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Annusa te stesso

«Conosci te stesso», esortavano gli antichi Greci. Quello che forse non sospettavano è che la capacità degli esseri umani di conoscere se stessi dagli altri è basata sull'olfatto e su molecole - il complesso MHC - gia note per il ruolo nell'immunità. Un nuovo studio ci svela come.
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«Conosci te stesso», esortavano gli antichi Greci. Quello che forse non sospettavano è che la capacità degli esseri umani di conoscere se stessi dagli altri è basata sull'olfatto e su molecole - il complesso MHC - gia note per il ruolo nell'immunità. Un nuovo studio ci svela come.

Anche a voi sarà capitato di imbattervi nella snervante ricerca del profumo perfetto da indossare: «Questo sì, questo no, questo semplicemente lo detesto!». Per aiutarci nella ricerca spesso prendiamo come punto di riferimento profumi naturali: gelsomino, agrumi e chi più ne ha più ne metta. Eppure, che ne siamo consapevoli o meno, quando cerchiamo un nuovo profumo da indossare quello che facciamo potrebbe essere semplicemente “ricercare noi stessi”, o quanto meno la particolare combinazione di molecole olfattive che riconosciamo come “nostre”. A suggerirlo è lo studio realizzato da un gruppo di scienziati della Università di Saarland in Germania che, per la prima volta, ha dimostrato che l’uomo è in grado di riconoscere il proprio odore sulla base della peculiare combinazione di proteine note come complesso maggiore di istocompatibilità o, più semplicemente, MHC (dall’inglese, major histocompatibility complex).

Un studio dimostra, per la prima volta, che anche gli esseri umani sono in grado - seppure senza rendersene conto - di percepire e riconoscere il proprio odore e distinguerlo da quello degli altri: alla base del processo vi sarebbero le molecole del complesso MHC, già note per il ruolo nell'immunità (Foto: Wikimedia Commons).


MHC: la distinzione fondamentale tra "self" e "non-self"
Le molecole MHC si trovano sulla superficie di quasi tutte le cellule presenti nel corpo umano: la loro presenza svolge un ruolo fondamentale, in quanto permettono al sistema immunitario di riconoscere quali cellule appartengono all’organismo e quali invece sono elementi estranei. Questo apparentemente semplice fenomeno – la distinzione di ciò che è nostro (self,  come lo chiamano gli Inglesi) da ciò che è estraneo (non-self) – è  alla base del riconoscimento dei patogeni cui siamo continuamente esposti. Questo meccanismo, che da un lato permette di eliminare gli intrusi, può però avere anche un risvolto negativo in caso di trapianto, determinando il rigetto dell’organo estraneo.
Oltre all’immunità, le molecole MHC svolgono un ruolo chiave in molte altre funzioni. Nel corso degli ultimi vent’anni, una serie di studi ha dimostrato che queste molecole sono alla base di forme di “comunicazione molecolare” tra animali, guidandoli nella scelta del partner. Ad esempio, i pesci della specie Gasterosteus aculeatus (nome comune: spinarello) scelgono di accoppiarsi solo con chi presenta un repertorio di molecole MHC diverso da proprio.


Rappresentazione schematica della molecola del Complesso maggiore di Istocompatibilità I (o MHC I): in grigio la membrana cellulare cui si ancora il complesso proteico (in viola) (Immagine: Wikipedia)

 

Conosci te stesso: il processo fondamentale per riconoscere gli estranei
Secondo quanto emerso dallo studio dei ricercatori tedeschi, le molecole MHC permetterebbero anche nell’uomo di distinguere, mediante l’olfatto, una persona dall’altra. Questo studio è figlio di una ricerca precedente, il famoso studio della “T-shirt sudata”: una ricerca che fece storia, dimostrando che le donne prediligono l’odore di uomini il cui set di geni MHC è diverso dal proprio. Tuttavia, pur dimostrando per la prima volta una connessione tra olfatto e geni MHC, lo studio della T-shirt sudata non dava alcun indizio sui meccanismi fisiologici che erano alla base di queste preferenze. Nello studio pubblicato recentemente su Proceedings of the Royal Society B, il gruppo di ricerca di Thomas Boehm del Max Planck Institute ha cercato di andare un po’ più a fondo nella questione. Per fare ciò, gli scienziati hanno selezionato un gruppo di donne e, dopo aver identificato i geni MHC di ciascuna, hanno sintetizzato in laboratorio le proteine corrispondenti. A questo punto è iniziato il vero test: ciascuna donna è stata “esposta” alla proteina corrispondente al proprio MHC per verificare se fosse in grado di riconoscerla. O, in altre parole, se fosse in grado di riconoscere se stessa.

Dopo la doccia, 22 donne hanno applicato nell’incavo dell’ascella due soluzioni diverse e, delle due, dovevano decidere quale preferivano. Per ogni partecipante il test è stato ripetuto dalle due alle sei volte e il risultato è stato sorprendente: tutte le partecipanti allo studio (purché non fossero fumatrici o avessero il raffreddore) hanno espresso una netta preferenza per la soluzione corrispondente al proprio MHC. Un’ulteriore conferma al risultato è arrivata poi dalla risonanza magnetica. A 19 delle donne in esame è stata eseguita una risonanza magnetica mentre venivano loro vaporizzate diverse soluzioni da annusare. Di nuovo, un’evidente differenza è emersa dal confronto tra peptidi riconosciuti come “propri” e quelli “estranei”. La risonanza magnetica ha evidenziato che «esiste una particolare regione del cervello che viene attivata solo dai peptidi che assomigliano al proprio MHC», commenta Thomas Boehm.

 

Che cosa cerchiamo quando scegliamo un profumo da indossare? Forse cerchiamo qualcosa che rispecchi il nostro repertorio di molecole MHC e che profumi in un modo che ci "assomiglia". (Foto: Wikimedia Commons)


Il nostro profumo e quello degli altri
Il nostro particolare repertorio MHC può quindi influenzare anche quali profumi ci piacciono e quali no? In passato, diversi studi hanno mostrato che alcune particolari profumazioni possono amplificare l’aroma di certi tipi di MHC. Lo studio pubblicato dal gruppo do Boehm potrebbe quindi aiutare a capire per quale motivo ci sono profumi che adoriamo sugli altri, salvo poi detestarli quando siamo noi ad indossarli. Tendenzialmente, potremmo essere portati a preferire per noi stessi profumi che “entrino in risonanza” con il nostro MHC, mentre sugli altri preferiamo aromi che amplificano l’effetto da “MHC estraneo”.

Ma da questo punto in poi si entra nel campo della pura speculazione: di fatto, al momento gli scienziati ignorano quali siano i recettori olfattivi che, all’interno del nostro naso, captano i peptidi MHC e trasmettono l’informazione relativa al loro aroma al cervello. Sappiamo che gli esseri umani sono in grado di percepire questi “odori” e di distinguere quelli che provengono da se stessi da quelli estranei – lo studio di Boehm ne è la dimostrazione – ma non sappiamo ancora nulla di come questo processo avvenga: «Ma questo», commenta Boehm, «è comunque un buon inizio».

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