“Mamma, mamma, guarda come sarai da vecchia!”. Mentre sullo schermo compare la mia faccia ricoperta da una fitta ragnatela di rughe (grazie Aging booth!) e la teenager si sbellica dalle risate, io penso che una breve lezione di biologia dell’invecchiamento sarebbe una ritorsione educativa adeguata.
L’usura del corpo umano è un processo che si manifesta in modo inesorabile in tutti gli esseri umani, nessuno escluso. Rughe, ginocchia artritiche, cataratte e altri acciacchi sono tipici della seconda parte della vita, che oggi dura sempre più a lungo. Gli organi che risentono dei problemi della vecchiaia hanno una caratteristica in comune: l’accumulo di cellule chiamate senescenti.
Le cellule senescenti sono probabilmente l'effetto secondario di un meccanismo che ci difende dal cancro e da altre malattie. Infatti ogni volta che una cellula subisce dei danni irreversibili, si attiva un programma molecolare che dà il via al processo di invecchiamanto cellulare. Lo scopo è impedire alla cellula vecchia e malandata di riprodursi e di dare origine a un tumore o ad altre patologie.
Finché si è giovani il sistema immunitario rimuove la maggior parte delle cellule danneggiate, ma con l’età l’efficienza delle difese si riduce e parecchie cellule che dovrebbero essere eliminate invece persistono.
Un po’ come una macchina da rottamare, che se continua a circolare disperde sostanze tossiche nell’ambiente, una cellula senescente inquina il proprio microambiente liberando molecole infiammatorie, fattori di crescita e altri composti che nuocciono ai tessuti e agli organi.
Che le cellule senescenti fossero non soltanto un effetto, ma anche una causa del processo di invecchiamento era una teoria sostenuta da molti indizi fino al mese scorso. Oggi è un fatto dimostrato, almeno nel topo, da un esperimento che probabilmente resterà nella storia della biologia. L’esperimento, condotto alla Mayo Clinic da Darren J. Baker e Jan M. van Deursen, è avvenuto su un topo affetto da progeria, una malattia genetica che velocizza il processo di invecchiamento di circa 5 volte. In quest’animale di laboratorio i ricercatori di Rochester hanno messo a punto un congegno genetico che permette di eliminare le cellule senescenti ogni volta che al topo viene somministrato un farmaco e che in queste cellule si attiva un gene specifico. Il gene, attivandosi, produce una sorta di “etichetta” molecolare, specifica delle cellule senescenti, che permette di distinguere le cellule da togliere di mezzo dalle altre ancora in salute.
Liberi dalle cellule senescenti, i tessuti del topo sono rimasti più giovani rispetto a quelli degli animali di controllo: non si sono viste cataratte, la massa muscolare non è diminuita e il topo ha continuato a girare sulla ruota più a lungo del normale. Non solo, ma il topo ha anche conservato gli strati di grasso sotto la pelle che in genere si riducono con l’età, causando la comparsa delle rughe negli esseri umani. I risultati sono stati pubblicati su Nature.
Le cellule senescenti sono una minoranza, dal momento che non superano il 2% di tutte le cellule del corpo. Eppure, pur essendo così poche, causano danni notevolissimi sia nei topi che negli umani. Proprio la quantità così modesta, insieme al ruolo così dannoso, potrebbe fare sì che dalla loro eliminazione discendano molti benefici e pochi effetti collaterali.
La ricerca sull’invecchiamento è un campo giovane (perdonate il gioco di parole, ma è proprio così). Se fino a vent’anni fa nessuno immaginava che si potesse venire a patti con l’età, la prospettiva è cambiata quando alcuni ricercatori hanno iniziato a scovare geni e proteine che possono influenzare la durata della vita. Fra questi merita una menzione speciale la famiglia delle proteine Shc (la pronuncia è “chic”), la cui funzione anti-età è stata scoperta in Italia da Piergiuseppe Pelicci. Altre molecole chiave dei processi legati alla longevità sono le sirtuine, individuate nel lievito da Leonard Guarente al MIT di Cambridge.
Con la scoperta dei “geni di lunga vita” si è scatenata la corsa all’oro fra chi avrebbe messo a punto il primo farmaco efficace contro l’età. Finora però i risultati concreti sono stati modesti. In effetti interferire con il processo che porta alla formazione delle cellule senescenti è rischioso: meno cellule che prendono la via dell'invecchiamento può significare più cellule danneggiate che, anziché andare "in pensione", continuano a proliferare e danno inizio a un tumore.
Con gli esperimenti della Mayo Clinic abbiamo imparato due cose: le cellule senescenti, anche se non si riproducono, creano problemi importanti e la loro rimozione sembra essere benefica. Questo è già un ottimo punto di partenza per sviluppare terapie mirate all’eliminazione di queste cellule una volta che si sono formate, senza tuttavia interferire con il processo che le rende senescenti e che previene i tumori.
Sarà possibile insegnare al sistema immunitario a eliminare le cellule senescenti con più efficienza? Si riuscirà a sviluppare farmaci in grado di riconoscere e rimuovere selettivamente queste cellule? Forse sì, se i ricercatori saranno capaci di catalogare tutte le “etichette” molecolari che sono presenti solo nelle cellule senescenti e non nelle loro “sorelle” ancora in forma. Certamente le strategie dovranno essere diverse da quelle impiegate nel topo, poiché un esperimento simile non si potrebbe riprodurre negli esseri umani.
Quando la mia teenager si avvicinerà alla cinquantina, è possibile che ogni primavera il suo medico le consiglierà di sottoporsi a un repulisti biologico che sarà forse in grado di fare piazza pulita delle sue cellule senescenti. Non tanto per vivere più a lungo (chi è così pazzo da voler andare oltre i cento?), quanto per vivere meglio una lunghissima vecchiaia. Questa è la novità forse maggiore che si è aperta con gli esperimenti della Mayo Clinic. Ora non resta che aspettare gli sviluppi.
Avevamo già parlato di invecchiamento e centenari nell'Aula di scienze Zanichelli. Per scrivere questo post ho consultato l'articolo di Nature su cui sono pubblicati gli esperimenti sui topi che ho raccontato; l’articolo di Nicholas Wade, Purging Cells in Mice Is Found to Combat Aging Ills, sul New York Times il 3 novembre 2011; l’intervista di Meera Senthilingam a Jan van Deursen, Clearing Old Cells Prevents Old Age Diseases, pubblicata su The Naked Scientist, a novembre 2011 (qui potete ascoltare l’intervista).
Le foto del post sono tratte dall’archivio Shutterstock (l'apertura e la foto in fondo); dal sito iTunes (Aging Booth) e dalla pagina web di Fabrizio d'Adda di Fagagna (cellula senescente).