo chirurgo, capace di rendere le cellule del sistema immunitario resistenti all’HIV, esiste ed è una proteina artificiale dal nome un po’ scoraggiante: nucleasi zinc finger. Non bloccatevi davanti al nome infelice e seguitemi. La proteina artificiale è costruita unendo un enzima che può tagliare il DNA (la cosiddetta nucleasi) con una proteina che può legare in modo specifico il DNA (il cosiddetto zinc finger). Nel nostro caso la nucleasi zinc finger è stata progettata per tagliare specificamente il gene ccr5 e nessun altro gene.

 

Come la zinc finger nucleasi taglia un gene (fonte: Virology blog)

L’accrocchio ha funzionato benissimo in laboratorio e almeno in parte nei pazienti: i globuli bianchi rimossi dai pazienti sono stati trattati con una nucleasi zinc finger per ccr5, che è riuscita a raggiungere il nucleo tramite l’infezione con un altro virus, un adenovirus, peraltro inattivato. Dopo il trattamento i globuli bianchi sono diventati resistenti all’infezione da HIV e dopo la reinfusione nei pazienti la quantità di virus presente si è ridotta ma non è scomparsa. Il risultato incoraggiante è ancora lontano da permettere di guarire i pazienti, dato che dentro di loro restano ancora molte cellule “non operate” che possono essere ancora infettate dall’HIV. L’uso poi di un adenovirus seppure inattivato come veicolo per penetrare nella cellula e raggiungere il nucleo pone altri rischi che vanno considerati. Ma è un’importantissima prova di principio che fa sperare e lascia andare la fantasia. Forse in un futuro non troppo lontano saremo capaci di impacchettare in un farmaco “strumenti” come le zinc finger nucleasi, o le versioni più moderne di questo preciso bisturi molecolare. Magari un farmaco sarà anche capace di portare il nostro minuscolo chirurgo genetico nel nucleo di tutti i globuli bianchi, per esempio tramite un nanoveicolo progettato da noi (e non un virus modificato che mette sempre un po’ d’ansia). Lì quel farmaco potrà distruggere entrambe le copie del gene ccr5 di ogni cellula dell’organismo, senza che le cellule debbano essere prima estratte, manipolate al di fuori del corpo e poi reinfuse. E farmaci analoghi potrebbero curare tante altre malattie, come il cancro, che dipendono da lesioni genetiche delle cellule. Carl June è colui che ha inventato nel suo laboratorio, all’Università della Pennsylvania, questo approccio potentissimo e lo ha provato per la prima volta nei pazienti. Sta anche provando altri aggeggi piuttosto brillanti, delle specie di anticorpi artificiali che cercano di insegnare al sistema immunitario come distruggere le cellule tumorali. Prendete nota di questo nome. Ho la sensazione che ne risentiremo parlare fra qualche anno a Stoccolma.

Carl June (fonte: University of Pennsylvania)

 Vincent Racaniello è il migliore divulgatore di virus che conosco e con il suo Virology Blog mi ha ispirato questo post. I risultati della sperimentazione clinica delle nucleasi zinc finger nei pazienti sieropositivi è stata pubblicata da Carl June e colleghi sul New England Journal of Medicine il 6 marzo 2014. L'immagine di apertura è una scultura in vetro di Luke Jerram.

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