Rappresentazione schematica del codice genetico: partendo dal centro e muovendosi verso l'esterno, ogni combinazione in sequenza di tre nucleotidi corrisponde a un aminoacido specifico. Fanno eccezione solo tre sequenze, chiamate codoni di STOP (immagine: Wikimedia Commons)
Già in passato erano emerse alcune varianti, soprattutto nei mitocondri e in alcuni protozooi, con una tripletta di aminoacidi che codificava per un aminoacido diverso da quello dettato dal codice. Queste eccezioni, considerate per lo più anomalie del processo evolutivo, non sembravano neppure degne di una seconda occhiata. Le cose sono cambiate quando le varianti hanno iniziato a divenire più frequenti del previsto.
Lo studio, eseguito presso lo U.S. Department of Energy, Joint Genome Institute, è una costola del filone di ricerca chiamato “Microbial Dark Matter”: esistono moltissimi microrganismi di cui gli scienziati sanno poco o nulla, soprattutto per la difficoltà a coltivarli in laboratorio. Nel corso degli anni, questo ostacolo ha portato a concentrarsi sui batteri più facilmente maneggiabili, lasciando cadere gli altri nel dimenticatoio. Peccato che “gli altri” rappresentino quasi il 99% dei batteri presenti sul nostro pianeta: una percentuale di vita non proprio trascurabile! Si tratta soprattutto di microrganismi presenti in particolari ecosistemi, dall’intestino umano alle remote hot vents sul fondale degli oceani, con importanti ricadute sull’equilibrio di questi ecosistemi, oltre che sulla salute e sull’ambiente.
I fondali marini accolgono centinaia di specie batteriche, molte delle quali ancora da studiare dal punto di vista genetico: è qui che si annida gran parte della "Microbial Dark Matter" (Foto: Wikipedia)
Nuovi sistemi di indagine permettono però ora di studiare il genoma di questi batteri anche senza coltivarli in laboratorio: basta un piccolo campione di microrganismi ed ecco che, grazie all’analisi di genomica anche di una sola cellula, è possibile leggere il DNA di questi batteri così come si trovano nel loro ambiente naturale.
Districandosi in un labirinto di migliaia di nucleotidi di DNA batterico – corrispondenti, per quantità, a quasi duemila genomi umani – i ricercatori hanno iniziato a trovarsi di fronte ad alcune anomalie: tra tutte, la lunghezza dei geni ha fatto suonare un vero campanello d’allarme! Basandosi sulla posizione in cui cadevano i codoni di STOP (quelli che causano un’interruzione nella traduzione delle proteine) alcuni batteri avevano geni incredibilmente corti: dov’era finito il pezzo mancante della proteina? Tornando ad analizzare la sequenza di nucleotidi, i biologi si sono chiesti che cosa sarebbe accaduto se quel prematuro codone di STOP, anziché segnalare un’interruzione, avesse codificato per un aminoacido. Il risultato è stato spiazzante: la proteina, da tronca, tornava ad avere le normali dimensioni.
Dopo essersi imbattuti in molti esempi analoghi – circa il 10% dei batteri studiati – i ricercatori non hanno potuto trarre che una conclusione: il codice genetico è sbagliato o, quanto meno, non è universale come si credeva. Nel linguaggio della vita, sembrano trovare posto “dizionari” diversi, in cui una stessa parola (vale a dire una tripletta di aminoacidi) può acquisire significati diversi a seconda dell’organismo.
Questa nuova interpretazione non può che aumentare in modo vertiginoso la complessità delle interazioni e delle possibilità di adattamento reciproco tra organismi dello stesso ecosistema. Si tratta di una informazione di rilevanza eccezionale, soprattutto in vista di alcuni microrganismi sintetici che potrebbero essere liberati nell’ambiente: come sistema di sicurezza, questi batteri contengono sequenze che dovrebbero portarli a un’immediata estinzione nel caso in cui qualcosa sfuggisse di mano. Ma le sequenze di “terminazione” potrebbero assumere significati diversi a seconda dell’ecosistema e degli altri organismi con cui i batteri sintetici verrebbero a contatto: conoscere in modo più approfondito i diversi “dialetti” del codice genetico potrebbe limitare potenziali danni.