John Coffin, professore ed esperto di retrovirus della Tufts University di Boston
Loro ci hanno usato, noi li abbiamo usati. L’evoluzione, si sa, fa bricolage: usa e riusa pezzi e funzioni, creando variazioni sul tema. Un esempio sono i geni dell’interferone, regolati da DNA retrovirale che abbiamo cooptato a nostro uso. I retrovirus hanno escogitato il modo di attenuare l’attività antivirale degli interferoni, che noi produciamo per difenderci dalle infezioni; noi abbiamo sfruttato quegli stessi geni, messi a punto dai retrovirus e incorporati nel nostro genoma, per smorzare, una volta che l’emergenza è passata, l’allarme lanciato dagli interferoni al sistema immunitario all’inizio di un’infezione. Non è il solo caso di addomesticamento di geni retrovirali endogeni a nostro vantaggio. Un altro esempio sono le sincizine, proteine necessarie a far fondere fra loro le cellule della placenta. Sono prodotte su ricetta genetica di un antico retrovirus endogeno e le sfruttiamo da tempo immemore, al pari di topi e altri mammiferi. Senza di loro la placenta non funziona, il feto non si attacca all’utero e non si connette ai vasi che portano il nutrimento. Un esempio più recente è hemo, scoperto da Odile Heidmann all’Istituto Gustave Roussy di Parigi: si tratta di un arcaico gene retrovirale espresso e conservato in molte specie di primati. È prodotto nella placenta e nelle cellule precoci del feto. Che cosa fa? Nessuno lo ha ancora capito.Un feto umano e la placenta (Wikipedia)
Forse hemo aiuta le cellule staminali dell’embrione a mantenere la loro capacità di differenziarsi in ognuno dei circa 200 tipi di cellule adulte (l’ipotesi è di Gkikas Magiorkinis, virologo all’Università di Atene). Così facendo, anche il virus antico aveva il suo tornaconto: rimanere nel DNA di tanti tipi di cellule diverse, comprese quelle germinali che lo avrebbero traghettato nelle generazioni successive. Forse è un messaggio dal feto alla madre (l’ipotesi è di Odile Heidmann): “Tieni a bada il tuo sistema immunitario, non mi attaccare”. Una funzione utile sia ai virus, sia ai feti. Se così fosse sarebbe una prova ulteriore di quella “lotta particolarmente tumultuosa” instaurata nel corso dell’evoluzione tra gli interessi del feto e quelli della mamma (per dirla con le parole di Robert Sapolsky in Behave, W. W Norton, 2017). -- Ho scritto questo post ispirata da Carl Zimmer, Ancient Viruses Are Buried in Your DNA, The New York Times (4/10/17). Ho consultato: Gkikas Magiorkinis et al., Roles of Endogenous Retroviruses in Early Life Events, Trends in Microbiology (29/9/17); Vincent Racaniello, Purging the PERVs, Virology Blog (17/8/17). L’immagine di apertura (Lukejerram.com) è una scultura del retrovirus HIV creata dallo scultore Luke Jerram.