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«Io mi occupo delle mosche, che sono migliori degli uomini, ma non delle donne»

Un libro sulle mosche per persone che non dimostrano alcun interesse per le mosche.
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Stoccolma, Teatro Reale. Ogni sera un agnello entra in scena, accompagnato da un ragazzo di 26 anni. Terminato lo spettacolo, il ragazzo riporta l’agnello nelle scuderie, anche loro reali, e lo mette a nanna. La scena si ripete fino all’ultima recita, quando l’agnello è ormai talmente cresciuto che Fredrik Sjöberg – così si chiama l’accompagnatore – lo deve condurre al guinzaglio e non più in braccio. All’epoca lavorare in teatro, seppure a pascolare agnelli, gli sembrava un’attività migliore per attirare le ragazze che collezionare mosche. Ma il contrario pare che funzioni: le ragazze che decidono di fare le entomologhe sono talmente rare che possono contare su harem di maschi. Le mosche hanno poi avuto la meglio. Oggi Sjöberg vive a Runmarö, un’isola minuscola, 40 kilometri quadrati più d’acqua che di terra, a est di Stoccolma. Lì ha scoperto più di 200 specie di mosche, di cui 180 nel suo giardino. Non però mosche qualsiasi: la sua specialità sono i sirfidi.  E sui sirfidi, ma soprattutto su L’arte di collezionare mosche, ha scritto un libretto, che ha già venduto più 30.000 copie (l’edizione italiana è di Iperborea, tradotta da Fulvio Ferrari).

 

Fredrik Sjöberg

Se 30.000 persone hanno comprato un libretto indefinibile che parla sì di mosche, ma anche di un mucchio di altre cose, qualcosa vorrà pur dire. Leggero, divertente, originale, è un libro che sfida i generi, passando dall’esplorazione alla storia, dalla divulgazione ai miti da sfatare. Al punto che le mosche sono ben poco ingombranti e perfino un insettofobo può leggere il libro con noncuranza. Vivere su un’isola è congeniale a Sjöberg, per cui «limitarsi è un’esigenza vitale». I confini, di una singola specie di mosche, un giardino, un’isoletta, lo mettono di buon umore perché lo costringono ogni volta «a non perdere di vista l’oggetto della [sua] costante ricerca». L’isola ha avuto abitanti illustri, da August Strindberg a René Malaise, «un matto che inventò una trappola e poi si smarrì». Entomologo ed esploratore dal nome strambo, Malaise è riuscito a passare qualche anno nella penisola di Kamčatka, l’estremità nord-orientale della Russia sovietica, negli anni Trenta; prima era stato in Giappone, poi nel Triangolo d’oro, fra la Birmania, il Laos e la Thailandia, dove Malaise «avanzava come una trebbiatrice con il suo retino […] C’è da chiedersi come facessero con i bagagli […] Ancora oggi, dopo settant’anni, non abbiamo visto il fondo di tutti i barattoli». Oltre a una collezione impressionante, Malaise ha lasciato, appunto, la trappola per cui Sjöberg gli è molto riconoscente. Le opinioni Sjöberg sono nette, forti, graziose. Per esempio, delle specie insolite, di cui è un intenditore, dice che a volte diventano «creature leggendarie, talmente rare che i burocrati della protezione ambientale roteano gli occhi e si mettono a fare la ola dall’eccitazione quando ne trovano una».

Fredrik Sjöberg, L'arte di collezionare mosche (Iperborea 2015)

