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Il cancro e il caso

Cancro, nasce per caso? In parte sì, dagli errori che avvengono durante la divisione delle cellule staminali. Soprattutto nei tessuti dove ci sono tante staminali che si dividono spesso. Sembra scoraggiante, ma il caso si può studiare, ridurre, addomesticare. E farlo vale la pena, perché il cancro si può sempre più prevenire e sempre più curare. Anche quando di mezzo c'è il caso.
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«Che cosa ha causato il cancro?» è la domanda che assilla pazienti, medici, scienziati. «I geni mutati che ci hanno trasmesso i genitori? Quel che si è mangiato, bevuto, fumato? Il sole che abbiamo preso o quell’infezione che ci siamo beccati anni fa?» La causa la cerchiamo sempre nel dualismo fra la natura che ci è data alla nascita e l’ambiente che incontriamo, come se esistessero separatamente. Poi la causa la vogliamo unica, per tutti i tipi di cancro, perché al nostro cervello piacciono le spiegazioni semplici. Ma unica la causa non è mai, neppure per un singolo tumore, e i tumori sono centinaia. C’è però una causa a cui non ci piace dare alcuna responsabilità: il caso. Indeterminato, ingovernabile, il caso ci pare una spiegazione non scientifica, da ignorare e rigettare. Soprattutto non soddisfa quell’incessante fabbrica di spiegazioni che è il cervello, sempre a caccia di una ragione, un nesso apparente di causa ed effetto per ogni fenomeno (attenzione, che non sempre ci azzecca). Il caso ha però un ruolo ben più importante di quel che amiamo credere, non solo nei tumori ma in ogni caso della vita, se mi permettete un gioco di parole. Cristian Tomasetti e Bert Vogelstein, del Kimmel Comprehensive Cancer Center di Baltimora, in Maryland, hanno fatto un tentativo davvero encomiabile di capire qualcosa sul ruolo del caso nello sviluppo dei tumori. Di Vogelstein ho già parlato: è un medico di formazione, da anni alla Johns Hopkins University, è considerato un gigante della ricerca oncologica mondiale e fra i maggiori esperti delle alterazioni genetiche dei tumori. Tomasetti è un biostatistico, anche lui alla Johns Hopkins, studia dal punto di vista matematico come evolvono i tumori e il ruolo dinamico delle cellule staminali. Il loro studio è stato pubblicato su Science. Prima di cominciare un’avvertenza per chi cerca certezze: evitiamo ogni illusione. Siamo nel regno dell'indeterminato, ma questo non vuol dire che non ci sia modo scientifico e serio di affrontare il problema. Il modo c’è purché accettiamo di andare per stime, approssimazioni, tentativi. E accettiamo anche il fatto che con le probabilità si possono descrivere abbastanza bene le cause dei tumori quando guardiamo ai grandi numeri e a alle grande popolazioni, non alla singola malattia e al singolo individuo. In pratica Tomasetti e Vogelstein che cosa hanno fatto? Hanno fatto dei calcoli, e non degli esperimenti di laboratorio, per cercare di spiegare perché alcuni tessuti danno luogo a tumori milioni di volte più frequenti di altri. La cosa era nota da almeno un secolo, ma erano poco comprese le ragioni. Più precisamente, si sapeva che perché un tessuto dia luogo a un tumore occorre almeno uno di tre fattori: un gene mutato che si eredita, un errore in una divisione cellulare, un fattore di rischio legato all’ambiente o allo stile di vita e capace di indurre mutazioni. Quello che non si sapeva è il peso relativo di ciascuno di questi fattori per ogni tipo di tessuto e tumore. Così Tomasetti e Vogelstein hanno provato a fare un po’ di chiarezza. Per prima cosa hanno considerato il numero di cellule presenti in 31 tessuti diversi. Perché solo 31? Perché erano quelli di cui erano disponibili i dati più consistenti e affidabili. Poi sono andati a vedere quante di queste cellule, in percentuale, sono staminali dotate di lunga vita. Le cellule staminali fanno varie cose, ma per quel che riguarda lo sviluppo dei tumori, pare che conti il fatto che siano in grado di riprodursi, dividendosi in due cellule figlie. Scopo della divisione non è dare origine a un tumore, ma a cellule di rimpiazzo di altre cellule danneggiate e morte, in modo da mantenere integra l’architettura e la funzione dei tessuti. I tessuti hanno diverse dotazioni di cellule staminali, a seconda di quante cellule di ricambio hanno bisogno. A un estremo ci sono alcuni tessuti del cervello, le cui cellule più preziose, i neuroni, vivono a lungo, a volte una vita intera. Per questo sono sostituiti di rado e di conseguenza lì ci sono poche staminali in grado di rimpiazzare le eventuali cellule morte. All’estremo opposto ci sono alcuni tessuti dell’intestino, fatti di cellule che si consumano in fretta, erose come sono dalle abrasioni col cibo e le altre sostanze che passano nel tubo digerente. Per questo nell’intestino ci sono parecchie staminali in grado di dividersi e di sostituire le cellule fuori uso. Fra i due estremi, gli altri tessuti, dall’ovaio all’esofago al fegato, che hanno bisogni intermedi di sostituzione di cellule. A ogni divisione di una staminale in due cellule figlie c’è il rischio di un errore, ossia di una mutazione capace di causare il cancro. Perché deve essere così? Perché non esiste una copia uguale all’originale. Provate a pensare alla cellula come se fosse un quadro: la seconda versione non sarà mai identica alla prima. Neppure se il pittore che fa la copia è lo stesso che ha dipinto l’originale ed è dotato quanto Michelangelo. Le imprecisioni, gli errori, le variazioni sono inevitabili in ogni esercizio di copiatura, anche di una sola cellula. E se la cellula vi pare una macchinetta molto precisa, avete ragione, ma un mondo (o una cellula) senza errori non è ancora stato inventato. Intendiamoci, non tutti gli errori portano per forza a un cancro. La stragrande maggioranza è irrilevante, e solo in rari casi un errore può essere l’inizio di un problema. Ma più divisioni ci sono e maggiore è il rischio che uno di quegli errori problematici possa capitare. Come uno che va spesso in giro in auto: a parità di abilità, attenzione, prudenza, le statistiche ci dicono che fa più incidenti un guidatore che usa l’auto tutti i giorni rispetto a uno che prende la macchina una volta alla settimana. Lo stesso vale per i tessuti: il colon, per esempio, è un organo in cui si sviluppano molti tumori e ha molte cellule staminali che si dividono in media 73 volte all'anno; l'intestino tenue, invece, dà origine a pochi tumori e ha meno cellule staminali, che vanno incontro a circa 24 divisioni l'anno. Più un tessuto ospita staminali che si dividono, maggiori sono la probabilità di errori e quindi la vulnerabilità al cancro. Questa è la previsione che hanno fatto Tomasetti e Vogelstein. Prima hanno calcolato il rischio teorico che si sviluppi un cancro lungo l’intera vita di un tessuto, in relazione al numero totale di cellule staminali e di loro divisioni nel tessuto stesso. Quindi hanno paragonato il rischio teorico ottenuto al numero dei casi di cancro reale, per ogni tessuto. La matematica è complicata e perdonatemi se non vado oltre. Vado però al sodo, a quello che hanno trovato, che è una buona corrispondenza con le previsioni in due terzi circa dei casi.

