«Il risultato del test è positivo», un chirurgo comunica a un paziente e ai suoi familiari, che tirano un sospiro di sollievo. «Quindi le cose vanno bene?» chiedono, cercando una rassicurazione. «Non proprio» – risponde il chirurgo – «dopo l’intervento sono rimaste delle cellule tumorali».
Nel linguaggio comune, il termine “positivo” crea l’aspettativa di qualcosa di buono e promettente, ma in medicina può significare anche il contrario. Stessa parola, opposta percezione, per il paziente e i suoi familiari da una parte e per il medico dall’altra.
Come evitare che un fraintendimento deluda un’aspettativa? Basta mettersi nei panni delle persone che ascoltano, immaginare che cosa sono in grado di capire e scegliere parole semplici, chiare e non ambigue, lasciando da parte i termini gergali e le scorciatoie da specialisti.
Usare parole semplici e chiare è lo sforzo che fa ogni giorno il sistema sanitario britannico, o NHS, quando comunica sul proprio gigantesco sito web. Si tratta del più grande sito web britannico sulla salute, con 43 milioni di visite al mese, che tantissima gente consulta quando ne ha bisogno. La BBC Radio 4, con la trasmissione “Word of Mouth” ha dedicato una puntata a capire come i responsabili del sito studiano e scelgono il linguaggio da usare, e lo ha fatto intervistando Sara Wilcox, progettista dei contenuti del sito web del NHS.
Prima di pubblicare nuove informazioni, fanno dei test con persone comuni: le incontrano in una biblioteca, nello studio di un medico o in uno spazio apposito dove le persone possono guardare il sito, leggere il contenuto, dire che cosa hanno o non hanno capito, e qual è la loro sensazione. A volte fanno anche dei sondaggi online e inoltre monitorano i termini con cui la gente cerca informazioni mediche su Google, per raccogliere indicazioni sul tipo di linguaggio che la gente usa.
«È una malattia così rara che Google non la conosce» – vignetta di Percival, traduzione L.V.
Il NHS ha scelto un linguaggio molto “terra terra”. Per esempio, nella pagina che parla dei cambiamenti che può subire un neo, preferiscono l’aggettivo “screpolato” o “sanguinante” a termini medici come “ulcerazione” o “comparsa di essudato”.
Non si vergognano a scrivere cacca e pipì al posto di feci e urine, o “scoreggia” nella pagina sulla flatulenza, in sostituzione di passing wind o breaking wind, perifrasi più educate, ma spesso incomprensibili a persone non di madrelingua. Invece tutti capiscono immediatamente che cosa sono la cacca, la pipì o una scoreggia, anche se ad alcuni queste parole possono dare fastidio.
La pagina del sito del NHS dedicata alle scoregge (o flatulenza).
Quando ha introdotto questi termini, il sito del NHS ha ricevuto parecchie lamentele. Alcuni ritenevano che dietro la scelta di un linguaggio di così basso livello ci fosse un giudizio paternalistico e condiscendente su persone considerate non in grado di capire niente di minimamente più complicato o colto; altri trovavano parole come “cacca” e “pipì” offensive; altri ancora avevano l’impressione che un contenuto così rozzo non potesse essere accurato e sicuro.
Non è così. Tutti i contenuti del sito NHS sono scritti o validati da un medico. Il linguaggio volutamente semplice è una scelta, per riportare informazioni fattuali e provate, neutre e non ambigue. Inoltre, tramite un’analisi di circa 10.000 risposte degli utenti a un apposito sondaggio, i responsabili del sito hanno verificato che per ogni protesta avevano ricevuto circa dieci messaggi di approvazione. La gente quando cerca informazioni mediche preferisce capire ciò che legge, anche se le parole usate non sono sempre le più eleganti.
Bisogna anche tenere conto del fatto che le persone, quando cercano informazioni sulla salute, sono spesso preoccupate o in panico e possono essere frastornate e molto malate. In queste condizioni chiunque fatica a capire qualunque cosa, anche la più banale, tanto più se non di madrelingua.
Per questo sul sito del NHS sono concisi: vanno al punto, con parole brevi, frasi di massimo 20 parole, paragrafi di non più di 3 righe e voci dei verbi attive e non passive.
L’obiettivo è farsi comprendere da chi ha un livello di lettura pari a ragazzini di 11-12 anni, in un Paese dove 4-6 persone su 10 hanno difficoltà a leggere informazioni mediche come quelle che si trovano nei “bugiardini” (e in Italia non è detto che siamo messi meglio).
Il parlare comune è diverso dal gergo medico. Un attacco di cuore per me può essere un infarto del miocardio per un cardiologo. Nella professione è necessario un lessico tecnico che permetta la discussione rapida e precisa tra esperti. Buona parte di questo lessico si è sviluppato nei secoli, quando il latino era la lingua franca della scienza (una volta per accedere alla facoltà di medicina in Gran Bretagna bisognava avere studiato latino al liceo). Oggi però per molti è un ostacolo.
Quando una persona diventa un paziente, assorbe almeno una parte del lessico specialistico che descrive la sua malattia. Lo stesso sta accadendo in questi giorni: il focolaio del coronavirus in Cina ci sta facendo familiarizzare con termini che pensavamo desueti, come quarantena e isolamento. Anche su questa emergenza il sito del NHS fornisce un’informazione di base: il minimo indispensabile per conoscere cosa sta accadendo e farsene un’idea basata sui fatti.
