«Lei quanto beve al giorno?» è la tipica domanda della dottoressa scrupolosa.
«Be’… considerando i liquidi che ci sono negli alimenti, nella frutta, nella verdura, nella birra, nel vino… direi che arrivo facilmente a qualche litro…» è la tipica risposta del paziente un po’ reticente.
«Intendevo chiederle quanta acqua beve, non frutta, non verdura, non birra, non vino…» è la tipica replica della dottoressa che non si fa turlupinare.
Rimanere idratati si colloca molto in alto nella lista delle priorità degli animali, noi inclusi. Se non bevono a sufficienza, gli animali muoiono rapidamente. L’evoluzione ha dotato i mammiferi, che non sempre hanno dottoresse scrupolose da ascoltare, di molteplici controlli e ridondanti segnali di allarme sull’apporto e il consumo di acqua.
Che cosa significa essere disidratati? Secondo Wikipedia, un individuo è disidratato quando manca di acqua corporea, con conseguente rallentamento o interruzione dei processi metabolici. Ciò si può verificare quando l’acqua in uscita supera quella in entrata. Le cause possono essere un intenso esercizio fisico, che fa perdere col sudore molti liquidi, o la conseguenza di alcune malattie, o ancora un’elevata temperatura ambientale.
Quando uno ha sete, trova dell’acqua (o qualcos’altro da bere), fa una o due rapide sorsate e ha subito la sensazione di stare meglio. Sembra così semplice! Per niente banali sono invece i numerosi modi con cui il cervello tiene traccia di quanto e cosa beviamo, come mostrano gli studi pluriennali di Yuki Oka e del suo gruppo, al California Institute of Technology a Pasadena. Il gruppo di ricerca studia più in generale come, nei topi, il cervello integra le informazioni sullo stato interno del corpo e le informazioni sensoriali che provengono dall’esterno per mantenere l'omeostasi dell’organismo. I meccanismi scoperti nei topi sono approssimativamente simili in molte specie di mammiferi, esseri umani compresi. Veronique Greenwood sul New York Times e Jon Hamilton sulla NPR hanno ben raccontato i risultati di queste interessanti ricerche.
La sensazione subitanea di sete placata è dovuta ad alcuni neuroni che si attivano quando inghiottiamo liquidi. L’attivazione di questi neuroni ne spegne a sua volta altri che, in caso contrario, ci inviterebbero a continuare bere. Ecco perché basta davvero il primo sorso per provare una sensazione rinfrescante, nonostante l’acqua impieghi almeno 10-15 minuti per passare dallo stomaco al circolo sanguigno. Appena beviamo proviamo piacere qualunque sia il liquido bevuto, e indipendentemente dallo stato generale di idratazione, che come vedremo è monitorato altrimenti.
I ricercatori del gruppo di Oki sono riusciti a individuare e mappare questi neuroni nella regione cerebrale del nucleo preoptico mediano, in topi geneticamente modificati. Topi in cui questi neuroni non funzionavano bevevano due volte di più di animali in cui invece il controllo della sete era intatto. Viceversa, topi in cui questi neuroni erano stati attivati in permanenza non bevevano neppure quando erano disidratati.
La deglutizione è una sorta di contatore per il cervello. Dice quanto liquido sta entrando nel corpo. Non dice però se abbiamo bevuto acqua o altri liquidi che non ci aiutano a reidratarci. Diverse bevande hanno infatti una capacità molto varia di rifornire il nostro corpo di acqua. Alcune, come il caffè o gli alcolici, hanno addirittura un effetto opposto, favorendo la disidratazione.
Nei topi i neuroni che controllano la deglutizione dei liquidi si sono attivati in seguito all’ingestione di grandi sorsate, indipendentemente dal fatto che si trattasse di acqua o olio. Non solo, ma a parità di quantità d’acqua, i neuroni non hanno reagito quando ai topi l’acqua è stata somministrata sotto forma di gel, da masticare prima di deglutire, o in sorsi molto più piccoli e numerosi. Nell’insieme i risultati di questi esperimenti ci dicono che questi neuroni rispondono prevalentemente alla velocità di deglutizione di un liquido, qualunque esso sia.
Bere velocemente può salvare la vita a una preda. È un segnale per dire “hai deglutito, hai bevuto un pochino, per ora basta, muoviti…”. Può evitare che un animale finisca tra le fauci di un predatore in agguato, pronto a balzare su una bestiola nel momento di massima vulnerabilità, quando questa arriva all’abbeveratoio e abbassa la testa insieme allo sguardo vigile.
L’acqua corrente e potabile è un lusso recente e per pochi, quasi esclusivamente umani. Il segnale di “modica quantità” può anche aiutare a evitare intossicazioni con acqua spesso contaminata da feci, urine, carcasse di altre bestiole.
Perché bere è appagante? Per capire questo, i ricercatori hanno dato dell’acqua da bere ad alcuni topi, mentre ad altri hanno somministrato dell’acqua direttamente nello stomaco, con un'infusione per via endovenosa come quelle che si usano in ospedale. In altri topi ancora, i neuroni erano stati manipolati in modo da generare una sensazione di dissetamento costante.
Quando i topi hanno bevuto normalmente, è seguita la liberazione di dopamina. La dopamina è il neurotrasmettitore coinvolto nelle sensazioni di piacere, appagamento, soddisfazione, oltre che nell’apprendimento e nel consolidamento dei comportamenti positivi da rafforzare. Non si è invece liberata dopamina nei topi che hanno ricevuto acqua per via endovenosa.
