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Biologia e dintorni

Effetti placebo (e nocebo) in 5 puntate/5

Che cos'è un effetto placebo? Qual è la sua storia? Che cosa accade nel cervello quando si induce un effetto placebo? Funziona solo per modulare il dolore? Come si studia e come si misura? È lecito mentire a un paziente, seppure a fin di bene, o è meglio istruirlo? Tante domande per altrettante risposte, in 5 puntate, su Biologia e dintorni.
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5. Mentire non è lecito, istruire è opportuno

Nella prima puntata ho raccontato che cosa è e che cosa non è un effetto placebo;
nella seconda puntata ho fatto un breve riassunto della storia dei meccanismi placebo;
nella terza puntata ho descritto l’effetto nocebo, ho analizzato le critiche più rilevanti agli studi sull’effetto placebo e il metodo necessario a condurre questi studi in maniera rigorosa;
nella quarta puntata ho descritto gli effetti placebo in malattie caratterizzate da sintomi diversi dal dolore, come il morbo di Parkinson, la psoriasi e la dipendenza da cocaina.
Nella quinta e ultima puntata parlo degli aspetti etici dell’effetto placebo e dei messaggi più importanti della ricerca per chi esercita l’arte della medicina.
 
È etico mentire ai pazienti, seppure a fin di bene? Potrebbe esserlo, pensando ai risultati degli studi di cui vi ho parlato in questo approfondimento. Una bugia pietosa può indurre un effetto placebo e contribuire a ridurre il dolore o, viceversa, evitare un’inutile esasperazione di sintomi. Eppure il vecchio detto che le bugie hanno le gambe corte ci ricorda che non è mai una buona idea mentire, specialmente in medicina, dove la fiducia non solo nell’autorevolezza, ma anche nell’onestà del medico, è un fattore cardine per l’efficacia delle cure stesse. Se infatti una menzogna a fin di bene può evitare un’inutile sofferenza ad alcuni pazienti, il rischio è che si diffonda l’idea che i medici mentono in generale: un rischio da evitare a tutti i costi, perché ne va della credibilità della scienza medica nel suo complesso.
 
Se mentire è controproducente, forse la verità si può senza indulgere in troppi dettagli negativi. Oggi la società è litigiosa e anche la relazione fra medico e paziente soffre di un eccesso di scetticismo e sospetto reciproco. Come è ben argomentato da Luana Colloca e Franklin Miller, viviamo nell’epoca del consenso informato e un medico può dare un’enfasi eccessiva ai possibili effetti collaterali di una terapia o di un intervento, per tutelarsi in caso, in futuro, dovesse difendersi in tribunale (Franklin Miller, ricercatore presso il dipartimento di Bioetica dei National Institutes of Health di Bethesda, Maryland, è uno dei maggiori studiosi di problemi etici relativi alle sperimentazioni cliniche). Tutto questo può provocare in un paziente un effetto nocebo che è in grado di minare l’efficacia stessa di una terapia ancor prima che inizi. Come si risolve questo dilemma?
 
Placebo senza inganno? Come Ted Kapthcuk e colleghi hanno dimostrato nella sindrome del colon irritabile, i benefici per i pazienti aumentano se il placebo è somministrato in modo aperto e dichiarato. La parola chiave è dunque “istruzione”, sia per i medici, sia per i pazienti, che devono sapere come gli effetti placebo e nocebo si attivano e si combinano all’azione farmacologica, in modo da trarne vantaggi e non svantaggi.
 
È chiaro che la medicina moderna non è organizzata per tenere in considerazione gli effetti placebo e nocebo. Il peso di una popolazione sempre più longeva, con malattie croniche che costano enormemente ai sistemi sanitari nazionali, ha imposto tagli al personale medico e sanitario che si traducono in tempi sempre più ridotti da dedicare al benessere del singolo paziente. Quel che si può, lo si affida a macchine, probabilmente più precise e affidabili di un essere umano (anche se forse il paziente non è sufficientemente consapevole dei vantaggi della tecnologia). E quel che non si può delegare agli apparecchi, si risolve con visite frettolose. Purtroppo tutto questo non si riflette soltanto in una percezione di disattenzione e abbandono da parte del paziente, ma va a scapito della cura stessa e della sua efficacia. La crisi economica senza precedenti non può che peggiorare le cose. Perché non usare quel po’ di saggezza che viene dagli studi sugli effetti placebo per migliorare la qualità del rapporto medico-paziente?
 
L’arte della medicina è un complesso di scienza e tecnologia, ma anche di sensibilità e pratica artigianale. Abbiamo visto che le parole, le azioni, i comportamenti di un medico o di un infermiere muovono un mucchio di molecolenel cervello di un paziente. Il rituale dell’atto terapeutico nel suo insieme si traduce in stimoli sociali e sensoriali che determinano un cambiamento reale nel cervello di chi riceve la cura: un cambiamento che induce aspettative consce e inconsce ancora prima dell’inizio di una terapia.
I risultati della ricerca ci dicono che siamo in un’ottima posizione per descrivere con un approccio biologico ed evolutivo la relazione fra il medico e il paziente, e ciò accade nel cervello quando si induce un effetto placebo.
Se i medici che operano oggi non hanno il tempo di imparare la biologia degli effetti placebo (a mio avviso il tempo lo dovrebbero trovare, ma questa è la mia opinione), mi piacerebbe che questa consapevolezza fosse almeno insegnata agli studenti di medicina.
 
Grazie per avermi seguito fin qui. Vi suggerisco di guardare questo video realizzato da Ben Goldacre per il National Health Service britannico, che riassume in pochi minuti (con sottotitoli in inglese) quasi tutto quello che vi ho raccontato in tante pagine. Fra l’altro, Ben Goldacre è il re degli scettici: se anche lui si è convinto che gli effetti placebo esistono, qualcosa di vero ci dev’essere!

 
Segue la biografia completa del post in cinque puntate sugli effetti placebo e nocebo:
 
La voce Placebo su Wikipedia
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