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Come funzionano gli antibiotici

Dalla scoperta della penicillina, gli antibiotici si sono guadagnati la fama di farmaci miracolosi. Il loro uso inappropriato ha però favorito la selezione di batteri resistenti, causa ogni anno di milioni di morti. Dove cercare nuovi antibiotici efficaci, in grado di sconfiggere i superbugs?
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La scoperta del primo antibiotico risale al 1928, anno in cui Alexander Fleming scoprì in modo accidentale che i funghi Penicillum producono una sostanza in grado di uccidere i batteri. Questa molecola, battezzata poi penicillina, ha rivoluzionato la storia della medicina eliminando infezioni prima incurabili. La fama di “farmaci miracolosi” ha tuttavia contribuito all’uso inappropriato degli antibiotici e solo negli ultimi anni si è iniziato a prendere coscienza dei rischi che questo comporta. La selezione di batteri resistenti causa ogni anno milioni di morti: per arginare questo preoccupante fenomeno, oltre a un utilizzo più oculato delle molecole già in commercio, è necessario incrementare gli sforzi della ricerca per la scoperta di nuovi antibiotici.
Alexander Fleming, il padre del primo antibiotico. La scoperta della penicillina gli valse il Premio Nobel per la Medicina nel 1945 (Wikimedia Commons).

Che cosa sono gli antibiotici?

Gli antibiotici sono molecole prodotte naturalmente da batteri e altri microrganismi del suolo e appartengono al gruppo dei metaboliti secondari, ovvero sostanze non indispensabili (tanto che solo pochi microrganismi li producono). Il loro ruolo ecologico è ancora controverso, ma è probabile che in natura svolgano funzioni di difesa, ad esempio verso microrganismi competitori. Molto più chiaro è invece il loro ruolo farmacologico, dal momento che queste sostanze hanno rivoluzionato la medicina fornendo per la prima volta una “cura miracolosa” nei confronti di malattie infettive rimaste incurabili per secoli. Ad oggi esistono centinaia di molecole con attività antibatterica, raggruppate in diverse classi di antibiotici in base alle caratteristiche chimiche che contraddistinguono la molecola farmacologicamente attiva (vedi tabella).
Antibiotici: non sarebbe meglio chiamarli antibatterici? Tra gli errori più comuni legati all’uso di antibiotici vi è la convinzione che questi farmaci siano efficaci contro tutte le infezioni, incluse quelle virali. Questa falsa idea è fomentata dal modo in cui vengono chiamati: il termine antibiotico significa letteralmente «contro la vita» e questo porta molti a pensare che siano efficaci contro tutti i patogeni. Ma l’origine del termine è diversa rispetto all’uso comune e la parola antibiotico è oggi sinonimo di antibatterico: per evitare fraintendimenti, sono in molti ad auspicare la diffusione di questo secondo termine, più specifico, in sostituzione al più famigliare, ma impreciso, “antibiotico”. Il diagramma di Venn mostra il rapporto reciproco tra le diverse categorie di farmaci per patogeni - come virus, funghi o parassiti – contro i quali gli antibiotici sono del tutto inefficaci (Immagine: Lara Rossi).

Qual è il meccanismo d’azione degli antibiotici?

