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Non c’è una cellula uguale all’altra. E il FACS lo sa

Nei migliori laboratori medici c'è una macchina che permette di fare diagnosi molto precise di malattie come le leucemie e altre malattie del sangue. La macchina si chiama FACS, è diffusa nel mondo con almeno 40.000 esemplari, e anche se quasi nessuno la conosce al di fuori dai laboratori, salva decine di migliaia di vite umane. Ai ricercatori il FACS dice che, a guardare bene le cose, non c'è una cellula uguale a un'altra.
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A novembre 2013 un gruppo di ortopedici dell’ospedale di Lovanio, in Belgio, ha annunciato la scoperta di un legamento vicino al ginocchio. Potete immaginare le reazioni: “Com’è possibile che un legamento sia passato inosservato?” Dopo tutto, non siamo nell’era delle risonanze magnetiche e del corpo “trasparente”? Come hanno potuto schiere di ortopedici, anatomo-patologi, fisioterapisti e medici dello sport ignorare questa parte del nostro corpo? Le rimostranze sono legittime finché uno non vede quanto è confuso un corpo dall’interno: una massa umida e oscura, difficile da riconciliare con le immagini nitide e pulite degli atlanti anatomici. Tutti abbiamo più o meno le stesse parti, per esempio un naso, due occhi, una bocca, due orecchie, una fronte e spesso dei capelli. È però il modo in cui questi elementi sono combinati fra loro, insieme alle tracce lasciate dall’età, dalle cicatrici, dalle malattie, a rendere la faccia di ognuno di noi assolutamente unica in ciascun momento della nostra vita, perfino nel caso di gemelli identici. Le differenze si ritrovano abbondanti anche all’interno del corpo, e perfino fra i pezzi più piccoli di cui siamo fatti. I geni e le proteine, le cellule, i tessuti e gli organi condividono un’architettura generale che si è conservata in gran parte dell’evoluzione, ma molti dettagli variano da una persona all'altra, e sono i dettagli a fare le differenze. Ogni cellula del nostro corpo porta in superficie un esempio di questa diversità: la quantità di molecole che ricopre la membrana di ciascuna cellula, e la differenzia da ogni altra, è sbalorditiva. Al punto che i biologi parlano di “decorazioni”: sì, una cellula è decorata da talmente tante molecole differenti che un albero di Natale al confronto è nudo. Un tempo l’unico modo per distinguere le cellule le une dalle altre era di guardarle (e contarle) al microscopio ottico. Gli anatomo-patologi osservavano vetrini dopo vetrini, o piastre dopo piastre, e letteralmente contavano quante cellule c’erano in ogni vetrino, o in ogni piastra (anche migliaia), e quante di queste avevano, per esempio, l’aspetto tumorale o normale. Potete immaginare il tedio, gli errori, il male agli occhi. “Ci deve pure essere una macchina che può fare da sola questo lavoraccio!” ha pensato Leonard Herzenberg negli anni Sessanta, nel suo laboratorio di Stanford, con gli occhi che gli facevano male.

  Leonard Herzenberg mentre contava le cellule al microscopio e si faceva venire male agli occhi nel suo laboratorio a Stanford (fonte: Università di Stanford)

E così ha inventato il FACS (da non confondere con il fax). Il Fluorescence-activated cell sorting, che in italiano chiamiamo “citofluorimetro”, è una macchina fantastica perché permette di separare, in una miscela di milioni di cellule, anche soltanto una o più cellule che hanno caratteristiche particolari. Una parte non piccola del merito va a Leonore Herzenberg, che con il suo Len ha formato un binomio formidabile per la ricerca, la coppia Len & Lee, senza la quale non avremmo il FACS e molte altre cose. Come funziona il FACS? Pensate a una parata di 100.000 soldati. Il vostro problema è beccare i due con la cravatta gialla e i tre con quella rosa. Il FACS fa proprio questo, e lo fa in modo veloce, affidabile, oggettivo, automatico: trova e separa le cellule che sono l’equivalente di quei cinque soldati con le cravatte strambe. In pratica funziona così: le cellule si muovono in sospensione in un fluido che scorre in un tubo sottile. Il flusso è organizzato in modo che fra una cellula e l’altra ci sia dello spazio e che ogni cellula si trovi racchiusa in una goccia di fluido. Ogni gocciolina contenente una cellula passa quindi attraverso uno strumento che misura caratteristiche come la diffrazione della luce o la fluorescenza e indirizza le diverse cellule in contenitori separati.

