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Ingegneria

Ingegneria ambientale

Per approfondire percorsi di studio e sbocchi professionali leggi:

Laura Broleri è ingegnera e ricopre il ruolo di sustainability scientific impact specialist, specialista di sostenibilità con focus legato all’impatto ambientale, in un’azienda con sede a Parma che produce shampoo, balsami e altri cosmetici per capelli e che distribuisce in novanta Paesi del mondo. Il suo lavoro è relativamente nuovo e consiste nel misurare l’impatto ambientale dei diversi processi aziendali e suggerire percorsi e azioni per ridurlo. Un lavoro sempre più importante e richiesto che Laura Broleri svolge mossa da una passione che è nata fin da quando era piccola.

INDICE

  • Ci racconta il percorso che l’ha portata a fare quello che fa oggi?
  • Quali sono le ragioni che hanno determinato le sue scelte?
  • Quali sono le attività che svolge?
  • Quali sono le caratteristiche necessarie, in termini di percorso di studi e di attitudini personali, per fare il suo lavoro?
  • SCIENZA IN PRATICA – Sostenibilità e imballaggi
  • LE PROFESSIONI – Sostenibilità aziendale

PER APPROFONDIRE

  • Leggi altre interviste relative all’ingegneria ambientale
  • Scopri percorsi di studio e sbocchi professionali
  • Scopri dove si studia ingegneria

Partiamo proprio dalla sua passione per l’ambiente. Ci racconta il percorso che l’ha p ortata a fare quello che fa oggi?

Credo che tutto sia nato per merito degli scout. Sono cresciuta in un piccolo paese di campagna e sono stata scout per quindici anni, ho sempre avuto un contatto molto stretto con la natura e mi sono sempre sentita in dovere di fare la mia parte per conservarla. 

Alle superiori ho fatto il liceo tecnologico perché mi è sempre piaciuta la scienza e quando mi sono trovata a scegliere l'università ho optato per un corso di ingegneria energetica al Politecnico di Milano, proprio perché pensavo che per proteggere l’ambiente fosse necessario occuparsi di energia. Ho avuto la fortuna di accedere a un percorso di doppia laurea internazionale che mi ha portata già dal secondo anno a studiare e fare uno stage in Cina, dove mi si è aperto un mondo sul tema dell’energia al di fuori dell'Italia. Per la specialistica volevo rimanere all’estero per continuare la mia esperienza internazionale e quindi ho scelto un percorso biennale equivalente alla nostra laurea specialistica ma finanziato e coordinato da un acceleratore di startup innovative nell’ambito delle energie rinnovabile che si chiama Innoenergy in collaborazione con una rete di Università in tutta Europa. Ho scelto quindi di fare un passo ulteriore nella mia formazione e specializzarmi nella gestione dei sistemi, quindi capire quali sono tutti gli attori all’interno del mondo variegato delle energie rinnovabili sostenibili e trovare modi per catalizzare i collegamenti tra loro e creare un sistema che realmente funzioni.

Dei due anni di specializzazione, uno l’ho passato a Barcellona all’Università politecnica di Catalunya e l’altro all’università di Lisbona.

Quali sono le ragioni che hanno determinato le sue scelte?

Il filo conduttore di tutto questo mio percorso è il voler avere un impatto sulla transizione ecologica e alla fine del mio percorso di laurea mi sono resa conto che avrei dovuto fare un’ulteriore passo. Nel momento in cui mi sono trovata a cercare lavoro sapevo di voler qualcosa che mi permettesse di applicare le conoscenze a livello tecnico-scientifico che avevo acquisito, anche con la prospettiva internazionale, però in un campo più ampio rispetto a quello dell’energia. Mi sono chiesta quale potesse essere la figura professionale che mi sarebbe piaciuto andare a ricoprire e con molta fortuna ho trovato un annuncio per un lavoro in Davines che aveva tutte le caratteristiche di quello che mi piaceva fare. All’azienda serviva una figura più tecnica che potesse dare una base scientifica di consolidamento dei metodi che venivano applicati su diversi progetti e visto che era un ruolo nuovo, appena creato, ho avuto quindi la possibilità di plasmarlo a seconda delle mie competenze e continuo a farlo, perché nel settore della sostenibilità le cose cambiano molto in fretta.

Il suo sembra essere un lavoro molto complesso. Ci aiuta a comprenderlo? Quali sono le attività che svolge?