La relazione fra il numero di divisioni cellulari delle cellule staminali nel corso della vita di 31 tessuti e il rischio che un tumore insorga in uno di quei tessuti (cliccare per ingrandire; fonte: Science)

Che cosa significa questo numero? Significa che un po’ più di 6 tumori su 10 sarebbero dovuti agli errori casuali che avvengono nelle divisioni delle cellule staminali. I restanti 3 e rotti, su 10, sarebbero dovuti anche ad altre cause, ereditarie, ambientali, di stili di vita. Attenzione, però. La stima ha un notevole margine d’errore, per cui il ruolo del caso potrebbe ridursi a 4 tumori su 10, o aumentare fino a 8 tumori su 10. E poi la scala, che è logaritmica, può trarre in inganno l’occhio. Ci sono poi grandi variazioni da tumore a tumore, e in questo sta forse l’aspetto con maggiori conseguenze dello studio. A un estremo ci sono il tumore del pancreas e altri che sembrano essere dovuti soprattutto a errori casuali. All’altro estremo ci sono alcuni tumori dell’intestino, della pelle, del polmone in cui le componenti legate anche ai fattori più controllabili, come l’alimentazione, l’alcol, il fumo, l’esposizione al sole e ad altre radiazioni, sono importanti. Tornando all'analogia degli incidenti d'auto, è come se si aggiungesse un difetto nel motore o il cattivo tempo al rischio di andare in giro spesso in macchina.

In verde i tipi di tumori per cui il caso sembra essere più rilevante; in blu quelli in cui stili di vita, ambiente, eredità hanno un ruolo cruciale oltre al caso (cliccare per ingrandire; fonte: Science).