Il sito del NHS non educa la gente a diventare un medico “fai da te”. Scopo ultimo del sito è che le persone, trovando facilmente quello che cercano, agiscano rapidamente e nel modo più sensato per risolvere il problema che hanno, per esempio rivolgendosi al medico quando questo è necessario.
Oltre che pragmatico e affidabile, il sito del NHS è una fonte di informazione pubblica, il cui scopo sociale è la salute dei cittadini. Dietro siti privati e commerciali che parlano di salute vi possono, invece, essere conflitti di interesse non dichiarati e spesso le informazioni sono da prendere con le pinze.
«Devo dirle che ho ricevuto una diagnosi completamente diversa da un tizio che si chiama PookyPoo su medi-risposte.com» – vignetta di David Sipress, New Yorker (2013), traduzione L.V.
Sul sito del NHS usano anche termini medici, naturalmente, perché la gente li sente dire dal dottore o in farmacia. Ogni volta che li usano li spiegano con poche parole facilissime. Per esempio, quando scrivono “diuretico” aggiungono “un tipo di farmaco che fa fare più pipì”. Spesso le persone vogliono conoscere questi termini, per potersi esprimere con appropriatezza con il proprio medico senza sentirsi in imbarazzo.
Una bassa alfabetizzazione sanitaria può avere un impatto sulla salute. Ci sono ricerche che indicano che più la gente ha difficoltà a leggere le informazioni mediche e più rischia di finire al pronto soccorso o ricoverata in ospedale.
I redattori hanno stilato una guida dalla A alla Z in cui spiegano il linguaggio che il sito NHS predilige. Per esempio preferiscono pharmacy a chemist, due sinonimi per “farmacia” in inglese, uno più recente e uno più tradizionale, perché hanno notato che la gente su Google cerca molto più il primo termine del secondo. Probabilmente si tratta di un cambiamento generazionale.
Per dirvi quanto sono attenti all’uso delle parole, nel sito NHS non usano e.g., l’abbreviativo di exempli gratia, “per esempio”, e non solo perché è latino. Non lo utilizzano perché chi legge con un sintetizzatore vocale sentirebbe egg, uovo, anziché “e.g.” e potrebbe fare confusione. Al posto di e.g. preferiscono usare termini come such as o it might include, eccetera.
“Food pipe”, canale alimentare? Lo impiegano, per esempio accanto al termine per una parte anatomica, come esofago, che fa parte del tubo digerente e può essere difficile.
Incurabile? Preferiscono dire che una malattia non si può ancora curare, perché il prefisso in-, a differenza di un-, può non essere immediatamente comprensibile. Soprattutto, “non si può ancora curare” è un modo più delicato e meno brutale di dire la stessa cosa.
Riguardo ai dosaggi, scrivono sempre le unità di misura per esteso: microgrammi al posto dell’abbreviazione mcg, per esempio, perché la gente si può facilmente confondere con i milligrammi, una dose 1000 volte superiore!
A volte la medicina offusca parole che fanno paura. Un reparto di malattie neurodegenerative raramente si chiama reparto di cura dell’Alzheimer o delle demenza. Dietro ogni eufemismo in medicina c’è anche il timore di spaventare le persone o di metterle a disagio.
La scarsa chiarezza può peggiorare una situazione delicata. Un paziente che avrebbe dovuto fare un esame diagnostico pare che non si sia presentato perché non aveva capito che “radiologia” e “raggi X” erano due nomi per lo stesso reparto.
Esistono malattie che non possono essere spiegate in termini semplici? La risposta del NHS è un risoluto “no”. Più precisamente, non ci sono malattie che non si possono spiegare al livello di dettaglio e comprensione necessario al paziente. Non si possono specificare tutti gli aspetti tecnici, naturalmente, ma lo scopo è chiarire ciò che è necessario sapere.
Per questo occorre riflettere con molta attenzione su che cosa i pazienti hanno bisogno di sapere ed elaborare per loro una sintesi chiara, semplice, concisa. Il punto non è nascondere qualcosa, ma filtrare gli elementi più rilevanti e importanti.
Per un medico imparare a parlare in questo modo è uno sforzo che richiede un percorso a ritroso. Alla facoltà di medicina insegnano a dimenticare in parte la lingua con cui si è cresciuti e a impararne uno diverso, da iniziati. A contatto con i malati occorre rimettersi almeno un po’ nei panni di quello studente alle prime armi, per ritornare a quel linguaggio comune che permette di comunicare efficacemente con chiunque.
Un paziente che capisce è un dono per tutti. Epidemie a parte (sperando che restino rare), la maggior parte delle malattie occidentali è cronica e a lungo termine. Più i malati comprendono e meglio sono in grado di prendere cura di se stessi.
Peccato che la Gran Bretagna sia uscita dall’Unione europea: il pragmatismo inglese ci mancherà.
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Per scrivere questo post ho ascoltato Michael Rosen intervistare Sara Wilcox, progettista dei contenuti del sito Web dell'NHS, nella trasmissione “Word of Mouth” dal titolo “NHS language use”, prodotto da BBC 4, e ho consultato il sito del NHS.