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Rallentare l'invecchiamento con la riprogrammazione cellulare

Prendendo spunto dal protocollo di Yamanaka, un nuovo studio dimostra che la riprogrammazione parziale dell'epigenoma può rallentare l’orologio biologico dei tessuti e contrastare l'invecchiamento.
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L’invecchiamento, o senescenza, può essere descritto come la progressiva incapacità dell’organismo di mantenere l’omeostasi interna. Con il passare del tempo, le cellule perdono la capacità di tamponare i danni cellulari e la funzionalità di organi e tessuti si deteriora. In una società in cui l’età media della popolazione va progressivamente aumentando, capire come contrastare alcuni degli effetti dell’invecchiamento non è più solo un vezzo estetico, ma è una priorità di salute pubblica. Un nuovo studio, pubblicato dalla rivista Cell, segna un punto di svolta nella ricerca in questo ambito, dimostrando per la prima volta che il rimodellamento parziale e transitorio dell’epigenoma può rallentare l’orologio biologico dei tessuti.
La pelle è uno dei tessuti in cui è più visibile l'effetto dell'invecchiamento, ma il deterioramento coinvolge tutti gli organi e i tessuti dell'organismo (Immagine: Wikimedia Commons).

Le radici epigenetiche dell’invecchiamento

Gli studi di Yamanaka sulle cellule pluripotenti indotte (iPS) hanno dimostrato che cellule mature possono essere riprogrammate e indirizzate verso un destino differenziativo diverso. In questo processo giocano un ruolo fondamentale i marchi epigenetici. La riprogrammazione indotta dai fattori di Yamanaka - indicati collettivamente con la sigla OSMK, per Oct4, Sox2, Klf4 e c-Myc - avviene infatti grazie al rimodellamento dell’epigenoma, che contribuisce a riprogrammare il differenziamento cellulare. Inaspettatamente, è però emerso un altro dato interessante: le stesse etichette epigenetiche modificate dalla riprogrammazione risultano alterate nei tessuti invecchiati. Nel 2011, diversi gruppi hanno confermato questa osservazione, dimostrando che la riprogrammazione con i fattori OSKM può “ringiovanire” le cellule di centenari o di pazienti affetti da progeria, una forma di invecchiamento precoce. Nonostante l’importanza di questi risultati, nessuna di queste osservazioni ha mai superato il confine di una piastra Petri. Le alterazioni fisiologiche indotte dall’invecchiamento sono però troppo complesse perché qualsiasi conclusione possa essere tratta da studi in vitro. Il primo a superare questo ostacolo è stato un team di ricercatori californiani e spagnoli, che ha sovvertito il processo di invecchiamento grazie a un innovativo protocollo di riprogrammazione parziale.

Dalla riprogrammazione cellulare un elisir di giovinezza

Per dimostrare il ruolo dell’epigenoma nell’invecchiamento gli scienziati hanno indotto l’espressione dei fattori OSKM in topi transgenici affetti da progeria. Poiché in passato simili esperimenti avevano portato allo sviluppo di tumori, questa volta è stato privilegiato un protocollo di riprogrammazione parziale e transitoria. Invece delle due-tre settimane previste dal procedimento classico di Yamanaka, i quattro fattori sono stati lasciati agire per due-quattro giorni. In questo modo, le cellule non hanno completato la riprogrammazione e hanno mantenuto la propria identità. Per quanto breve, il procedimento è stato comunque sufficiente ad alterare l’epigenoma cellulare e ha portato effetti significativi: i segni tipici dell’invecchiamento cellulare si sono attenuati e l’aspettativa di vita dei topi con progeria si è allungata da 18 a 24 mesi. Questo risultato è stato ottenuto senza correggere la mutazione che comporta l’invecchiamento precoce: in altre parole, la causa genetica della malattia rimane, ma i suoi effetti sono annullati dalla riprogrammazione parziale.

Riprogrammazione parziale: la strada per la medicina rigenerativa?

Che cosa succeda a valle della riprogrammazione dell’epigenoma è però ancora da scoprire. Quali geni sono attivati e quali spenti dalla riprogrammazione? Come si ripercuote questo sulle vie di segnalazione intracellulare? Si tratta di domande ancora aperte, ma il risultato incontestabile è che i topi affetti da progeria sopravvivono più a lungo: gli effetti non sono quindi solo sulle singole cellule, ma sull’organismo nel suo insieme. Il prossimo passo sarà capire che cosa avvenga a livello molecolare e se la stessa procedura possa migliorare le funzioni di tessuti malati. I primi dati fanno ben sperare: la riprogrammazione parziale sembra migliorare la rigenerazione delle cellule beta del pancreas (le cui funzioni sono alterate nel diabete) e le prestazioni di tessuti muscolari danneggiati.
Confronto tra campioni di fegato, cuore e muscolo in un topo sano (WT), in uno affetto da progeria (-Dox) e in uno con progeria dopo riprogrammazione parziale (+Dox) (Immagine: Ocampo A et al, Cell 2016, Supp. Fig. S4).
Al momento si tratta di studi preliminari e - è bene ricordarlo - limitati solo al modello animale (per di più, affetto da una condizione molto rara). L’elisir di lunga vita rimane ancora un sogno. Quello che invece è finalmente alla portata degli scienziati è un modello di studio per l'invecchiamento, in grado di chiarire i fattori che possono aumentarne o rallentarne il corso.   -- Immagine Banner e Box: Pixabay
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