Tra gli animali, noi bipedi siamo una sparuta minoranza. Consideriamo la posizione eretta talmente distintiva della nostra specie che quando capita, raramente, di vedere un altro animale che cammina su due zampe, viene spontaneo pensare a un nostro consimile travestito, per esempio, da orso. È accaduto con l’orso Pedals, che si aggirava nei sobborghi del New Jersey in posizione eretta, a causa di un trauma per cui non riusciva ad appoggiare il peso su tutti e quattro gli arti.
Jeremy DeSilva è probabilmente il maggiore esperto vivente di come, nella storia, abbiamo imparato a camminare. Paleoantropologo al Dartmouth College ad Hanover, nel New Hampshire, DeSilva ha scritto un bel libro dal titolo “I primi passi” (HarperCollins Italia, 2022), in cui conduce i lettori per mano (o sarebbe meglio dire per i piedi) attraverso i fossili di chi ha camminato prima di noi.
I più antichi passi su due piedi li hanno compiuti alcuni ominidi nostri antenati. I fossili con cui ricostruire fattualmente l’evoluzione della nostra andatura erano tuttavia ben pochi fino all’inizio di questo secolo. Attorno al 2000, scrive DeSilva, «le prove fisiche pubblicate, che gli antichi ominidi fossero bipedi, consistevano in un cranio schiacciato rinvenuto in Ciad, un femore rotto trovato in Kenya e un minuscolo osso del piede affiorato in Etiopia». Altri reperti eloquenti da questo punto di vista sono stati fortunatamente rinvenuti negli ultimi due decenni, portando via via indietro nel tempo il momento in cui l’umanità sembra avere cominciato a camminare.
DeSilva è andato a studiare uno per uno i fossili, cercando prove delle loro diverse capacità locomotorie, in tutte le parti del mondo dove sono conservati. Forti emozioni, rispetto, deferenza hanno suscitato in lui gli incontri a tu per tu con antenati tra cui l’australopitecina Lucy in Etiopia, il ragazzo del Turkana in Kenya, un uomo di Denisova in Siberia. Grazie a questi e a tanti altri, DeSilva ha potuto capire molto su come camminassero questi nostri progenitori e che cosa le loro ossa, negli aspetti anatomici, genetici, metabolici, ci possono dire su piedi, gambe, bacini odierni.
Con una chiarezza e una semplicità davvero encomiabili, DeSilva racconta l’evoluzione che ci ha portato a essere bipedi, insieme alle capacità ma anche agli svantaggi che ne sono derivati. Il bipedalismo ci ha offerto innumerevoli vantaggi, ma ci ha anche reso lenti. «Il più veloce di noi – , scrive DeSilva – corre alla metà circa della velocità di un’antilope. Muovendoci su due zampe anziché su quattro, abbiamo perso la capacità di galoppare e ci siamo resi così straordinariamente lenti e vulnerabili» agli eventuali predatori.
La narrazione è ben incastonata nelle più ampie vicende di oltre mezzo secolo di paleoantropologia. La disciplina non risparmia ai propri adepti – pionieri come i Leakey o studiosi come Tim White e tanti altri – le condizioni durissime degli scavi negli aridi altipiani africani o nelle gelide grotte siberiane, giusto per citare due estremi. Ma la potenza di una scoperta, anche di pochi frammenti di qualche osso antico, ripaga di tanta durezza. Soprattutto, per DeSilva, fa avanzare le nostre idee su come abbiamo iniziato a camminare e su cosa abbiamo da allora potuto fare meglio (o peggio).
Quali i benefici? Innanzitutto il trasporto di cibo, strumenti, figli. Poi il poter scrutare il territorio alla ricerca di nemici e intimidire aspiranti predatori lanciandogli oggetti. E la capacità di spostarsi in modo efficiente da una zona ricca di cibo a un’altra.
Gli svantaggi? L’andatura bipede richiede ossa del bacino e pelviche particolarmente robuste, che sembrano avere reso il parto più complicato nella nostra specie. «Ogni nascita – scrive DeSilva - è una complicata miscela che comprende, tra le molte variabili, le dimensioni della testa e delle spalle del feto e quelle della pelvi della madre, la durata della gestazione, il rilassamento dei legamenti, la deformazione del cranio, gli ormoni dello stress, la posizione del feto alla nascita, il livello di supporto sociale e i consigli e l'approccio dell’ostetrica o del ginecologo».
La mortalità materna per parto, ancora oggi troppo alta nel mondo, potrebbe avere però cause più sociali e sanitarie che evolutive, sempre secondo De Silva. «Nel mondo quasi 300.000 donne e 1 milione di bambini muoiono ogni anno di parto. Emorragia o infezione sono le principali cause per le madri. I decessi sono generalmente più numerosi nei Paesi più poveri e dove le donne hanno minori diritti riproduttivi. La mortalità materna – prosegue DeSilva – è particolarmente alta dove sono comuni le spose bambine e dove le ragazze partoriscono prima che il corpo sia completamente cresciuto».
Gli studi su come abbiamo imparato a camminare aiutano anche a immaginare il futuro. Le conoscenze accumulate non solo da DeSilva sono infatti utili a progettare protesi per chi non è più in grado di spostarsi autonomamente e a costruire robot capaci di imitare la nostra andatura.
Al libro non manca qualche mito gustoso. «Secondo l’antico statista greco Alcibiade, gli esseri umani avevano quattro gambe, quattro braccia e due facce. Erano arroganti e pericolosi: una chiara minaccia per gli dei. Questo preoccupò Zeus, che prese in considerazione l’idea di distruggere gli umani con dei fulmini, come lui e gli dei dell’Olimpo avevano fatto con i Titani. Ma escogitò piuttosto un piano ingegnoso. Li divise a metà. Con soltanto due gambe, due braccia e una faccia, gli esseri umani non sarebbero più stati così minacciosi. Apollo ricucì questi esseri divisi e fece loro un nodo all’ombelico. Da allora hanno vagato per la Terra alla ricerca della loro metà, la loro anima gemella».
Insomma, “I primi passi” è un’ottima lettura per l’estate. Buone vacanze!