Il sogno di Craig Venter, di creare una cellula con un genoma di sintesi, si è realizzato ad aprile 2010. Al progetto hanno lavorato più di 20 persone per circa 15 anni, con costi superiori a 40 milioni di dollari. La ricerca, guidata da Clyde Hutchison III e Hamilton Smith (quest’ultimo già premio Nobel per la fisiologia o la medicina nel 1978), si è svolta presso il J. Craig Venter Institute (JCVI), nei laboratori di Rockville, in Maryland, e di San Diego, in California. Ripercorriamo insieme le tappe fondamentali della ricerca.
La vicenda ha inizio nel 1995. Venter e colleghi sequenziano il più piccolo genoma conosciuto di un microrganismo dotato di vita propria, il Mycoplasma genitalium. Il cromosoma del batterio contiene soltanto 600.000 coppie di basi o circa 500 geni.
La prossima domanda che si fanno gli scienziati è: quanti di questi geni sono necessari e quanti sono invece dispensabili per la vita di questo microrganismo.
Siamo nel 2003. 100 geni dei circa 500 del Mycoplasma genitalium non sono essenziali alla vita del batterio. In altre parole soltanto 400 geni sono il minimo complemento genico del piccolo microrganismo. L’idea è dunque di usare queste istruzioni basilari per sintetizzare un genoma sintetico e trasferirlo in un batterio cui saranno stati rimossi tutti i geni.
Tuttavia, sintetizzare un intero cromosoma batterico e farlo funzionare all’interno di una cellula non è un’impresa banale. La tecnologia non esiste, è tutta da inventare. Anni di lavoro intenso e di innumerevoli tentativi passano prima di arrivare al successo di un mese fa.
Quattro anni più tardi, nel 2007, il trio di scienziati riesce a trapiantare un cromosoma naturale di una specie batterica in un’altra 632).
Per il 2008 è pronto il primo cromosoma sintetico: una copia conforme del genoma naturale di Mycoplasma genitalium, cui sono state aggiunte brevi sequenze di DNA che permettono di distinguere la copia artificiale da quella presente in natura.
Combinare questi due ultimi passaggi sembrerebbe un gioco da ragazzi e invece “l’ultimo miglio” si rivela il più irto di ostacoli. Mycoplasma genitalium cresce troppo lentamente: si decide di abbandonarlo, passando a Mycoplasma mycoides, un batterio dal ritmo riproduttivo più vigoroso. Il genoma di questo nuovo batterio, 1 milione di basi circa, è sequenziato e copiato.
Arriviamo così al 2009. Venter e colleghi dimostrano che è possibile estrarre il cromosoma naturale di Mycoplasma mycoides, trasferirlo e modificarlo in cellule di lievito, e quindi inserirlo nel Mycoplasma capricolum, un altro parente stretto del batterio.
Ora resta soltanto da fare la stessa cosa con il cromosoma artificiale, ancora da sintetizzare. Come fare?
Siamo a cavallo fra il 2009 e il 2010. Venter e colleghi ordinano 1000 sequenze di DNA, ciascuna da 1080 coppie di basi, da una ditta che produce materiale genetico di sintesi. L’insieme delle sequenze copre l’intero genoma di Mycoplasma mycoides. Per assemblarle più facilmente nell’ordine corretto, ciascuna sequenza ha alle estremità 80 coppie di basi che si sovrappongono con quelle delle sequenze vicine. Inoltre, per riconoscere l’origine sintetica del cromosoma assemblato, alcune sequenze contengono stringhe di basi che, in codice, decifrano un indirizzi e-mail, i nomi di molte delle persone coinvolte nel progetto e alcune citazioni famose.
L’assemblaggio delle sequenze, prima in segmenti di 10.000 coppie di basi, quindi di 100.000, fino al cromosoma completo, avviene in cellule di lievito.
Tuttavia, il cromosoma artificiale inserito nel Mycoplasma capricolum non funziona: le cellule non si riproducono. Ci dev’essere un bug, come direbbero gli informatici. Ma trovarlo è come cercare un ago in un pagliaio di un milione di basi. Come fare? Con il trasferimento sistematico di combinazioni di DNA naturale e sintetico, che ha portato a individuare l’errore di una singola base, e a ritardare il progetto di 3 mesi.
Riparata la sequenza, i biologi vedono finalmente crescere una colonia blu di batteri, a partire da una cellula che ha cominciato a riprodursi (il colore blu è il marcatore che la cellula sta usando il genoma sintetico).
La nuova specie batterica, cui viene dato il nome di Mycoplasma mycoides JCVI-syn1.0, è la prova di principio che è possibile riprogrammare la vita di una cellula esistente a partire da un genoma sintetico.
Domande e risposte
Di seguito trovate una sintesi delle principali domande poste ai ricercatori e delle relative risposte:
Perché costruire una cellula sintetica? Per comprendere meglio i fondamenti delle cellule viventi e per dirigere le cellule a eseguire azioni utili, come purificare l’acqua o sintetizzare nuovi carburanti biologici, in quantità e con efficacia diverse da quelle possibili con le specie attualmente esistenti.
Che differenza c’è fra questa nuova tecnologia e le ormai tradizionali tecniche di ingegneria genetica?
Gli esperimenti di ingegneria genetica di solito determinano la sostituzione di un numero limitato di geni, selezionati tramite tentativi empirici, in piante, batteri o virus. Viceversa, la biologia sintetica sostituisce un intero genoma, la cui progettazione avviene a partire dallo studio delle sequenze al computer, prima di procedere a esperimenti in vitro.
Quali sono le potenziali applicazioni di una cellula sintetica?
Una migliore comprensione del funzionamento delle cellule, lo sviluppo di nuove tecniche per la progettazione di vaccini, farmaci e biocarburanti avanzati, la possibilità di ottenere nuovi alimenti, acque pulite, tessuti innovativi.
Quali sono i rischi associati agli organismi sintetici?
Come ogni nuova area della scienza, della medicina o della tecnologia, la genomica sintetica ha il potenziale di essere usata per grandi benefici alla società (biocarburanti, vaccini e farmaci ecc.), ma può anche essere usata per obiettivi negativi. Le implicazioni di questa nuova tecnologia dovranno essere discusse a livello sia nazionale sia globale, come pure in forum di discussione aperti a bioeticisti, insegnanti, studenti, media e società civile in genere, in modo che la gente possa comprendere i fondamenti della nuova tecnologia, insieme a rischi e benefici.
In questo video potete vedere la conferenza stampa del 20 maggio, del J. Craig Venter Institute:
Il post è basato sull’ottima sintesi di Elizabeth Pennisi, pubblicata il 23 maggio su Science e sulle domande e risposte pubblicate sul sito del J. Craig Venter Institute.
Le immagini sono tratte dal sito del J. Craig Venter Institute.