L’idratazione di per sé non provoca dunque piacere. Lo fa invece il bere, ovvero il comportamento necessario a reidratarsi. Affinché beviamo, dobbiamo essere prima stimolati dalla percezione della sete e poi ripagati dalle sensazioni di appagamento.
Bere è “uno sbatti”, come direbbero i più giovani. Bisogna prima trovare qualcosa da bere, quindi portare alla bocca e deglutire un liquido che può essere sgradevole… A meno che dopo non arrivi un’ondata di sensazioni piacevoli. In assenza di sete, prima, e di dopamina, dopo, chi berrebbe?
Ma bere è fondamentale! Wikipedia ci dice che “la maggior parte delle persone è in grado di tollerare una riduzione del 3-4% dell'acqua corporea totale senza difficoltà o effetti negativi sulla salute. Una diminuzione del 5-8% può causare affaticamento e vertigini. Una perdita di oltre il 10% dell'acqua corporea totale può causare deterioramento fisico e mentale, accompagnato da grave sete. La morte si verifica dopo una perdita compresa tra il 15 e il 25% dell'acqua corporea. Una lieve disidratazione è caratterizzata invece da sete e disagio generale e di solito si risolve con la reidratazione orale”.
A volte le persone si disidratano senza accorgersene. Particolarmente pericolose sono condizioni di temperatura molto alta con forte vento e bassa umidità. Non percependo il sudore sulla pelle, che evapora rapidamente grazie al vento, ci si disidrata molto rapidamente. Ecco perché le guide che portano i turisti nel deserto consigliano di bere molto, anche quando non si prova sete.
Come fa il cervello a sapere se siamo veramente idratati? In prima battuta si fida delle informazioni immediate raccolte con la deglutizione, ma poi le verifica. Misure più profonde sull’idratazione avvengono tramite nervi presenti nei visceri e nei vasi sanguigni, dove il calcolo della variazione della quantità d’acqua si fa più indiretta e complicata. Si misura, per esempio, se il contenuto dell’intestino è diventato più o meno salato. Ci sono poi altri controlli, sulla pressione sanguigna e sul volume del plasma, la parte liquida del sangue. Se le verifiche indicano “pericolo”, la sensazione di sete e il conseguente bisogno urgente di bere ritornano rapidamente.
Uno dei principali nervi coinvolti in questo tipo di controllo profondo è il nervo vago. Con le sue numerosissime diramazioni, raggiunge pressoché ogni distretto dei visceri. È anche il primo nervo ad attivarsi quando l’acqua, arrivando nell’intestino, è pronta a modificare la concentrazione dei nutrienti nel corpo e nel sangue, oltre che il volume totale del sangue stesso.
Come capire precisamente da quale area “annacquata” dei visceri sia stimolato il nervo vago? I ricercatori hanno bloccato nei topi a una a una le sue molteplici diramazioni. Hanno così trovato che il cervello non riceveva più segnali sullo stato di idratazione quando erano isolate parti del nervo vago nella vena porta, il vaso che dall’intestino porta il sangue al fegato.
Il fegato sembra essere dunque l’organo in grado di stabilire se il liquido assunto sia acqua o altro, e di dare il corrispondente segnale ai nervi deputati a raccogliere informazioni sul grado di idratazione del corpo.
I ricercatori hanno anche scoperto che in questo processo è coinvolto un ormone, il peptide intestinale vasoattivo (VIP). Quando l’acqua raggiunge la vena porta, la concentrazione di VIP aumenta, attivando il nervo vago. A oggi i ricercatori non sanno però ancora come l’acqua bevuta sia in grado di far aumentare la concentrazione di VIP. È verosimile che lo scopriranno presto data la persistenza delle loro ricerche sul controllo cerebrale del bere e dello stato di idratazione.
Abbiamo visto alcuni dei segnali e dei meccanismi che influenzano la nostra sete. La complessità e la ridondanza del sistema di controllo dà del filo da torcere ai ricercatori che cercano di capirci qualcosa. Una complessità giustificata dalla nostra vitale dipendenza dall'acqua. Nell’attesa di nuove scoperte, bevete almeno un litro e mezzo di acqua al dì, come consiglia ogni dottoressa scrupolosa.
Per scrivere questo post ho consultato: gli articoli di Veronique Greenwood sul New York Times: “You Get Thirsty and Drink. How Does Your Brain Signal You’ve Had Enough?” (28/2/2018); “Why Gulping Down a Cold Drink Feels So Rewarding” (31/5/2019); “Your Body’s Thirst Messenger Is in an Unexpected Place” (26/1/2022) e l’intervista di Jon Hamilton a Yuki Oka alla radio NPR “The brain science behind deciding to drink when you're thirsty is pretty complicated” (26/1/2022). L’immagine in apertura è una scultura di un bevitore, Schloss Nordkirchen, vicino a Münster, Germania (Wikipedia).
L’acqua corrente e potabile è un lusso recente e riservato a pochi. Persone a una pompa dell’acqua ad Haiti nel 2012 (immagine: Wikipedia)
Una scimmia beve a Katmandu (immagine: Wikipedia)
Il professor Yuki Oka (immagine: Caltech)