Seppure tutti gli antibiotici interferiscano con la sopravvivenza dei batteri, le modalità d’azione sono molto diverse. Esistono antibiotici che alterano la struttura della parete batterica o della membrana cellulare; altri interferiscono con il metabolismo energetico, con la sintesi degli acidi nucleici, oppure con la sintesi proteica. A seconda dell'antibiotico (o della concentrazione a cui viene somministrato), si possono avere effetti battericidi, che causano direttamente la morte dei microrganismi, o batteriostatici, che inibiscono la riproduzione dei batteri senza tuttavia ucciderli. In quest’ultimo caso, l’eliminiazione dell’infezione richiede l’intervento delle cellule immunitarie, che fagocitano e distruggono i patogeni. Per contrastare la crescita batterica si ricorre talvolta alla combinazione di antibiotici diversi. Si tratta una strategia comune, ma che va valutata con grande scrupolo: come nell’esempio ipotetico del grafico qui sotto, gli effetti degli antibiotici non sempre si potenziano a vicenda.
La curva di crescita dei batteri esposti a entrambi gli antibiotici ha caratteristiche intermedie: anziché incrementare reciprocamente i propri effetti, il batteriostatico antagonizza il battericida. Una possibile spiegazione è che l’antibiotico B, per essere un efficace battericida, necessiti di cellule metabolicamente attive. Quando i due farmaci sono combinati, l’antibiotico A induce nei batteri una stasi metabolica che li rende meno sensibili all’azione battericida di B (Immagine: Lara Rossi).
Il meccanismo d’azione definisce lo spettro antibatterico di ciascun antibiotico. Antibiotici come le penicilline sono efficaci soprattutto contro i batteri Gram+, mentre le cefalosporine hanno effetto anche su molti Gram-. Anche se esistono antibiotici ad ampio spettro (in grado di eliminare molti batteri, sia Gram+ sia Gram-), nessun antibiotico è attivo contro tutti i batteri: conoscere lo spettro di azione è quindi fondamentale per una terapia farmacologica mirata ed efficace.

Perché gli antibiotici uccidono i batteri e non le cellule eucariotiche?

Rispetto ad altre sostanze di origine microbica (come, per esempio, le tossine), gli antibiotici si distinguono per l’alta selettività con cui colpiscono le cellule batteriche, risparmiando quelle eucariotiche. Questo si traduce in una bassa tossicità del farmaco e permette di eliminare l’infezione senza danneggiare il paziente. I bersagli molecolari contro cui agiscono gli antibiotici sono infatti specifici delle cellule batteriche, come il peptidoglicano della parete cellulare (assente negli eucarioti) o le subunità ribosomiali. In quest’ultimo caso, gli antibiotici inibiscono la sintesi proteica legandosi alle subunità 30S e 50S batteriche, ma sono incapaci di interagire con le subunità ribosomiali eucariotiche (che sono 40S e 50S).
Lo Yin e lo Yang dell'interazione tra antibiotici e mitocondri La tigeciclina, che agisce inibendo la subunità ribosomiale 30 S, può causare effetti collaterali indesiderati: non bisogna dimenticare che i mitocondri delle cellule eucariotiche derivano da cellule procariotiche e i loro ribosomi, utilizzati per la sintesi delle proteine mitocondriali, hanno una struttura molto simile a quella dei ribosomi batterici. Ma c’è anche un rovescio della medaglia: oltre all’utilizzo contro le infezioni batteriche, antibiotici come la tigeciclina vengono oggi studiati per un possibile impiego in malattie non infettive. Antibiotici che interferiscono con i mitocondri potrebbero rallentare la crescita delle cellule tumorali, il cui metabolismo è molto attivo e dipende in larga parte dall’attività di questi organuli. Quello che nella terapia delle infezioni è visto come un effetto collaterale indesiderato, potrebbe dunque rappresentare un’utile strategia nella terapia antitumorale.

In che cosa consiste la farmaco-resistenza è perché è un problema?