Lavoro per un’azienda di cosmetici, ma il ruolo che ricopro si presta bene a molti settori diversi perché non mi occupo nello specifico dei prodotti, ma intervengo a livello aziendale. La mia azione interessa diverse macroaree. Una di queste è senz’altro l’impatto ambientale dal punto di vista tecnico-analitico. Questo significa che monitoro le attività che hanno un impatto ambientale in azienda e arrivo a calcolare la nostra carbon footprint, cioè l’impronta carbonica, stimando quali sono le nostre emissioni di gas serra. Nella pratica questo significa raccogliere i dati, capire quali sono i fattori di emissione, da dove derivano eccetera. Da qui segue tutta una parte di calcoli e modellazione per capire come modificare le nostre attività per ridurre le emissioni.

Un altro grosso tema di cui mi occupo è quello della circolarità, quindi tutto quello che riguarda i materiali riciclati, o il cercare materiali innovativi meno impattanti o, ancora, applicare i principi di ecodesign, quindi di progettazione con un occhio all’impatto ambientale. Faccio poi molta ricerca, per essere sempre aggiornata su quello che sta succedendo nel mondo nei diversi ambiti che ci interessano, sia per quanto riguarda i calcoli e i modelli matematici, sia sul piano dei materiali, con l’obiettivo di migliorare i nostri processi interni e ridurre il nostro impatto.

Quindi in sostanza il mio lavoro consiste nel monitorare la situazione attraverso l’analisi di molti parametri che seguo nel tempo, capire quali attività possono essere fatte per minimizzare l’impatto negativo o avere un impatto positivo e da lì capire come supportare le attività che facciamo sia per comunicare dati sia per sviluppare attività che abbiano una sostanza scientifica sotto.

Quali sono le caratteristiche necessarie, in termini di percorso di studi e di attitudini personali, per fare il suo lavoro?

Serve sicuramente un percorso di studi scientifico. A me ha aiutato moltissimo fare ingegneria perché la struttura mentale che ti dà questo corso di laurea è molto “inquadrata”, ma ti aiuta a organizzare i flussi, vedere i dati, capire se c’è qualcosa che manca, applicare la classica struttura “problema, sviluppo, soluzione” che insegnano fin dal primo anno.

Si può avere questo approccio a prescindere dalla scelta universitaria, ma un corso di studi come ingegneria ti fa conoscere strumenti e soluzioni utili per il lavoro che andrai a fare. La mentalità di dire “imposto un modello in un certo modo” mi ha permesso di gestire analisi complesse con banche dati enormi da incrociare.

Poi sicuramente è importante fare un’esperienza all’estero. Non perché in italia non ci sia una formazione giusta, anzi. Arriviamo all’estero con un bagaglio di informazioni e competenze molto specializzato, ma quello che ci manca e che invece all’estero è molto valorizzato è la pratica. Nei miei anni passati tra Cina, Spagna e Portogallo sono stata messa alla prova molte volte, ho potuto mettere in pratica quello che stavo imparando a lezione e sono tutte cose che tornano utili nel momento in cui ci si trova a lavorare in aziende che hanno un assetto internazionale.

Ma questo lavoro non si può fare se non ci si crede un po’. Bisogna essere interessati alla sostenibilità, voler in qualche modo cambiare le cose e lasciare il segno. Certo, è anche un’arma a doppio taglio perché quando sei così emotivamente coinvolto in quello che fai, riuscire ad accettare che non sempre si riesce ad avere un impatto positivo o a minimizzare gli impatti negativi delle cose che si fanno fa soffrire. Ma quando ci si riesce è bellissimo.

SCIENZA IN PRATICA

Sostenibilità e imballaggi

Quando si parla di sostenibilità, uno dei temi caldi, soprattutto per le aziende cosmetiche, è l’uso della plastica per gli imballaggi. Come l’avete affrontato?

