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Le priorità che vorrei

Un mondo che sappia riconoscere rischi e opportunità e sappia dare ascolto e credito ai migliori esperti: queste sono le priorità che vorrei, messe a fuoco un sabato pomeriggio al Planetario Ulrico Hoepli di Milano, mentre ascoltavo Paolo Bellutta, un italiano speciale, di cui dobbiamo andare molto fieri.
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Sabato scorso sono andata al Planetario. Ho pagato un biglietto da 3 euro per me, più due da 1 euro e mezzo per la mia adolescente e la sua amica. Per 6 euro in tre, neanche il prezzo di un cinema, abbiamo potuto ascoltare per un’ora Paolo Bellutta.

Paolo di mestiere guida i rover che esplorano la superficie di Marte: prima Spirit e Opportunity, ora Curiosity. Ma la sua esperienza unica di autista spaziale è solo l'ultima di una serie di attività scientifiche che comprendono la progettazione dei rover, la scelta delle località marziane in cui farli atterrare e tanto altro. Molti al suo posto si darebbero delle arie. Lui no, lui ti racconta un’avventura di un altro mondo (davvero un altro mondo!) con parole semplicissime e una modestia che ha dell’incredibile.
 
Secondo voi, uno che guida i rover su Marte, quando va in vacanza? Quando Marte è dietro al Sole, come in questo mese di aprile 2013, e i segnali fanno fatica a raggiungere Curiosity dal Mars Science Laboratory del Jet Propulsion Laboratory della NASA, a Pasadena in California.
 
Ecco, per me uno così, italiano, che se ne sta alla NASA a guidare i rover su Marte, quando viene in Italia, dovrebbero invitarlo al Quirinale e poi al TG delle venti. Tutti dovrebbero conoscere il suo nome, sapere quello che fa e andarne fieri. Forse Paolo Bellutta è famosissimo e io non lo so. So solo che sabato, al Planetario di Milano, eravamo una trentina di persone, fra grandi e bambini. Fortunati, davvero.
 
Paolo Bellutta, membro del Mars Science Laboratory al JPL,
il centro della NASA a Pasadena in California (foto JPL NASA)
 
Che cosa possiamo imparare dai rover che interrogano le rocce marziane? Possiamo ricostruire la storia dell’atmosfera di un pianeta del nostro Sistema solare e conoscere i cambiamenti climatici che ha attraversato. E dai robot che mandiamo lassù possiamo imparare a costruire altri robot, utili alla vita terrestre.
 
Spedire Curiosity su Marte costa un mucchio di soldi, ma quanto è un mucchio di soldi? Pensate che il costo intero della missione partita qualche mese fa, che durerà anni, è pari a sole due settimane di guerra in Irak, una guerra che è durata più di otto anni.
 
 
Il paracadute con cui Curiosity è atterrato su Marte continua a muoversi,
agitato dai venti marziani (immagini JPL NASA)
 
Il budget della NASA è oggi un millesimo di quello che era negli anni Sessanta, durante le missioni sulla Luna. Ma allora c’era la Guerra fredda l'esplorazione dello spazio era funzionale a costruire razzi dalla gittata sempre più lunga.
 
Altre priorità.
 
A proposito di priorità, sapevate che il Presidente della Commissione europea ha nominato per la prima volta un Consigliere scientifico nel 2012? In realtà di tratta di una Consigliera, che si chiama Ann Glover. Per diversi anni ha fatto la microbiologa ad Aberdeen. Poi è diventata consigliera del Primo ministro della Scozia prima di trasferirsi a Bruxelles.
 
Ann Glover, Consigliere scientifico del Presidente della Commissione europea (da Wikipedia)
 
Negli Stati Uniti l’ufficio dell’Assistente per la scienza e la tecnologia esiste dal 1957. Il Presidente Eisenhower lo ha creato dopo il lancio a sorpresa dello Sputnik da parte dei russi, ma poche nazioni hanno seguito l’esempio americano: la Gran Bretagna, la Nuova Zelanda, l’Australia, l’India e l’Irlanda.
 
Ann Glover riceve udienza da Barroso una volta al mese circa, mentre John Holdren pare che passi dallo Studio ovale anche quattro volte al giorno quando ci sono decisioni importanti in ballo.
 
John Holdren, Consigliere scientifico alla Casa Bianca (foto White House)
 
E non è neppure detto che le opinioni della Consigliera scientifica europea rappresentino quelle della Commissione. A luglio scorso Ann Glover ha detto, in un’intervista al portale EurActive, che gli alimenti geneticamente modificati non sono più rischiosi di quelli tradizionali. Notate che la Glover non ha detto che gli OGM non comportano alcun rischio: ha detto soltanto che il loro eventuale rischio non è superiore a quello degli alimenti non OGM. Per la scienza questo è un fatto assodato, ma nel Parlamento europeo non lo è, e attorno a una questione inesistente si è scatenato il pandemonio. Ancora più inconsistente è stata la risposta che la Commissione ha dato a un parlamentare che chiedeva se la posizione della Consigliera scientifica fosse quella ufficiale della Commissione: “Il Chief science adviser ha puramente una funzione di consulenza e non ha alcun ruolo nel definire le politiche della Commissione. Perciò le sue opinioni non rappresentano necessariamente la visione della Commissione”.
 
