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Lo sport ai tempi della crisi climatica

A pochi mesi dalle Olimpiadi di Parigi, proviamo a capire quali sono le pratiche sportive più minacciate dall’aumento delle temperature

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«Qualcuno qui morirà, e allora vedremo». Era il settembre del 2023, si giocavano i quarti di finale degli US Open di tennis a New York. Queste sono state le parole di Daniil Medvedev rivolto a una telecamera, stremato da un caldo che non era compatibile con lo sforzo di quella giornata, 35 °C. Quello è stato un momento di verità non solo per quello specifico sport, ma per quasi tutti gli sport, che si devono confrontare con la sfida di svolgersi all’aperto durante un’emergenza climatica.

La pratica sportiva si fa col corpo e spesso all’esterno, nei campi, negli stadi, sulla neve, e l’interazione tra la fatica umana e le conseguenze del riscaldamento globale sta diventando un problema per tantissime discipline, che oggi si trovano sempre più spesso di fronte a questa domanda: potremo ancora praticare il gioco che amiamo in un mondo che diventa sempre più inospitale?

Gli sport invernali

Questa rassegna non può che partire dalle discipline che sono più sotto pressione per l’aumento delle temperature: gli sport invernali. Quanto, quando, come e dove si potrà sciare è la domanda che preoccupa di più il settore. L’industria dello sci è cruciale per tantissimi paesi europei: le Alpi sono gli ecosistemi montuosi più colpiti al mondo dal declino della neve. Secondo una ricerca pubblicata su Nature, in uno scenario intermedio, vicino o poco superiore agli obiettivi dell’accordo di Parigi del 2015, il 53% dei 2234 resort sciistici europei è ad alto rischio chiusura. In uno scenario estremo di aumento delle temperature (+4°C), il 98% degli impianti sarebbe ad alto rischio: in un’Europa così calda, semplicemente non ci sarebbe più neve naturale per praticare gli sport invernali. L’Europa è il centro dello sci mondiale: qui ci sono il 50% degli impianti del mondo e l’80% di quelli più grandi, con un afflusso superiore a un milione di persone all’anno. Se lo sci finisce in Europa, tenderà insomma a sparire del tutto come disciplina.

C'è ovviamente la risorsa della neve artificiale, che però non rappresenta una salvezza assoluta: con un uso massiccio di questa risorsa, il rischio chiusura sarebbe del 27% degli impianti in uno scenario +2 °C e del 71% in uno scenario +4 °C. In pratica, se non fermiamo il riscaldamento globale, due terzi degli impianti europei non potrebbero funzionare nemmeno usando la neve artificiale. Inoltre, c'è da considerare che la neve artificiale non è gratis, né dal punto di vista economico, né da quello ecologico, dal momento che richiede un massiccio utilizzo di acqua e di energia elettrica per essere prodotta. Usare neve artificiale fa aumentare i consumi idrici tra il 25% e il 42%, in uno scenario in cui il declino della risorsa potrebbe essere del 40% a causa del calo delle precipitazioni. Insomma, la neve artificiale ci costringe a usare più acqua proprio in una fase storica in cui dovremmo iniziare a risparmiarne, e rischia di creare conflitti tra i vari utilizzatori (le case, le industrie, l'agricoltura, gli ecosistemi stessi). Inoltre, per fare neve artificiale si consumano 300 GWh ora all’anno, con 80 mila tonnellate di CO2 di emissioni, che saliranno a quasi 100 mila in caso di uso intensivo. Per risolvere un problema causato dal riscaldamento globale, ci troveremmo ad avere ancora più impatto sul riscaldamento globale.

Olimpiadi a rischio

Questa situazione rende problematico anche il futuro delle Olimpiadi invernali: nel 2022 ha colpito tutti gli appassionati l’Olimpiade invernale di Pechino, la prima della storia che si è svolta esclusivamente con neve artificiale. Potrebbe essere la condizione del futuro. Secondo uno studio recente, se guardiamo alle città che hanno ospitato i Giochi invernali nel passato, quattro presto non sarebbero più in grado di ospitarli in futuro per mancanza di neve: Chamonix, Sochi, Grenoble e Garmisch-Partenkirchen. A loro potrebbero aggiungersi Squaw Valley e Vancouver. Entro il 2080, 11 delle 21 città olimpiche del passato non potrebbero farcela a ospitarli di nuovo: tra loro Torino, Nagano e Innsbruck. Tra le ipotesi allo studio, c'è quella di avere una rete di località fisse in climi più freddi dove ospitare in modo permanente i Giochi invernali, evitando il meccanismo che abbiamo usato finora, cioè quello delle rotazioni.

