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Il caldo frigorifero dei virus influenzali

L’evoluzione dei virus dell'influenza è veloce nelle specie che vivono a lungo, come gli esseri umani, e lenta negli animali a vita più breve, come uccelli e maiali.
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Prendete un virus dell’influenza e lasciatelo per un centinaio d’anni fra i maiali di allevamento. Prendete un esemplare dello stesso virus e immergetelo in una popolazione di esseri umani per lo stesso periodo di tempo. Passato un secolo, come si saranno evoluti i due virus? Per la risposta non c’è bisogno di aspettare tanto, dato che un esperimento analogo è già avvenuto. Lo ha fatto l’evoluzione, a partire dall’influenza Spagnola del 1918 fino ai giorni nostri.

Virus imparentati
Il virus A H1N1, che nel 2009 ha fatto il giro del mondo, è un parente piuttosto stretto del virus della Spagnola. Questa di per sé non è una grande novità. Quasi tutti i virus influenzali che hanno infettato gli esseri umani negli ultimi cento anni sono suoi discendenti e già si sapeva che nel genoma del virus A c’era più di un pezzo “riciclato”.
 
La vera novità è il fatto che anticorpi contro il virus della Spagnola proteggano dall’influenza A e viceversa, un’immunizzazione con il vaccino pandemico del 2009 produca anticorpi capaci di bloccare il virus del 1918. Lo si è visto inun esperimento condotto sui topi, nel laboratorio di Gary Nabel al National Institute for Aids and Infectious Disease di Bethesda, nel Maryland e pubblicato su Science Translational Medicine.
 
Un risultato che nessuno degli esperti si aspettava, poiché l’emagglutinina, la proteina di superficie che gli anticorpi riconoscono come prima cosa nel virus, non sembrava essere particolarmente simile nei due ceppi. La somiglianza complessiva fra le due proteine si ferma infatti all’80%: un grado di uguaglianza in genere insufficiente a determinare una reazione da parte di un anticorpo non specifico. Eppure in questo caso la reazione c’è stata. Come mai?
 
La risposta viene dall'analisi ai raggi X del cristallo dell'emagglutinina del nuovo virus,“abbracciato” a un anticorpo rinvenuto in un sopravvissuto della Spagnola. Nel punto specifico in cui anticorpo ed emagglutinina si toccano, c’è una somiglianza del 95% fra il vecchio e il nuovo ceppo pandemico. Dunque l’esperimento condotto dal gruppo di Ian Wilson allo Scripps Research Institute di San Diego, e pubblicato su Science Express, mostra che le teste delle due emagglutinine hanno forme molto simili nei due virus.
 
Anziani salvati due volte
Poiché la testa dell’emagglutinina è la chiave che permette ai virus influenzali di entrare nelle cellule, la somiglianza quasi assoluta in questo punto fra il nuovo virus e quello della Spagnola spiega perché il virus A H1N1 abbia risparmiato le persone molto anziane, salvate una seconda volta dagli stessi antichi anticorpi che si erano già resi utili nel 1918.
 
Il corpo umano e l’influenza sono un po’ come James Bond e le spie sovietiche in un film di 007: si danno la caccia vicendevolmente e fanno a gara a chi sviluppa l’arma o il sotterfugio più sofisticati. L’uomo produce anticorpi che cercano di volta in volta di riconoscere i ‘cattivi noti’, mentre il virus dell’influenza ha un arsenale di artisti trasformisti, di cui il campione del gruppo è, guarda caso, l’emagglutinina.
 
Di regola i virus influenzali cambiano da una stagione all’altra, soprattutto nella struttura dell’emagglutinina, rendendo inefficaci i vaccini e gli anticorpi sviluppati in precedenza. I cambiamenti nei ceppi influenzali che si sono susseguiti dal 1918 si sono originati da mutazioni genetiche che hanno modificato gradualmente le proteine o da scambi di pezzi di geni fra ceppi virali che infettano animali diversi. Il risultato è in genere la sostituzione di un aminoacido in grado di alterare la struttura della proteina in modo da impedire alle “braccia” di un anticorpo di afferrarla bene. Oppure le emagglutinine si ricoprono di zuccheri che formando una sorta di nuvola impediscono agli anticorpi di “vedere” il punto di attacco.
 
Quando l'evoluzione ripropone le soluzioni del passato
Una cosa davvero stupefacente è il fatto che la testa dell’emagglutinina della Spagnola e quella del virus A sono “calve”. Un modo per dire che sulla testa delle due proteine non si trova quella sorta di “parruccone” di zuccheri che caratterizza invece le emagglutinine dei diversi virus influenzali che si sono evoluti negli esseri umani a partire dalla Spagnola. Come ha fatto l’emagglutinina vecchia-nuova a sopravvivere, calva e pressoché immutata per quasi un secolo, se oramai circolavano così tanti anticorpi contro di essa?
La testa dell'emagglutinina, 'calva ', ossia senza zuccheri, nei virus del 1918 e del 2009
 
Una delle lezioni della recente stagione pandemica è che l’evoluzione virale differisce enormemente negli esseri umani e nelle altre specie. Gli esseri umani vivono molti decenni e creano relazioni a lungo termine fra il sistema immunitario e i virus dell’influenza che incontrano. “I virus sono costretti a evolvere velocemente negli esseri umani se vogliono sopravvivere” scrive Rino Rappuoli, direttore scientifico della Novartis Vaccines and Diagnostics, in un commento su Science Translational Medicine. Un’evoluzione altrettanto veloce non è invece necessaria nelle specie a vita breve, come gli uccelli e i maiali, specialmente negli allevamenti.
 
Dunque l’emagglutinina del virus A H1N1 è rimasta congelata nella sua evoluzione nei maiali, che sono stati per questo virus una sorta di “caldo frigorifero” (la definizione, bellissima, è di Ruben Donis, virologo dei CDC di Atlanta). Peccato che dal “caldo frigorifero” agli esseri umani la strada possa essere rapida.
Ma già si intravede l’opportunità per una nuova strategia di prevenzione: costruire batterie di vaccini contro ceppi che hanno causato pandemie del passato, andando a cercare i virus “archiviati” che sono rimasti congelati per decenni nei maiali e negli uccelli.
 
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Per scrivere questo post mi è stato utile, oltre agli articoli che ho citato nel testo, il commento di Jon Cohen, apparso su Science il 26 marzo scorso.

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