Neutrini in cerca di identità
I neutrini sono particelle strane. Ce ne sono moltissime intorno a noi, sono addirittura le particelle più comuni nell'universo dopo i fotoni, eppure è difficilissimo rivelarle perché interagiscono poco con la materia. Si presentano inoltre in tre diverse forme: i neutrini elettronici sono così chiamati perché il loro corrispettivo elettricamente carico è l'elettrone, poi ci sono i neutrini muonici (relativi al muone) e i neutrini tau (relativi alla particella tau). Osservando i dati dei primi rivelatori di neutrini, c'era però qualcosa che non quadrava: per esempio il nostro Sole produce solo neutrini elettronici, eppure quelli effettivamente misurati erano solo un 1/3 di quelli che ci si aspettava in base ai calcoli. Che cosa succedeva? Una delle teorie più ardite era del nostro "ragazzo di via Panisperna" Bruno pontecorvo: nel 1968 il fisico ipotizzò che i neutrini potessero cambiare di identità, cioè oscillassero, come dicono i fisici, da tipo all'altro.Dal Giappone al Canada
È qui che entrano in gioco i nostri due nuovi premi Nobel, perché una ventina d'anni fa lo sviluppo tecnologico rese possibile studiare i neutrini in maggiore dettaglio. Takaaki Kajita lavorava al rilevatore Super-Kamiokande in Giappone, e studiava i neutrini muonici prodotti nell'atmosfera per effetto dei raggi cosmici. Anche in questo caso i neutrini sembravano meno di quelli previsti, ma dopo moltissimi calcoli e analisi gli scienziati capirono che una parte dell'ammanco poteva essere spiegata solo considerando una metamorfosi (in gergo oscillazione) da neutrino muonico a neutrino elettronico. Super-Kamiokande oltre a rilevare i neutrini prodotti nell'atmosfera immediatamente sovrastante, rilevava naturalmente anche quelli che partivano dall'estremità opposta del pianeta (che i neutrini attraversano liberamente). Erano proprio questi neutrini che, compiendo un viaggio più lungo, avevano maggiori possibilità di "oscillare", causando agli scienziati tanti grattacapi. Il resto dei neutrini muonici che mancavano all'appello dovevano invece essere diventati neutrini tau, che però quel tipo di rilevatore non poteva riconoscere.
Schema di funzionamento del rilevatore Super-Kamiokande (immagine: http://www.nobelprize.org/)
Takaaki Kajita pubblicò i suoi risultati nel 1998 e un anno dopo Arthur B. McDonald cominciava a lavorare al Sudbury Neutrino Observatory in Ontario, Canada. Questo particolare esperimento, pensato per risolvere l'annosa questione dei neutrini provenienti dal Sole, poteva rivelare tutti e tre i tipi di neutrini. Grazie a esso divenne finalmente chiaro che la quantità totale di neutrini rivelati corrispondesse al numero di neutrini elettronici prodotti all'interno della nostra stella: se mancavano all'appello 2/3 dei neutrini elettronici previsti era perché avevano cambiato identità, diventando in parte neutrini muonici, in parte neutrini tau.
Il Sudbury Neutrino Observatory (Immagine: http://www.nobelprize.org/
Perché è una scoperta da Nobel
Kajita e McDonald non hanno solo risolto quello che potremmo chiamare "il mistero dei neutrini scomparsi" (confermando l'intuizione del nostro Pontecorvo), ma così facendo hanno aperto nuovi orizzonti di ricerca. Infatti se i neutrini possono cambiare identità, allora vuol dire che queste enigmatiche particelle hanno una massa, piccola ma non nulla. Il problema è che secondo il Modello Standard, che sta alla base della fisica delle particelle ed è tra le teorie scientifiche più confermate dagli esperimenti (basti pensare al Bosone di Higgs), prevede che i neutrini non abbiano una massa. I lavori di Kajita e McDonald rappresentano così la prima conferma sperimentale di un fenomeno che va oltre il Modello Standard. Anche se spesso è lontana dagli echi della stampa, la ricerca sui neutrini (che ancora è davvero all'inizio) procede in tutto il mondo con rivelatori sempre più grandi e sofisticati. Ed è per questo che, con ogni probabilità, nei prossimi anni a Stoccolma vedremo transitare altri cacciatori di neutrini.
Sul sito della Fondazione Nobel è disponibile un approfondimento (in inglese) a questo link.