Sui mimetismi: «restiamo sbigottiti davanti ai colori di certi insetti, talmente bizzarri che non sarebbero venuti in mente nemmeno a un surrealista drogato: è possibile che non siano altro che imitazioni di qualcosa che non c’è più». «Spiegare la rarità è un’arte»: c’è per esempio la storia del «raro scarabeo stercorario dell’Himalaya, animale che un tempo prosperava tra i maestosi mucchi di letame dei lanosi mammut, ma che ora deve tirare avanti, come un principe russo in esilio, con i poveri escrementi degli yak». La scienza degli entomologi forensi? Una disciplina «cupa», dove «quella incomprensibile schiatta […] si fa un punto di onore di risolvere orribili delitti studiando le larve nelle viscere della vittima». Perché conosciamo meglio le specie che amano il caldo? Perché «gli insetti li si cattura più che altro d’estate, durante le vacanze, è sempre stato così e per questa ragione la fauna estiva è meglio conosciuta delle mosche di inizio primavera». La lentezza è un fine? «La tendenza ‘sempre di più e sempre più in fretta’ è preferibile al suo opposto, se non altro perché si può scendere da un treno ad alta velocità, ma non si può far correre una carovana di asini. Inoltre ognuno è libero di non viaggiare e difendersi da tutte le impressioni non smaltibili e dalle lingue barbariche». Linneo? «Ciò che lo ha reso una megastar per tutti i secoli a venire è il fatto di avere venduto un sistema operativo, più o meno come Bill Gates ». Sul senso del tempo: «Si dice che non si possa essere davvero un buon geologo senza un eccezionale senso del tempo […] Perché che cosa sono in realtà diecimila anni? O tre milioni? In rapporto a un miliardo? Noialtri non ne abbiamo idea […] Manca il senso dell’estensione del tempo […] Qualche centinaio d’anni passi pure, ma al di là si insinua subito la stanchezza dell’inadeguatezza». Sui freudiani: «Ho la precisa sensazione che […] abbiano un’idea troppo vaga delle passioni che possono trovare espressione, per esempio, nella caccia alle mosche. Sono troppo prigionieri delle loro schematiche e sconce spiegazioni del comportamento umano». Sul diritto di cittadinanza: «la xenofobia biologica è abbastanza diffusa, ma quasi sempre immotivata». La mosca dei narcisi, per esempio, che probabilmente si è stabilita in Svezia «viaggiando come clandestina […] ha ormai lo stesso diritto di cittadinanza di tutti gli altri. Questa è la mia convinzione politica. Non particolarmente rischiosa, va riconosciuto, ma solo perché la politica sulle mosche non ha mai suscitato grandi passioni. Mi domando perché. Le lumache spagnole, i visoni, i cinghiali, i cormorani e un sacco di altri animali attirano di continuo l’attenzione di una schiera di populisti e cialtroni d’ogni tipo, ma non si trova nessuno che si interessi alle mosche […] Per quanto riguarda le mosche sono un liberale e sono contrario a qualsiasi disposizione che preveda un periodo di transizione prima che vengano integrate nella nostra fauna. Lasciate semplicemente che vengano. Di posto qui ce n’è in abbondanza». Sul mito della natura incontaminata: «Io sono attratto dai giardini e dai campi, o almeno da quel che ne rimane. Per me sono più selvaggi e più ricchi della natura priva di presenza umana, e molto più divertenti. E così i pascoli, i viali, i cimiteri, i bordi delle strade, i percorsi aperti nelle foreste per le linee elettriche: è lì che si trovano le mosche! La natura intatta ha le sue qualità, certo, ma raramente può misurarsi con la terra dove l’uomo interferisce». Sullo sviluppo: «E se per caso mi azzardavo a dire qualcosa tipo che l’Africa Centrale sarebbe stata meglio se avesse avuto qualche autostrada e qualche cartiera, veniva subito presa per una provocazione – il che non era vero – o ero accusato di voler fare l’originale, e non era vero nemmeno questo». Sulle riserve naturali: «Si voleva preparare l’inventario di una grande quantità di specie rare – licheni, funghi, insetti e compagnia bella – per usarle come clava in una guerra tribale fra burocrazie. Insomma, si chiedevano fondi, se ben ricordo, per acquistare altre riserve naturali […] Niente da obiettare, se non fosse che gli organizzatori della faccenda erano irrimediabilmente prigionieri della convinzione che natura buona significhi né più né meno che natura incontaminata […] Il mio buon amico, che fa il falegname, ma che è anche un ingegnoso entomologo, diede inizio quasi contemporaneamente a una propria ricerca […] in un’area disboscata dove si ergeva solitario il troncone di un tremulo […] Sorprendentemente trovò sul suo tronco quasi altrettanti insetti del legno minacciati di estinzione quanti ne avevano trovati tutti gli altri insieme su un’area di circa cento chilometri quadrati». Su ecologia e ambientalismo: «Appartengono al genere ecologista, se mi si passa l’espressione: miti flagellanti che si accovacciano accanto ai maleodoranti mucchi di rifiuti organici e restano in devota attesa, convinti che buona parte della vita sulla terra non abbia più alcuna chance». Non che Sjöberg non sia un ambientalista, ma è anche un ottimista. Non di quelli faciloni o con interessi malcelati da difendere. No, il suo ottimismo viene da una conoscenza profonda, di una natura più resistente, pertinace, adattabile di quel che pare a un occhio incolto e impressionabile. Sulla politica dell’ambiente: «Meno divertente è il fatto che la politica ambientale in sé è un ambiente inquinato e a volte così pericolante da rischiare il crollo. Le posizioni sono bloccate e le poste in gioco non di rado talmente importanti che se uno ha l’impudenza di dire qualcosa su insetti favolosi che vivono nell’epicentro di un’area devastata dev’essere pronto a trovarsi al fianco amici che preferirebbe non avere». Sul dialetto degli entomologi: è una «lingua straniera» e solo se in quello strano latino c’è per caso qualche nome che risuona dei giorni nostri, allora «la nebbia si dirada un attimo» e «il nome si attacca alla mondo sensibile come una lappola». A volte succede perché uno ha dato il nome della fidanzata a qualche imenottero. Segno di vero amore, secondo Sjöberg. Sulla natura in TV: «La televisione ci ha insegnato a vedere la natura come se fosse un film, come qualcosa di immediatamente comprensibile e accessibile, ma è soltanto un’illusione. Nella realtà non c’è la voce dello speaker a spiegare». Il libro di Sjöberg è sorprendente a partire dalla citazione in esergo di Augusto Monterroso: «Ci sono tre argomenti: l'amore, la morte e le mosche. Da quando l'uomo esiste, questo sentimento, questa paura e questa presenza l'hanno accompagnato sempre. Altri si occupino dei primi due. Io mi occupo delle mosche, che sono migliori degli uomini, ma non delle donne». Complimenti e grazie a Iperborea, per aver portato L’arte di collezionare mosche in Italia. In apertura un sirfide che sembra un'ape ma è una mosca (da Wikipedia).
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