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Evoluzione in provetta: il caso e la necessità

Lo studio dell’evoluzione si basa spesso sull’interpretazione delle tracce sopravvissute allo scorrere del tempo, un limite a cui l’evoluzione sperimentale ha cercato di porre rimedio. Ma come è possibile osservare il susseguirsi di migliaia di generazioni direttamente in laboratorio?
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Lo studio dell’evoluzione si basa spesso sull’interpretazione delle tracce sopravvissute allo scorrere del tempo, un limite a cui l’evoluzione sperimentale ha cercato di porre rimedio. Ma come è possibile osservare il susseguirsi di migliaia di generazioni direttamente in laboratorio? Studiare l’evoluzione è un po’ come sfogliare un gigantesco album dei ricordi. Esiste però una branca degli studi evoluzionistici che si distingue per un approccio più sperimentale. L’idea di partenza è la stessa alla base del metodo scientifico tradizionale: a un corpo applico una forza e osservo come questa va a modificare il comportamento dell’oggetto. Nel caso dell’evoluzione sperimentale, il corpo è una specie vivente e la forza può essere uno stress ambientale, come ad esempio un cambiamento repentino della temperatura, la deprivazione di nutrienti o un attacco da parte di predatori o patogeni. Quali cambiamenti avverranno in quella specie al fine di adattarsi al nuovo ambiente? Si tratta di cambiamenti prevedibili o del tutto casuali? Per cercare di rispondere a questa domanda, a partire dal 1988 il gruppo di ricerca di Richard Lenski della Michigan State University si imbarcò in un progetto monumentale: osservare – letteralmente – come una popolazione cambia di generazione in generazione. Certo non si tratta di un esperimento eseguibile su qualsiasi specie: decine di migliaia di generazioni fa molte delle specie – compresa la nostra – non esistevano nemmeno! Ma l’evoluzione ha bisogno di tempi molto lunghi e per potere vederla dipanarsi sotto i nostri occhi è necessario prendere in esame specie le cui generazioni si succedano ad intervalli brevissimi, come nel caso di batteri, virus o lieviti. Nel caso di Richard Lenski la scelta è ricaduta su un ceppo non patogeno di Escherichia coli, le cui colture a lungo termine hanno festeggiato nel febbraio 2010 le cinquantamila generazioni.

Terreni liquidi e solidi (agar) utilizzati per la rapida espansione dei batteri in laboraotorio (Immagine: Wikimedia Commons)

Primo round di selezione: da oggi si inizia la dieta! In una prima serie di esperimenti i batteri di Lenski sono stati sottoposti ad uno stress nutritivo: sei ore di cibo in abbondanza seguite da diciotto ore di deprivazione. I batteri, di generazione in generazione, si sono adattati a questi anomalo ciclo di nutrizione, tanto che quando sono stati confrontati con il ceppo progenitore, i batteri «evoluti» crescevano molto più velocemente (di circa il 60%). Con questo sistema sono state selezionate dodici linee batteriche pur essendo tutte ugualmente in grado di crescere nelle nuove condizioni, l’analisi del loro genoma ha portato alla luce significative differenze: come se le diverse linee avessero conseguito lo stesso risultato attraverso strade – e quindi mutazioni – diverse. In altre parole, c’è una notevole discrepanza tra l’evoluzione genetica di un certo carattere e le sue manifestazioni visibili (chiamate anche fenotipo).

Secondo round: cambio di dieta. Queste piccole varianti genetiche possono però divenire ancora più evidenti al secondo round di selezione, come dimostrato da un secondo esperimento del gruppo di Lenski: dopo aver fatto adattare dodici linee batteriche a vivere in carenza di glucosio, ecco che i ricercatori ne hanno testato la capacità di sopravvivere in completa assenza di questo zucchero, ma in presenza di un suo sostituto, il maltosio. Il risultato è stato che alcuni ceppi sono sopravvissuti, mentre altri sono andati deperendo. Il perché di questa differenza starebbe proprio nel modo in cui le dodici linee si erano originariamente evolute: le differenze genetiche accumulate in quel primo esperimento hanno finito per influenzare anche la selezione in altre condizioni ambientali. In definitiva, la storia evolutiva pregressa finisce per influenzare anche gli adattamenti futuri, rendendo quindi difficile prevedere chi si adatterà e chi no a nuovi cambiamenti. Ogni ceppo si diversificherà nuovamente a partire da condizioni diverse, producendo risultati diversi.

Le colture a lungo termine delle dodici linee batteriche selezionate nel laboratorio di Richard Lenski (Immagine: Wikimedia Commons)

Terzo round: ritorno al glucosio. Dopo aver selezionato nuove linee batteriche in grado di crescere in presenza di maltosio, i ricercatori hanno deciso infine di testarle nell’esperimento contrario: niente più maltosio, da oggi si torna a vivere in presenza di solo glucosio. Che cosa ne è stato delle linee batteriche che ormai si erano abituate a vivere di maltosio? Diversamente da quanto visto nel primo esperimento, che ha visto alcune linee sopravvivere e altre soccombere, in questo caso tutti i ceppi batterici sono riusciti a farcela piuttosto bene. La variabilità di risposte vista nel primo caso è quindi scomparsa. La ragione potrebbe essere che i batteri conoscono un solo modo per vivere di maltosio: le dodici linee si erano – dal punto di vista genetico – evolute tutte nello stesso modo. Il ritorno ad un regime di glucosio è quindi avvenuto imboccando quello che, per forza di cose, era un senso unico evolutivo senza possibilità di deviazioni. A dimostrare che, in alcuni casi specifici, il risultato di un adattamento può essere anche prevedibile. Evoluzione casuale o no? Questo è il problema! La domanda che rimane ancora aperta è quindi: conta di più il caso o la storia evolutiva pregressa di una popolazione? Esperimenti come quelli di Lenski mirano a ricreare micro-ecosistemi in provetta su cui studiare, in un ambiente controllato, i processi evolutivi di una popolazione. Con l’ausilio di questi ecosistemi in miniatura i ricercatori stanno cercando di rispondere ad una delle domande critiche sui percorsi seguiti dall’evoluzione: sono un mero frutto del caso o sono il risultato di processi adattativi? E ancora: l’evoluzione è riproducibile? Se potessimo spingere il tasto rewind sulla storia del nostro pianeta e ripartire da zero, c’è solo un mondo possibile che possiamo ottenere, quello attuale? Dipende. Popolazioni identiche esposte allo stesso cambiamento reagiscono spesso seguendo percorsi paralleli, che derivano da cambiamenti genetici potenzialmente diversi. Si ottengono così nuove popolazioni che, pur essendo fenotipicamente uguali (tutte in grado di vivere con poco glucosio), sono geneticamente diverse. Di fronte ad un nuovo cambiamento ambientale, queste varianti genetiche entreranno in gioco e l’evoluzione smetterà di seguire linee parallele e inizierà a percorre strade che, sotto l’effetto del caso e del particolare passato evolutivo di quella popolazione, si diramano in molteplici direzioni: strade che conducono verso una grande varietà di mondi possibili.

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