Noi utilizziamo la plastica per i contenitori di shampoo, balsami e creme. Siamo giunti a questa conclusione ragionando e applicando il metodo che descrivevo prima, quindi misurando l’impatto su tutto il processo dell’uso di diversi imballaggi e ottimizzando i processi per riuscire ad avere una filiera virtuosa sfruttando l’ecodesign, cercando di utilizzare più plastica riciclata possibile, eccetera. Ma a un certo punto ci siamo resi conto che per quanto potessimo contenere l’impatto internamente, la messa in commercio di prodotti di plastica avrebbe comunque avuto un impatto sull’ambiente. La nostra azienda commercia in novanta Paesi del mondo, in alcuni dei quali c’è molto inquinamento. Ci siamo quindi posti come obiettivo quello di quantificare quale potesse essere questo impatto nei tanti paesi nei quali esportiamo. Facendo ricerca ho trovato alcune metodologie che permettono di calcolare il cosiddetto plastic leakage, cioè letteralmente la dispersione nell’ambiente della plastica. Lo abbiamo quantificato Paese per Paese, tenendo in considerazione che non in tutti i paesi c’è un sistema di riciclo efficiente o discariche gestite correttamente. Il risultato della mia analisi ha portato a un numero, 14 tonnellate, che ci ha permesso di attivare un progetto assieme a un'organizzazione che si chiama Plastic Bank di raccolta della plastica in tre Paesi scelti sulla base del nostro mercato e della situazione locale. Nel 2020 abbiamo raccolto 100 tonnellate di plastica a fronte delle 14 calcolate per quei tre Paesi. Abbiamo poi deciso di fare un passo ulteriore per il 2022 e diventare plastic neutral, cioè raccogliere in questi paesi tanta plastica quanta ne avremo venuta in tutto il mondo. Quindi tanto immetteremo nei mercati mondiali e tanto ne recupereremo.

Tutto è nato da una mia ricerca e dall’applicazione degli strumenti che ho appreso nel mio percorso di studi, l’azienda mi ha dato fiducia e pian piano siamo riusciti a fare qualcosa che impatta i mercati globali. Sul piano personale posso dire che è una bella soddisfazione. Mi sento l’attore tra il dire e il fare.

LE PROFESSIONI

Sostenibilità aziendale

Una persona che si occupa di sostenibilità aziendale ha a che fare con molte figure professionali, tra cui:

  • personale addetto alla ricerca e allo sviluppo: ricercatori e ricercatrici che si occupano di mettere a punto le formule dei cosmetici e che scelgono o lavorano sugli imballaggi
  • project manager: persone con una formazione scientifica e gestionale che si occupano di ottimizzare il flusso di lavoro
  • personale dell’ufficio acquisti, per la scelta delle materie prime e degli imballaggi
  • personale addetto alla comunicazione: per la comunicazione all’esterno dei progressi effettuati
  • dirigenza aziendale: i risultati del lavoro del gruppo dedicato alla sostenibilità ricadono su tutta l’azienda, quindi c’è un dialogo diretto con il gruppo dirigenziale.

Elena Chisena è un’ingegnera ambientale lucana che ha passato buona parte della sua vita a studiare e lavorare in giro per il mondo per approdare infine a Parma dove è sustainability project manager, cioè responsabile dei progetti legati alla sostenibilità in Davines, una grossa azienda cosmetica specializzata in prodotti per capelli. Il suo è un percorso con molte deviazioni, ma con un obiettivo fisso: la tutela dell’ambiente.

INDICE

  • Da dove è nata la sua passione per la sostenibilità?
  • Come è avvenuto il primo contatto con il mondo del lavoro?
  • Che cosa fa una sustainability project manager?
  • Ci sono percorsi di studio dedicati o attitudini particolari che bisogna avere?
  • SCIENZA IN PRATICA - Che cosa vuol dire raggiungere “emissioni zero” per un’azienda?
  • LE PROFESSIONI - La sostenibilità è un tema trasversale

PER APPROFONDIRE

  • Leggi altre interviste relative all’ingegneria ambientale
  • Scopri percorsi di studio e sbocchi professionali
  • Scopri dove si studia ingegneria

Da dove è nata la sua passione per la sostenibilità?

