Posso dire che le proteine mi hanno sempre intrigato più dei geni? Pragmatiche e multiformi, le proteine agiscono con immaginazione strutturale, mentre i geni, sostanzialmente uguali l’uno all’altro, dicono soltanto che cosa occorre fare.
L’universo proteico è ancora oggi piuttosto nebuloso rispetto ad altri reami della biologia. A parte poche, semplici entità prevedibili, la maggior parte delle proteine è fatta di matasse intricate di aminoacidi, impervie ai tentativi di esplorazione della struttura. Forse proprio perché ne sappiamo poco, sulle proteine perdurano ancora diversi dogmi rigidi in vigore fin dal secolo scorso.
Una delle leggi centrali della biologia dice che la funzione di una proteina discende rigorosamente dalla sua struttura tridimensionale. Secondo questa legge gli enzimi sono, per esempio, in grado di accelerare le reazioni chimiche della cellula perché avvolgono in maniera specifica una molecola, e non un’altra, facilitandone la reazione opportuna; o gli anticorpi sono capaci di riconoscere un antigene, e non un altro, poiché le due strutture molecolari combaciano perfettamente. “Come una chiave dentro una serratura”, aveva stabilito più di un secolo fa il chimico tedesco Emil Fischer.
Sui libri di testo abbiamo anche imparato che le proteine nuove di “fabbrica” si ripiegano immediatamente su se stesse, assumendo una struttura tridimensionale unica: la più stabile dal punto di vista energetico e la sola funzionale.Come si fa a fare una fotografia in 3D di una proteina? Fino a non molto tempo fa l’unico modo possibile consisteva nel procacciarsi una forma cristallizzata della proteina e fare una sorta di radiografia. Ma ottenere il cristallo di una proteina è un po’ come domare una bestia feroce: solo poche migliaia, fra i milioni di proteine esistenti in natura, si sono finora piegate alla dura disciplina della cristallizzazione.
E se le proteine non fossero poi così ordinate? Secondo i modelli bioinformatici sviluppati da Keith Dunkers all’Università dell’Indiana, addirittura il 40% delle proteine umane conterrebbe almeno un segmento refrattario all’ordine e il 25% circa sarebbe completamente disordinata e dunque impossibile da cristallizzare. Le previsioni da computer sono corroborate da risultati sperimentali di spettroscopia NMR, una tecnica che permette di analizzare la struttura delle proteine anche quando queste si attorcigliano o ruotano in soluzione. È questa una maniera più fisiologica di studiare le proteine, che in natura navigano in fluidi, assumendo strutture mobili, e non si trovano certo in forma cristallina. L’unico vero limite di questa tecnica è che, a differenza della cristallografia a raggi X, permette di analizzare solo molecole di piccole dimensioni (fino a 70 kDa).
DisProt, il database del disordine proteico, cataloga a oggi 643 proteine senza fissa struttura. Siamo sotto di due ordini di grandezza rispetto alle oltre 60.000 strutture proteiche in 3D archiviate dalla Protein Data Bank, ma il numero è in continua crescita, secondoPeter Wright e Jane Dyson, biofisici dello Scripps Research Institute di La Jolla e capiscuola della teoria del disordine proteico. E nel repertorio delle proteine che funzionano malgrado il disordine (o forse in virtù del disordine) non mancano le star: p53 è una delle proteine più famose fra i soppressori tumorali; estremamente promiscua, è in grado di interagire con centinaia di partner, forse proprio per la sua versatilità strutturale.
Come può una proteina funzionare senza forma fissa? Sarebbe come provare ad aprire la porta con una manciata di spaghetti lessati al posto di una chiave. Ma se gli spaghetti assumessero la forma della chiave soltanto dopo essere entrati, morbidi e plastici, dentro la serratura? Una nuova visione delle relazioni fra la sequenza, la struttura e la funzione delle proteine sta emergendo dai dati sperimentali. Secondo questa nuova ipotesi, le forme tridimensionali delle proteine potrebbero variare in un continuum che vede a un estremo il modello più rigido della chiave-serratura e all’estremo opposto il modello completamente destruttrato degli spaghetti molli e deformabili; nel mezzo ci può essere ogni possibile variazione sul tema dell’ambiguità strutturale.
Ho tratto la maggior parte delle informazioni contenute in questo post da Structural biology: Breaking the protein rules di Tanguy Chouard (Nature, 10/3/11). L’immagine di apertura è tratta da DisProt; l’immagine di p53, nel testo, è di M. Blacklegde/IBS Grenoble.