Che cosa ci dicono questi risultati? Ci dicono che gli sforzi per prevenire i tumori restano fondamentali, perché cancri come quelli del polmone e dell’intestino, in cui i modi di vita contano eccome, colpiscono ogni anno milioni di persone. E almeno in parte si possono, se non evitare, contenere. Quindi guai a fumare, a mangiare cibi poco sani, a rimanere sovrappeso e a bere alcol in modo sconsiderato! Badate che il tumore al polmone in particolare, prima della grande diffusione della sigaretta con la Prima guerra mondiale, era pressoché inesistente (e non a caso Tomasetti e Vogelstein hanno separato nella loro analisi le popolazioni dei fumatori e dei non fumatori per questo tumore). Per i tumori che sembrano dipendere più dagli errori casuali, sembra meglio concentrare la maggior parte degli sforzi sulla ricerca di ottima prevenzione secondaria (diagnosi precoce) e ovviamente di ottime cure. La prevenzione primaria, invece, in questi casi sembra avere un ruolo più modesto, non perché non possano esistere fattori di rischio, ma perché se esistono non sono comuni. I risultati ci dicono anche che una persona che ha un tumore non ha alcuna colpa. Molti pazienti chiedono ai medici che cosa hanno fatto di sbagliato per avere la malattia, o che cosa avrebbero potuto fare per prevenirla. I medici a queste domande non possono rispondere se non con il fatto che non c'è nulla di sbagliato nel passato dei pazienti e che stabilire a ritroso quale sia causa abbia contato di più, fra caso, eredità, stili di vita, è impossibile. Come è impossibile sapere che cosa sia mancato alla prevenzione. Una volta che un tumore è insorto, piuttosto che darsi del tormento è meglio concentrarsi sulle cure. Perché l’interesse dello studio è limitato alle cellule staminali? In fondo anche altre cellule non staminali a volte si dividono. Vero, ma le staminali durano di più, quindi un errore in una di loro è più probabile che causi problemi. Un’altra cosa da tenere in considerazione è che la linea che porta da un errore al cancro non è diretta. «Altri fattori nell’organismo possono determinare se una mutazione sarà scartata o conservata, e se darà luogo a un tumore maligno». Le parole sono di Sir Bruce Ponder, professore a Cambridge e fra i maggiori esperti di geni del cancro, intervistato su Science. I risultati dipendono poi dalla qualità dei dati su cui i ricercatori hanno fatto i calcoli. Di certo i dati utilizzati alla Johns Hopkins, raccolti in grandissime biobanche, sono fra i più accurati al mondo. Ma anche i dati migliori possono contenere imprecisioni. Soprattutto se considerate che ogni singolo dato deriva da un singolo  tumore che deve avere ricevuto una diagnosi corretta, che a sua volta dev’essere stata trascritta in modo completo e preciso nel database. Errori possono poi trovarsi anche nelle stime dei numeri delle cellule staminali nei diversi tessuti, come pure nel rischio di cancro calcolato per ogni tessuto: numeri che i ricercatori hanno ricavato da articoli di letteratura. Un’altra limitazione riguarda i tumori non inclusi nello studio, di cui i più rilevanti sono quello del seno e della prostata. La ragione è che per questi tumori le stime sulla popolazione di cellule staminali e sul numero di divisioni cellulari sono ancora poco definiti. Molto resta dunque da chiarire e approfondire, come sempre nella ricerca. Gli approfondimenti verranno dalla replicazione dei dati con altre biobanche, altri biostatistici e altri genetisti in altri centri di ricerca sul cancro nel mondo. Tentativi che non mancheranno, dato che «affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie», come dice il vecchio detto. Forse avrete notato che in questo articolo ho evitato con cura la parola sfortuna. I malati di cancro sono persone che hanno bisogno di essere trattate normalmente, con rispetto e dignità, e di ricevere tutti gli aiuti possibili per curarsi al meglio. Non meritano che li si tratti con la commiserazione che si riserva ai cossiddetti sfortunati. Per questo mi spiace che Tomasetti e Vogelstein abbiano citato la sfortuna, seppure tra virgolette. Il cancro è ben altro. È qualcosa che accade nelle cellule. Qualcosa che forse non potremo mai cancellare perché è parte integrante dell’essere vivi, e del caso che governa le nostre vite. Ma il caso è qualcosa che, anche se non si può eliminare, si può però capire, addomesticare, contenere (dopo tutto, nelle automobili non abbiamo forse installato le cinture di sicurezza?). E comunque ricordiamoci che il cancro, qualunque sia la sua origine, sempre più si può prevenire e sempre più si può curare. Buon anno. Per scrivere questo post mi hanno aiutato, oltre all’articolo di Cristian Tomasetti e Bert Vogelstein, Variation in cancer risk among tissues can be explained by the number of stem cell divisions, Science 347, 78 (2015), l’ottima analisi del sempre affidabile NHS, Are most cancers down to 'bad luck'?, alcune considerazioni di P.Z. Myers, On the importance of luck, e un articolo sul sito del Guardian, di Bob O’Hara e GrrlScientist, Bad Luck, bad journalism and cancer rates. In apertura e homepage: immagine Shutterstock
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