Ho sempre avuto un interesse per l’ambiente e mi considero un’esploratrice. Che si tratti di mare o di montagna mi è sempre piaciuto andare a scoprire il territorio. A questa mia passione si è unita, negli anni del liceo, quella per la scienza che mi ha portata alla fine a scegliere di iscrivermi nel 2006 a Ingegneria ambientale. Questo percorso di studi, da un lato metteva assieme i miei interessi, dall’altro sembrava anche promettere bene sul piano del posizionamento nel mondo del lavoro, perché erano i primi anni nei quali l’ambiente iniziava ad avere importanza strategica, sia a livello governativo sia a livello industriale. Durante il mio corso di studi ho avuto l’opportunità di passare un anno in Danimarca per un Erasmus che in teoria doveva servirmi per imparare l’inglese, ma nella pratica è stata un’esperienza così arricchente che ho deciso di fermarmi e conseguire lì una seconda laurea triennale, questa volta a indirizzo civile con specializzazione in sostenibilità. Ho studiato tutta la parte di gestione sostenibile, che era molto variegata perché andava dall’urban planning, alla gestione delle acque, alla progettazione di tetti verdi e in generale a tutto ciò che riguarda le infrastrutture sostenibili.

Questo percorso potrebbe sembrare molto simile a quello di Ingegneria ambientale che avevo già fatto, ma in realtà era profondamente diverso. Se dovessi usare una metafora direi che è cambiata la lente attraverso la quale guardavo al tema della sostenibilità.

Come è avvenuto il primo contatto con il mondo del lavoro?

Quando sono tornata in Italia ho concluso il mio percorso di studi con la laurea magistrale e ho iniziato a lavorare nel dipartimento di Environment Health and Safety, quindi ambiente, salute e sicurezza, di una grossa multinazionale farmaceutica. Sono stata molto fortunata nell’incontrare persone che hanno investito su di me e che mi hanno affidato un ruolo di responsabilità nonostante non avessi esperienza. Questo mi ha permesso di crescere molto in fretta e di arrivare a conoscere bene questo mondo. Ma ho anche capito che quello che stavo facendo era più orientato alla salute che all’ambiente. Ho quindi modificato il mio impegno, cambiando ruolo più volte e ho lavorato come project manager in tutta Europa fino a quando i tempi sono diventati maturi per spostarmi nella sede inglese della multinazionale. Negli anni passati a Londra sono riuscita a spingere sempre di più sulla parte ambientale, ma non ero comunque pienamente soddisfatta. Il mio lavoro consisteva nel garantire la conformità legislativa e regolatoria, quella che prevede che l’azienda e i vari flussi aziendali soddisfino determinati standard richiesti. Un lavoro molto burocratico, sicuramente importante, ma che non permette di modificare sostanzialmente le cose, come invece avrei voluto fare io. Mi sono quindi di nuovo messa a studiare e ho conseguito una certificazione specifica che mi avrebbe permesso di cercare lavoro come professionista di sostenibilità.

Dopo questo lungo viaggio sono arrivata a fare il mestiere che faccio oggi e posso dire che è stato un approdo molto desiderato, ma non facile. Con la mia esperienza lavorativa internazionale avevo raggiunto un livello molto avanzato e rischiavo di dover ripartire da zero. È stato un po’ un salto nel vuoto che, alla fine, fortunatamente si è rivelato giusto e mi ha permesso di fare davvero ciò che mi soddisfa.

Che cosa fa una sustainability project manager?

La mia figura è un ibrido tra project manager, quindi di chi fa sì che un progetto complesso arrivi a un risultato, e di una persona che è esperta di sostenibilità. Quindi, da un lato gestisco, nel senso ampio del termine, i progetti che possono minimizzare l’impatto delle attività aziendali su determinati ecosistemi, dall’ambiente alla società. Questo significa che ogni giorno gestisco relazioni con le persone coinvolte, quelli che vengono chiamati stakeholders. La sostenibilità è un campo trasversale che coinvolge tante funzioni all’interno di un’azienda ed è necessario il coordinamento di tutte queste parti per riuscire a raggiungere i risultati desiderati. Poi c’è la parte tecnico-organizzativa. Come esperta di sostenibilità devo fornire conoscenze scientifiche e strutturali alla mia azienda andando a pescarle letteralmente in giro per il mondo in modo da cominciare a implementare le attività pianificate per arrivare al raggiungimento degli obiettivi.

In base al progetto ci sono poi aspetti che vanno gestiti in maniera diversa. Ci sono progetti dove la parte di gestione delle relazioni è più importante, quindi l’ascolto delle persone o il loro coinvolgimento attivo, mentre ci sono progetti nei quali a essere preponderante è l’apporto tecnico, quindi, per esempio, andare a capire che cosa succede al di fuori della nostra azienda e capire come fare a integrarlo nei nostri processi per raggiungere determinati standard di sostenibilità. In generale, posso dire che il mio lavoro è fatto di una profonda comprensione scientifica degli argomenti, ma non è così focalizzato sui numeri come quello di altre colleghe e colleghi che si occupano di fare calcoli e modelli.

