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Carl Woese e la rivoluzione degli Archaea

La scoperta degli Archaea e il primo albero della vita basato sulla genetica sono due pietre miliari della biologia moderna, dovute a Carl Woese, uno scienziato introverso, che ha precorso i tempi e avrebbe meritato il premio Nobel.
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“Si dice che il cambiamento può essere un’evoluzione o una rivoluzione, e che se il primo è lento, il secondo è spesso sanguinoso. Questo è vero anche nella scienza e Carl Woese in un certo senso ha sperimentato entrambi”.

Carl Woese era uno scienziato timido e solitario. Sul muro del laboratorio all’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, ha appeso migliaia di lastre, piene di segni che parlavano di pezzi di geni batterici. Ed è lì che, chino su un visore luminoso, questo fisico diventato microbiologo ha cercato di ricostruire l’albero genealogico dei microrganismi. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno.
 
Così poteva apparire una lastra radiografica di una singola sequenza di materiale genetico,
come quelle che analizzava Carl Woese prima che inventassero i sequenziatori automatci.
 
Woese provava a ricostruire un immenso puzzle dove tutti i pezzi sembravano insieme uguali e diversi. La metafora è logora, ma per una volta appropriata. Sì, perché nelle varie lastre Woese cercava di trovare sequenze comuni in ceppi di batteri diversi. Prima ne metteva insieme qualcuno; poi assemblava piccoli gruppi che formavano isole; poi costruiva ponti fra le isole.
 
Finché Woese, fra tutti i geni di quei batteri, ha intravisto una forma di vita inedita. E così, dopo almeno dieci anni di collegamenti faticosi e meticolosi, dall’oscurità più totale, un giorno del 1977 Carl Woese è diventato famoso.
 
C’era un nuovo regno vivente da comunicare al mondo, che funzionava con regole radicalmente diverse dagli altri. Quel regno erano gli Archaea, un gruppo di batteri distinto dagli altri almeno quanto le piante sono diverse dagli animali.
 
L'albero filogenetico della vita, con i tre regni: i batteri, gli Archaea e gli eucarioti
 
Prima della scoperta di Woese l’albero della vita aveva soltanto due rami principali: i batteri, chiamati genericamente procarioti, e tutti gli altri viventi, ammassati nella categoria degli eucarioti. Ma ora un ignoto professore dell’Illinois, sconosciuto al gotha degli studiosi dell’evoluzione, osava proporre una rivoluzione tremenda: l’innesto di un terzo ramo su una pianta famosissima e fino ad allora biforcuta.
 
Come poteva, questo scienziato stravagante, stabilire l’esistenza di un nuovo regno evolutivo solo in base alle somiglianze genetiche che aveva trovato fra i geni degli RNA di qualche migliaio di batteri? In un’epoca in cui leggere che cosa era scritto nel materiale genetico richiedeva mesi o a volte anni, rispetto ai minuti di un sequenziatore automatico dei giorni nostri; e già leggere la sequenza di un solo segmento era un’impresa; figurarsi se se ne potevano leggere migliaia, appartenenti a organismi diversi, e confrontarli fra loro.
 
Al tempo nessuno credeva che si potessero ricostruire i rapporti di parentela evolutiva con quelle tecniche laboriose e rudimentali. Non ci credevano i genetisti e tanto meno ci credevano gli evoluzionisti, che basavano le loro deduzioni sull’osservazione delle caratteristiche visibili degli organismi.
 
Il tentativo era talmente ardito e crudo, che soltanto un folle poteva essersi messo all’opera. Se nessuno era pronto a dare credito al professor Woese, tanti erano desiderosi di coprirlo di ridicolo.
 
Lo scherno, l’emarginazione, la messa al bando fanno male. Soprattutto quando il sarcasmo viene dalle menti che, per definizione, dovrebbero essere le più aperte e acute. Fra i commenti più dolorosi per Woese, ci sono stati quelli di Salvador Luria, genetista e premio Nobel nel 1969, e di Ernst Mayr, fra i maggiori studiosi dell’evoluzione del secolo scorso. Ma Woese non si è arreso e ha continuato ad arricchire le prove accumulate sugli Archaea di dati sempre più convincenti e incontrovertibili.
 
La scoperta di Woese è passata attraverso le tipiche fasi di accettazione di ogni nuovo paradigma scientifico, che J.B.S. Haldane ha riassunto in questo modo un po' ironico:
 
1. L'idea è senza senso e priva di valore;
2. Il punto di vista è interessante, ma perverso;
3. Sì, l'ipotesi è provata, ma non è assolutamente importante;
4. Abbiamo sempre sostenuto che le cose stessero proprio in questo modo.
 
Il tempo ha dato ragione a Woese l’introverso, che con gli Archaea aveva scoperto un gruppo di organismi davvero diversi, con le “lettere” del materiale genetico disposte in un modo inaudito e memorabile. In effetti a Woese, che era appassionato di jazz, gli Archaea sono suonati fin da subito come “un nuovo tipo di musica che gli esseri umani non avevano mai sentito”.
 
Alla fine è arrivato anche il giusto riconoscimento. Nel 1984 Woese ha ricevuto un premio “Genio” della Fondazione MacArthur; nel 1992 la Medaglia Leeuwenhoek dell’Accademia reale olandese della scienza; nel 2000 la National Medal of Science; e nel 2003 il Premio Craaford in Biosciences.
 
È mancato solo il Nobel a chi “per la scienza ha fatto più di ogni altro dai tempi di Darwin”, come ha detto Norman Pace. Sembra un'esagerazione, ma la scoperta di Woese ha davvero un'importanza enorme per la biologia, perché è il primo albero della vita costruito su relazioni molecolari confermate dalla genetica. Gli alberi precedenti erano fondati su teorie e osservazioni.
 
Perché ci dovrebbe importare qualcosa di questo nuovo regno, e più in generale del mondo degli Archaea e dei batteri? Per rispondere a questa domanda Woese ha proposto un esperimento. Ha detto: “Proviamo a eliminare tutti i batteri dalla terra e vedere che cosa succede. Sapete che cosa succederebbe? Ogni forma di vita scomparirebbe in brevissimo tempo perché la vita batterica è alla base della nostra ecosfera e senza di essa non c’è vita multicellulare. Ma se facessimo l’esperimento inverso, se eliminassimo tutte le piante e tutti gli animali, un mucchio di batteri continuerebbe a evolvere”.
 
Carl Woese è morto il 30 dicembre 2012 a 84 anni dopo una lunga malattia. Tanti lo hanno onorato con bellissimi scritti e ricordi di una vita che, seppure appartata, ci ha dato una visione radicalmente nuova del mondo dei viventi. In uno degli omaggi a Woese ho trovato questo bellissimo, breve documentario che mi ha fatto capire molto su di lui e sulla scoperta degli Archaea (purtroppo non ci sono sottotitoli e l'audio è scadente, ma con un po' di sforzo si riesce a seguire). Buona visione. E grazie, Carl Woese.

 
Molte delle informazioni di questo post, inclusa la citazione in apertura, vengono dal bellissimo post che Mark O. Martin ha dedicato a Carl Woese sul suo blog Microbes rule, il 30 dicembre scorso. L’immagine di apertura proviene dal sito della NASA, mentre l’albero filogenetico della vita è tratto da Wikipedia. La scoperta degli Archaea è stata pubblicata su PNAS da Carl Woese e George E. Fox nel 1977.

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