Il principio di separazione delle cellule da parte del FACS (da Wikipedia).

Il primo separatore di cellule è stato inventato da Mack Fulwyler nel 1965, usando il principio di Coulter, una tecnica piuttosto complicata che poi è stata abbandonata. Herzenberg ha lavorato sul principio, arrivando al FACS in uso ai giorni nostri, che ha un misuratore di fluorescenza: in pratica permette di individuare le cellule che per esempio sono state “etichettate” in un esperimento con una sostanza che, se eccitata, diventa fluorescente. A sua volta la sostanza fluorescente può essere attaccata a un anticorpo che riconosce specificamente una certa molecola sulla membrana della cellula.

Una ricercatrice al lavoro per identificare popolazioni particolari di cellule tumorali tramite il FACS (da Wikipedia).

Se chiedete in giro non troverete quasi nessuno che conosce il FACS. Eppure ci sono almeno 40.000 macchine del genere in uso negli ospedali e nei centri di ricerca di ogni parte del mondo, e in un serio laboratorio medico il FACS è oggi una macchina ovvia quanto la fotocopiatrice. Si stima che diverse decine di migliaia di persone debbano la vita alle diagnosi precise ottenute con il FACS soprattutto per malattie del sangue, del sistema immunitario, per tumori, infezioni e per analisi genetiche. Per esempio, il FACS permette ai medici di isolare le cellule del feto che circolano nel sangue materno, di separare queste cellule da quelle della madre e di analizzarne il correndo genetico senza che la mamma debba subire nulla di più invasivo di un prelievo di sangue. I ricavi che l’Università di Stanford ottiene dai brevetti delle scoperte di Herzenberg sono fra i maggiori in assoluto (Herzenberg è anche il padre, insieme a Cesar Milstein, di un metodo per ottenere gli anticorpi monoclonali). Herzenberg però non ci ha mai guadagnato un quattrino perché credeva che i frutti di ogni progresso scientifico dovessero essere restituiti alle persone che li avevano reso possibili. Per esempio a chi pagando le tasse o effettuando donazioni aveva sostenuto la ricerca. E anche i soldi del premio Kyoto del 2006, l’equivalente del premio Nobel per la tecnologia, è stato destinato da Herzenberg alle ricerche di Stanford. Visto che è quasi Natale, saluto i lettori con la preghiera delle nostre cellule, così rimango in tema. Tanti auguri a tutti!

DNA nostro, Che sei nel nucleo, Sian duplicati i tuoi geni, Venga l’enzima Sia fatta la tua trascrizione Come nel nucleo così nei mitocondri, Dacci oggi il nostro RNA messaggero Sintetizza le proteine Come fanno i nostri ribosomi Non indurre mutazioni Ma liberaci dagli introni SPLICING

Ho tratto le informazioni per questo post da “The secrets inside us” di Bill Hayes (The New York Times, 4/12/13); Leonard Herzenberg (1931-2013) di Mario Roeder (Nature, 5/12/13); la voce Flow Cytometry di Wikipedia; Leonard Herzenberg, 81, Immunologist who revolutionized research, dies, di Douglas Martin (The New York Times, 10/11/13). In apertura: Leonard Herzenberg e sua moglie Leonore nel loro laboratorio a Stanford (fonte: Università di Stanford). La preghiera delle nostre cellule è uno scherzo molto carino che mi è arrivato per sms dalla nonna biologa di una studentessa del secondo anno di medicina alla Sapienza. Mi sa che la poesia gira fra gli studenti romani: sarà frutto della creatività di qualcuno di loro? Chissà. In ogni caso, complimenti agli studenti poeti.
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