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Il romanzo nel cervello

Le storie stimolano il cervello e non solo nelle aree linguistiche. Ogni descrizione, metafora, scambio emozionante attiva aree del cervello che simulano quello che accade sulla carta. Al punto che c'è chi sostiene che i romanzi siano una palestra per prepararci alla vita reale.
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“Lidia! Il mezzorado non è venuto!”. Per mesi mia figlia e io abbiamo riso ripetendoci a vicenda questa frase comprensibile solo a noi due, dopo che avevamo passato molte sere a leggere insieme “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg.

Io non ho mai conosciuto il professor Levi, straordinario maestro di tre premi Nobel, né sua figlia Natalia, né nessuna delle persone che frequentavano la loro casa di Torino. Eppure, ogni volta che penso al mezzorado, risuona in me la voce tuonante del professore mentre urla alla moglie che lo yogurt fatto in casa, il cosiddetto mezzorado, non è venuto. Addirittura mi sembra di vedere quella poltiglia immersa in un’acquetta poco promettente e di sentire un odore acidulo. Ma soprattutto ho l’impressione di essere ora in quella casa torinese di quasi un secolo fa, sempre piena di figli, amici, vicende umane uniche.
 
Se al mezzorado del professor Levi preferite avventure di lupi, potete fare anche voi i piccoli esercizi di immedesimazione che Francesca Magni compie ogni sera con i suoi figli in compagnia di Zanna bianca. Ma qualunque siano i gusti o gli interessi, il risultato non cambia: quando leggiamo ci mettiamo nei panni dei personaggi che incontriamo sulla carta e immaginiamo noi stessi immersi negli stessi luoghi, odori, sensazioni.
 
Le narrazioni provocano reazioni cerebrali. È un’ovvietà che sappiamo da quando ci raccontiamo delle storie, ma ora lo dicono anche i neuroscienziati. Annie Murphy Paul sul Sunday Times del 17 marzo, racconta che cosa i neuroscienziati hanno osservato nelle immagini del cervello di alcuni volontari, mentre leggevano una descrizione vivida, una metafora evocativa o uno scambio ricco di emozioni.
 
Parole come lavanda, cannella e sapone hanno acceso aree dedicate alla comprensione degli odori, oltre ai centri del linguaggio, in uno studio spagnolo pubblicato nel 2006 sulla rivista NeuroImage. Julio Gonzalez e colleghi hanno chiesto ai partecipanti di leggere parole associate a odori forti, insieme a parole neutre, mentre i loro cervelli erano osservati tramite una risonanza magnetica funzionale (fMRI). Quando i volontari leggevano "profumo" e "caffè", ma non “sedia” o “chiave”, la loro corteccia olfattiva si attivava.
 
Anche il tatto si può immaginare. Un gruppo di ricercatori della Emory University ha chiesto ad alcuni volontari di leggere metafore come "il cantante aveva una voce di velluto” o “le sue mani erano dure come il cuoio". Oltre ai soliti centri del linguaggio, Simon Lacey e colleghi hanno registrato l’attivazione della corteccia sensoriale, che reagisce ogni volta che percepiamo la trama di un tessuto tramite il tatto. La stessa area non si è invece attivata alla lettura di frasi come “Il cantante aveva una voce gradevole" o "Le sue mani erano forti”. L’articolo è pubblicato su uno degli ultimi numeri di Brain & Language.
 
Il cervello, a quanto pare, non fa una grande differenza tra ciò che accade nella lettura e la vita reale: le regioni neurali che si attivano sono le stesse, come ha dimostrato anche Véronique Boulenger, del Laboratorio di dinamica delle lingue di Lione, in Francia, chiedendo ad alcuni volontari di leggere frasi come "John ha afferrato l'oggetto" e "Pablo ha calciato il pallone”. L’articolo è stato pubblicato su Cortex nel 2006.
 
La lettura produce una simulazione vivida della realtà che "gira nelle menti dei lettori proprio come le simulazioni a base di bit girano sui computer”. L’idea è di Keith Oatley, professore emerito di psicologia cognitiva presso l'Università di Toronto e autore di diversi romanzi. Secondo Oakley, la narrazione con i suoi dettagli evocativi, le metafore fantasiose e le descrizioni precise delle persone e delle loro azioni, offre una replica particolarmente ricca delle esperienze reali. Non solo, ma permette di fare qualcosa che accade solo nella lettura o guardando un film: la possibilità di entrare pienamente nei pensieri e nei sentimenti di altre persone.
 
C’è una forte sovrapposizione fra le reti di neuroni che usiamo per capire le storie e quelle che ci servono a gestire le interazioni con altri, specialmente quando cerchiamo dicapire i pensieri e i sentimenti altrui. È la tesi di Raymond Mar, uno psicologo della York University in Canada, che ha analizzato 86 studi di risonanza magnetica, arrivando a queste conclusioni nell’articolo pubblicato sugli Annual Reviews of Psychology nel 2011.
 
Leggere storie è una palestra di vita sociale? Se ci immedesimiamo molto con i desideri e le frustrazioni dei personaggi di carta, sappiamo navigare meglio nelle vere strade dell’esistenza? Può darsi. La proposta è azzardata e difficile da dimostrare. Di certo, leggere, ascoltare, raccontarsi delle storie è uno dei maggiori piaceri della vita di Homo sapiens.

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