Con il suo ufficio senza budget e uno staff di sole cinque persone, la Glover siede, come la maggior parte dei suoi colleghi, su una sedia poco influente e un po’ stretta, fra le indicazioni mal comprese che emergono dalla ricerca e i compromessi e le mezze verità che servono alla politica.
 
Altre priorità.
 
Facciamo però uno sforzo e proviamo a guardare il bicchiere mezzo pieno. Possiamo essere contenti che almeno il ruolo sia stato creato (prima non c’era). E poi alcune delle cose che la Glover sta cercando di fare potrebbero non essere male. Per esempio sta facendo pressione sugli Stati membri perché ciascun governo nomini un proprio Consigliere scientifico.
 
Un’altra iniziativa è il Centro di risposta europea alle emergenze, una sorta di protezione civile sovranazionale che dovrà dare risposte in caso di eventi come una pandemia o un nuovo blocco del traffico aereo per le ceneri di un vulcano. La faccia della Glover ci diventerà presto familiare, visto che sarà la portavoce del Centro.
 
A febbraio Barroso ha anche annunciato la creazione di un Consiglio di advisors per la scienza e la tecnologia. I membri sono quindici scienziati che incontreranno il Presidente della Commissione tre o quattro volte all’anno, per “consigliarlo su come creare l’ambiente adeguato a favorire l'innovazione, plasmando una società europea che abbracci la scienza, la tecnologia e l'ingegneria. In particolare il Consiglio darà suggerimenti sulle opportunità e i rischi derivanti dal progresso scientifico e tecnologico, e consiglierà come comunicare rischi e opportunità, al fine di promuovere un dibattito sociale informato, in modo da garantire che l'Europa non ‘perda il treno’ e rimanga un leader globale nelle tecnologie di avanguardia”.
 
Prevarranno pompa e paternalismo o ci sarà spazio per la sostanza? I membri del neonato Consiglio potrebbero fare bene all’Europa se avranno idee di valore, e soprattutto se sapranno farsi ascoltare.
 
Il ruolo del Consigliere scientifico europeo non è stabilito per legge. Al termine del mandato di Barroso, nel 2014, starà al nuovo Presidente decidere se avrà ancora bisogno di consigli in materia.
 
Sarà una priorità?
 
Poche ore prima della conferenza di Paolo Bellutta, a centro metri dal Planetario, qualche centinaio di persone è venuta a Milano, ha preso il treno, la macchina, il bus, per manifestare inquietudini. Non erano lì a difendere il posto di lavoro, erano lì a dire “no” a cose che temono, come i vaccini, gli OGM e altre cose.
 
Avrei voluto che in piazza ci fosse Martin Rees, un famoso astrofisico britannico. Avrebbe potuto rassicurare le persone che manifestavano con quello che ha scritto da poco su Science: “Noi che abbiamo la fortuna di vivere nei paesi sviluppati ci preoccupiamo troppo per pericoli minori della vita quotidiana, da improbabili incidenti aerei a possibili sostanze cancerogene nel cibo, a basse dosi di radiazioni e così via. Le cose che ci devono preoccupare sono altre: sono quegli eventi che non sono ancora accaduti, ma che, se si verificassero anche una sola volta, potrebbero causare la devastazione del mondo intero”.
 
Se proprio dobbiamo preoccuparci, diamo la priorità ai rischi grandi e non a quelli piccoli o inesistenti, è il messaggio di Reese. Forse per età, forse per come conosce i cieli, Rees ricorda gli arsenali di bombe all’idrogeno che avrebbero potuto esplodere anche solo per errore o per confusione, durante la Guerra fredda del secolo scorso. Ora come allora, i rischi maggiori che corriamo vengono soprattutto dal nostro modo di vivere, dal successo riproduttivo della nostra specie, e da come utilizziamo la tecnologia che abbiamo creato.
 
Martin Rees, astrofisico britannico (foto University of Cambridge)
 
Difficilmente una pandemia farebbe grandi danni se fossimo in pochi, diradati gli uni dagli altri, o se fossimo collegati da pochi e lenti mezzi di trasporto. Come pure i cambiamenti climatici, sarebbero probabilmente modesti se i bisogni di risorse per una popolazione in crescita fossero meno pressanti. Ma questo discorso non ha senso: il mondo che abbiamo costruito ha immense popolazioni, smisurate città, mezzi di trasporto velocissimi e tutto quel che ci continua a dare benessere e civiltà, oltre a qualche rischio e a qualche problema.
 
Le minacce che forse abbiamo davanti saranno meno minacciose se sapremo riconoscere, ascoltare, dare credito ai migliori esperti. Martin Rees ha annunciato su Science il Cambridge Project for Existential Risk, un programma di ricerca per identificare i rischi maggiori che corriamo, e per escogitare i modi migliori per affrontarli (potete sentire la proposta dalla sua voce, in un’intervista a Rees nel podcast di Science).
 
Ecco le priorità che vorrei.
 
Per scrivere questo post ho ascoltato Paolo Bellutta sabato 6 aprile al Planetario; ho letto “Europe’s science superwoman struggles to get off the ground”, il profilo che Kai Kupfershmidt ha dedicato ad Anne Glover su Science dell’8 marzo 2013; e ho letto l’editoriale di Martin Rees, “Denial of Catastrophic Risks”, sullo stesso numero di Science. Se volete approfondire, su Paolo Bellutta aveva già scritto Stefano della Casa sull’Aula di Scienze.

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