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Acque in bottiglia tra scienza e marketing

Il marketing delle acque minerali ha contribuito a diffondere molti miti sulle loro proprietà, spesso non sostenuti da prove scientifiche

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Sul fatto che bere una giusta quantità di acqua, calibrata alle esigenze fisiologiche della singola persona (che variano anche in ragione del clima e dell’attività fisica) sia una parte importante di una sana alimentazione non ci sono dubbi. Dal momento, però, che quello dell’acqua in bottiglia rappresenta un settore commerciale molto florido, anche in questo campo il marketing ha esercitato un’importante azione, che ha contribuito attivamente alla diffusione di alcuni miti, molti dei quali non resistono a un esame approfondito e basato sull’evidenza scientifica.

La sfiducia verso l’acqua del rubinetto

Partendo dalle basi del discorso, basta muoversi tra le corsie di un supermercato italiano per rendersi conto dello spazio occupato dalle acque imbottigliate, che abitualmente non si riscontra in altri paesi. Sembra di poter dedurre che in Italia la diffidenza verso l’acqua potabile che viene erogata dai rubinetti sia molto forte e diffusa. Il fatto di rifornirsi regolarmente di confezioni di acqua in bottiglia è una parte abituale della spesa per molte famiglie, mentre l’acqua del rubinetto viene in molte case riservata solo alla cucina, all’igiene personale e alle pulizie. Quanto è giustificata questa pratica?

Come ricapitolano con dovizia di particolari i gestori delle reti idriche, i ministeri coinvolti, ma anche l’Efsa (l’autorità che si occupa a livello europeo della sicurezza alimentare) e l’Istituto Superiore di Sanità, si tratta di un’abitudine che non ha alcun fondamento razionale. Come sottolinea, infatti, Gabriele Bernardini, biologo nutrizionista e divulgatore scientifico su tematiche collegate all’alimentazione:

L’acqua di rubinetto è garantita nella sua sicurezza da parte dei gestori delle reti idriche, che procedono a continue e regolari operazioni di controllo, che ne garantiscono il rispetto dei parametri stabiliti dalle autorità. I sindaci delle diverse città – come è accaduto in alcuni casi isolati che non rappresentano assolutamente una situazione generalizzata – emetterebbero immediatamente un’ordinanza che ne vieta l’erogazione se non fossero soddisfatte le condizioni di sicurezza, fino al loro ripristino.

D’altra parte, è bene ricordare che le eventuali rare situazioni di temporanea contaminazione riguardano sia l’acqua di rubinetto, sia le sorgenti dalle quali si ricava l’acqua in bottiglia. Naturalmente la sicurezza garantita dall’ente erogatore per l’acqua di rubinetto è assicurata fino al contatore delle diverse abitazioni. Continua Gabriele Bernardini:

Alcune case dei centri storici non sottoposte a ristrutturazione, con tubature degli anni ’60-’70 del secolo scorso mai sostituite potrebbero avere ancora il problema del piombo, che potrebbe contaminare l’acqua e presentarsi in concentrazioni superiori ai livelli di sicurezza. Ma a parte questi casi isolati e degni di essere approfonditi, il consumo di acqua in bottiglia risulta assolutamente ingiustificato, come pure l’abitudine di installare depuratori domestici. Non c’è un motivo al mondo per preferire l’acqua in bottiglia, anche per ragioni economiche e di tutela dell’ambiente: costa di più, si adopera materiale plastico e non è più sana dell’acqua di rubinetto.

In alcuni casi il timore è relativo alla clorazione dell’acqua potabile, oggetto, nel tempo, di diverse fantasie complottistiche, ma anche quest’operazione è, in realtà, un’importante garanzia di sicurezza microbiologica. Il sapore collegato alla clorazione, in alcuni casi più forte e fastidioso per alcune persone, può essere ridotto agevolmente raccogliendo l’acqua in una brocca e lasciandola riposare prima di consumarla. Ma le questioni di gusto personale, è bene ribadirlo, non hanno alcuna influenza sulla sicurezza e la salubrità.

I parametri dell’acqua in bottiglia

Tra i parametri più spesso pubblicizzati nelle acque in bottiglia c’è quello del contenuto di sodio, tanto da costituire l’elemento di punta del marketing per alcune acque molto famose. Ricorda Bernardini:

Anche l’attenzione a questo valore non ha alcun senso perché il contenuto di sodio delle acque in bottiglia è sempre ininfluente se lo paragoniamo al sodio che introduciamo ogni giorno con l’alimentazione.