Non è più facile la situazione dei Giochi Olimpici estivi, che per tradizione si svolgono a luglio o agosto, nei mesi più caldi nell’emisfero settentrionale. Secondo uno studio Nikkei, ad agosto del 2050 praticamente in tutta l’Asia farà troppo caldo per ospitare qualsiasi Olimpiade estiva. Allargando l’analisi, su 193 grandi città del mondo (quelle che di solito si candidano per ospitarli), il 60% non potrebbe accogliere e far gareggiare gli atleti nel periodo estivo. Una possibile conseguenza potrebbe essere spostare le Olimpiadi più avanti nel corso dell’anno: passeremmo dall’avere Olimpiadi estive ad avere Olimpiadi autunnali.

E il calcio?

Anche lo sport più amato e praticato al mondo, il calcio, non è immune ai rischi della crisi climatica. Ai mondiali del Qatar abbiamo visto la prima grande competizione internazionale svolgersi in stadi con l’aria condizionata, ed era il mese di dicembre. Secondo uno studio del 2020 intitolato Playing Against the Clock: Global Sport, the Climate Emergency and the Case for Rapid Change, pubblicato da Rapid Transition Alliance e Play the Game, uno stadio della Premier League su quattro e diversi nel resto d’Europa rischiano di trovarsi allagati almeno una volta l’anno nel 2050 a causa degli eventi estremi. Tra questi, ci sono luoghi iconici del calcio inglese, Stamford Bridge, la casa del Chelsea, il London Stadium, del West Ham. Preoccupano gli esperti anche il Matmut Atlantique del Bordeaux, il Weserstadion del Werder Brema, e gli stadi di Ajax e Feyenoord.

A rischio c’è anche la salute dei calciatori, e molti guardano con preoccupazione al mondiale del 2028, che si svolgerà nelle città del Nord America, che d’estate diventano caldissime. Il calcio a 40 °C è un altro sport, ed è uno sport pericoloso per la salute. Durante la preparazione della stagione 2019-2020, la calciatrice della Juventus Sofie Junge Pedersen ha sofferto di un collasso, diagnosticato come shock da caldo. È successo anche a Samuel Kalu, nazionale nigeriano finito in ospedale prima dell’inizio della Coppa d'Africa in Egitto durante un allenamento, per disidratazione da caldo. Il portiere dell’Uganda, Denis Onyango, è stato portato fuori in barella durante una partita, per lo stesso motivo.

Da questa immagine aerea tratta da Google Maps si può apprezzare quanto lo stadio Al Bayt sia una minuscola macchiolina verde immersa nel deserto:

Non solo tennis

Torniamo al tennis e alla denuncia fatta da Daniil Medvedev. Secondo Associated Press, la temperatura media durante le partite dei tornei del Grand Slam è aumentata di 5 °C, con le maggiori difficoltà per gli Australian Open e gli US Open. Nel 2050 a Melbourne, durante gli Australian Open, si potranno regolarmente toccare temperature di 40 °C, a Roland Garros a Parigi, che si svolge durante la primavera, si rischiano condizioni superiori ai 30 °C.

Tra gli sport che potrebbero diventare più complicati da praticare ce n’è un altro che si svolge all’aperto: il golf, con molti dei campi più famosi che si trovano in riva al mare e rischiano di trovarsi regolarmente inondati. «Molti dei nostri percorsi costieri sono a rischio, e dobbiamo ripensare molte cose in futuro», ha detto al New York Times Tim Lobb, presidente dello European Institute of Golf Course Architects. Ci sono anche effetti imprevedibili sugli sport: prendiamo il baseball. Su un pianeta più caldo, si segnano più fuoricampo. Lo ha scoperto l’American Meteorological Society. L’aumento delle temperature ha coinciso con l’aumento dei tiri che vanno direttamente fuori dai ballpark, ed è frutto di una semplice legge fisica: l’aria calda è meno densa dell’aria fredda e la pallina viaggia più velocemente, e quindi va più lontana in una giornata torrida.

immagine di copertina:  Renith R via Unplash

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Una pista da sci di fondo di neve artificiale a Ehrwalder Alm, in Austria (foto: Lukas Seitz via Unplash)

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Un cannone per la produzione di neve artificiale (foto: Joern via Pixabay)

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Lo stadio Al Bayt ad Al Khor in Qatar (immagine: Wikipedia)