Oltre alla scoperta della penicillina, a Fleming va il merito di aver messo in guardia fin dall’inizio sull’uso inappropriato di antibiotici. Già dai primi esperimenti, Fleming si rese conto che l’uso di penicillina a basse dosi o per tempi troppo brevi può portare alla selezione di batteri resistenti: in queste condizioni viene infatti favorita l’espansione di quei batteri che, per accidentali alterazioni strutturali o metaboliche, riescono a sopravvivere. Queste alterazioni possono emergere grazie a mutazioni casuali del genoma batterico oppure per acquisizione di plasmidi contenenti il gene per la resistenza.
Un neutrofilo (in verde) mentre cerca di fagocitare cellule di Staphilococcus aureus resistente alla meticillina (in fucsia), uno dei superbugs più temuti (Immagine: Wikimedia Commons).
Uno degli aspetti più preoccupanti della farmaco-resistenza è legato al trasferimento genico orizzontale: grazie alla formazione di ponti citoplasmatici, i geni della resistenza possono essere trasferiti non solo alla progenie (come avviene con il consueto trasferimento genico verticale), ma anche ad altri batteri della colonia. In questi casi, l’antibiotico perde di efficacia ed è necessario ricorrere ad altri antibiotici, ammesso che ve ne siano di disponibili. La situazione può aggravarsi se i batteri acquisiscono più di una resistenza, come nei batteri MDR (multi-drug resistance) o superbugs (di cui ci ha parlato Lisa Vozza nel suo blog Biologia e dintorni). Il più temibile tra questi è lo Staphilococcus aureus resistente alla meticillina (abbreviato a MRSA), responsabile ogni anni di milioni di morti in tutto il mondo. Per contrastare la resistenza agli antibiotici è necessario agire su due fronti: limitarne l’uso ai casi strettamente necessari e promuovere la scoperta di nuove molecole, per le quali sia più difficile lo sviluppo di fenomeni di resistenza.
La resistenza alle penicilline: l’enzima beta-lattamasi Tra i meccanismi di farmaco-resistenza meglio conosciuti vi è quello della beta-lattamasi, un enzima prodotto dai batteri resistenti alle penicilline. Il sito catalitico dell'enzima ha un residuo di serina, che reagisce con la penicillina mediante una reazione di attacco nucleofilo al carbonile: l’atomo di ossigeno del gruppo –OH della Ser è il nucleofilo che attacca il carbonio del gruppo carbonile dell’anello lattamico, provocandone l’idrolisi e inattivando la penicillina (Immagine: Lara Rossi). Per contrastare i fenomeni di resistenza, le penicilline sono spesso somministrate insieme a inibitori delle beta-lattamasi. Queste molecole hanno un anello lattamico che reagisce con il residuo di serina come la penicillina ma, a differenza di quest’ultima, instaurano con esso un legame covalente che inattiva l’enzima in modo permanente.

Come si scoprono nuovi antibiotici?

Per ottenere nuovi antibiotici, gli scienziati sfruttano due strategie parallele: la cernita di microrganismi del suolo (la cosiddetta microbial dark matter) che li producono naturalmente e la sintesi chimica. Dal 1928, anno della scoperta della penicillina, sono state identificate migliaia di antibiotici; tuttavia, l’aumentare dei casi di farmaco-resistenza rende sempre più pressante la necessità di molecole con meccanismi d’azione sempre diversi. Un altro aspetto fondamentale della ricerca sugli antibiotici riguarda i meccanismi alla base della loro sintesi. In questo studio riportato da Aula di Scienze viene finalmente messo in luce il meccanismo di sintesi della nisina, un antibiotico molto complesso prodotto dal batterio Lactococcus lactis e usato come conservante alimentare fin dagli anni sessanta del secolo scorso. Il gene della nisina codifica per un peptide di 34 amminoacidi che, subisce diverse modifiche prima di acquisire la forma e la funzione definitive. Tra queste vi è la formazione di amminoacidi non convenzionali, come la lantionina, che si ottiene per coniugazione di un residuo di cisteina con uno residuo di serina. Conoscere le tappe che portano alla biosintesi degli antibiotici è importante non solo per ottimizzare la loro sintesi chimica su scala industriale, ma anche per capire quali meccanismi mediano la resistenza e aggirarli.
A caccia di nuovi antibiotici con iChip Grazie a una nuova tecnica chiamata iChip (descritta in questa news dell’Aula di Scienze) è stata isolata la teixobactina, un nuovo “super-antibiotico” efficace su ceppi particolarmente temibili, come l’MRSA. La teixobactina agisce in un modo completamente diverso dagli antibiotici conosciuti fino a ora: anziché legarsi alle proteine della parete batterica, la teixobactina interagisce con gli acidi grassi. A differenza delle proteine, che mutano in continuazione per effetto della pressione selettiva dell’ambiente, le molecole di natura lipidica sono una componente altamente conservata e irrinunciabile delle strutture biologiche: questo conferisce agli antibiotici come la teixobactina un vantaggio enorme nella lotta alla multiresistenza.
Immagine Box e Banner: Shutterstock
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