Il suo è un percorso sicuramente molto originale, ma quali sono le competenze richieste per fare il suo lavoro oggi? Ci sono percorsi di studio dedicati o attitudini particolari che bisogna avere?

Io ho fatto la strada lunga per arrivare alla sostenibilità, ma oggi ci sono molti percorsi diretti e corsi di laurea bellissimi. Rimanendo nel mio ambito specifico, quello dell’ingegneria, ma anche spaziando in quelle che vengono chiamate environmental sciences, cioè scienze ambientali. Le differenze sono nei metodi e negli strumenti, perché l’ingegneria si concentra di più sulle questioni tecniche di dimensionamento e struttura, mentre le scienze ambientali sono più focalizzate sulle questioni scientifiche, ma l’obiettivo è comune.

Non bisogna però trascurare le competenze trasversali. La sostenibilità è un campo abbastanza complesso e sono necessarie fortissime competenze comunicative. È molt difficile tradurre concetti così complessi in messaggi che tutti possono afferrare. Diventa quindi essenziale per un professionista della sostenibilità saper comunicare in maniera corretta, rigorosa, ma accessibile. E questa necessità c’è anche nella comunicazione all’interno dell’azienda, perché ci sono poche persone formate in questo campo, quindi questo lavoro di traduzione va fatto costantemente altrimenti non si raggiungono gli obiettivi che ci si è posti. Deve essere tradotto in modo corretto, senza far perdere la complessità, ma in maniera che sia compreso e senza spaventare le persone. Quindi, le competenze comunicative sono importantissime, come ormai in moltissimi lavori, ma in questo serve una spinta a ingaggiare le persone, a incuriosire e a farle salire a bordo. Se dovessi, quindi, identificare due parti fondamentali sarebbero sicuramente la formazione scientifica e quella comunicativa.

SCIENZA IN PRATICA

Che cosa vuol dire raggiungere “emissioni zero” per un’azienda?

Una delle sfide più grandi dell’azienda per la quale lavoro è il raggiungimento dell’obiettivo Net Zero Emission entro il 2030. Un azienda net zero riduce le emissioni di gas serra prodotte dalle attività aziendali e assorbe le emissioni residue, raggiungendo quindi uno stato di impatto netto zero sul clima. Questo processo è in linea con la traiettoria indicata dal cosiddetto Accordo di Parigi di limitare entro il 2050 l'aumento della temperatura globale a 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali. Nell’ambito del raggiungimento di questo obiettivo un’azienda deve considerare tutte le emissioni, dirette e indirette, derivanti dalle attività aziendali. In questo caso, lo stato di equilibrio tra emissioni generate e emissioni evitate o assorbite prevede innanzitutto la riduzione delle emissioni e in secondo luogo la neutralizzazione delle emissioni residue che non si è in grado di eliminare attraverso il loro assorbimento, per esempio supportando in progetti di riforestazione. Questo significa che vogliamo ridurre le emissioni di anidride carbonica il più possibile e neutralizzare tramite l’assorbimento tutto quello che manca per arrivare a zero. Questo programma molto ampio prevede una comprensione scientifica del quadro di riferimento strategico a livello globale, ma anche la comprensione della direzione in cui il mondo deve andare. La conoscenza della scienza, la comprensione matematica alla base è molto importante, perché se non c’è tutti i concetti rimangono astratti. Si tratta di questioni che sono talmente arzigogolate e complesse che non possono essere facilmente accessibili a persone che non hanno una formazione scientifica. Ci si può arrivare, con molto sforzo, ma l’attitudine a leggere determinati contenuti ci vuole.

LE PROFESSIONI

La sostenibilità è un tema trasversale

In un’azienda, il tema della sostenibilità è trasversale, pertanto chi se ne occupa interagisce con tutti i reparti e la dirigenza di tutti i livelli. Tra le persone con cui interagisce figurano, per esempio, il personale adetto a ricerca e sviluppo e quello addetto alla logistica. Inoltre, sono molto importanti anche le relazioni con l’ufficio marketing, affinché la la comunicazione sui prodotti sia corretta, e con il team che si occupa della comunicazione, affinché gli avanzamenti in ambito di sostenibilità siano comunicati all’esterno

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