Come segnala in modo molto chiaro l’Istituto Superiore di Sanità in una sezione dedicata al sodio, facente parte di un progetto che riguarda il rischio cardiovascolare, molti degli alimenti che consumiamo abitualmente ci fanno già da soli superare il quantitativo massimo desiderabile di sodio giornaliero. In media ciascuno di noi consuma ogni giorno circa 4 g di sodio, mente la quantità giornaliera massima consigliata sarebbe 2 g (e basta una pizza per raggiungerla). Questi valori di sodio corrispondono a 10 g di consumo medio di sale contro i 5 g di sale che rappresenterebbero il limite massimo consigliato. Nel mercato sono presenti acque a basso contenuto di sodio, ma la maggior parte delle acque minerali ha un contenuto di sodio inferiore a 0,05 grammi per litro, quindi occorrerebbero più di 40 litri al giorno per raggiungere i 2 g. Con due litri di acqua al giorno si introduce in media dall’1 al 5% della quantità massima giornaliera consigliata. Quindi prestare attenzione a questo parametro ha davvero poco senso.

E il residuo fisso? Sottolinea Bernardini: «Con questo parametro si indica la quantità di minerali complessiva, anche questa ininfluente. La scelta dipende solo dal gusto personale». In particolar modo, le acque con il residuo fisso più basso, ovvero quelle minimamente mineralizzate (residuo inferiore o uguale a 50 mg/l), sono spesso pubblicizzate come più “leggere” e adatte a essere impiegate per il latte in polvere per neonati, ma senza che vi sia alcuna ragione scientifica che giustifichi questo assunto. E la minore o maggiore durezza? Ricorda l’esperto:

Molti sono convinti che le acque dure, quindi contenenti più calcio, siano un fattore di rischio per la calcolosi renale. Ma in realtà da alcuni decenni è noto che introdurre un maggior quantitativo di calcio, con l’acqua e l’alimentazione, è al contrario un elemento protettivo nei riguardi della calcolosi, perché il calcio si lega agli ossalati (che costituiscono la maggior parte dei calcoli) e il tutto viene eliminato con le feci, evitando che finisca nelle urine. Di conseguenza le acque calcaree abbassano il rischio di calcolosi sia perché, come la ricerca ha ben messo in luce, bere acqua è una misura di prevenzione di per sé, sia per questo meccanismo evidenziato dagli studi, che riguarda anche il calcio contenuto negli alimenti solidi.

Le acque “arricchite”

Ci sono poi quelle che il chimico degli alimenti e divulgatore scientifico Dario Bressanini ha ribattezzato “acque con l’aiutino”, ovvero quelle che vantano speciali proprietà per via degli ingredienti che vi sono addizionati, che sono davvero tantissimi. Tra quelle sempre in voga vi sono le acque addizionate con vitamine e minerali, nonostante sia ampiamente noto che una persona che segue un’alimentazione varia ed equilibrata non ha alcun bisogno di supplementi di questo tipo, che non svolgono alcuna funzione protettiva, nonostante quello che si sente spesso affermare.

Ma recentemente sono diventate molto di moda le acque addizionate con proteine, per esempio il collagene (talvolta in combinazione con minerali o altre sostanze). L’idea sarebbe quella di fornire un prodotto benefico soprattutto per la pelle, perché è noto che il collagene contribuisce in maniera importante alla compattezza e all’elasticità della cute, facendo leva, anche negli slogan e nei nomi commerciali, sul crescente interesse verso la cura della pelle, ovvero sul settore che oggi si indica abitualmente con la parola inglese skincare.

Inoltre, in generale, l’aggettivo “proteico” è oggi molto ricorrente nei claim pubblicitari, perché viene sovente associato ad alimenti percepiti come più salutari e ritenuti in grado di agevolare la perdita di peso e lo sviluppo della massa muscolare, mentre spesso i carboidrati sono guardati con diffidenza. Anche questa, però, è solo un’astuta trovata pubblicitaria, senza basi scientifiche. Fa notare, infatti, Bernardini:

Si tratta anche in questo caso di marketing che va incontro alla moda attuale di introdurre grandi quantità di proteine. Non abbiamo carenze proteiche e anzi esageriamo nella nostra dieta e introduciamo, in media, troppe proteine e pochi carboidrati. Non abbiamo, quindi, bisogno di quelle inserite nell’acqua. In particolare, il collagene addizionato non contribuisce a creare altro collagene, dato che viene digerito e smontato nei suoi amminoacidi. Peraltro le quantità aggiunte alle acque sono risibili. Si tratta di inutili e costose bufale.

Di conseguenza, alla luce delle nostre conoscenze scientifiche, non vi sono ragioni per investire le proprie risorse economiche nell’acqua in bottiglia, di qualsiasi tipo, con o senza aggiunte varie. Una sana alimentazione e un giusto quantitativo di acqua (per esempio quella erogata dai rubinetti delle nostre case) sono, invece, un importante modo per tutelare la propria salute.

immagine di copertina: congerdesign via Pixabay

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(crediti: kaboompics via Pixabay)

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Acque minerali nella corsia di un supermercato (immagine: denvit via Pixabay)