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Il rugbista e l’ormone della crescita

Il test anti-doping contro l'ormone della crescita: com'è stato sviluppato e come funziona.
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Terry Newton è un ragazzone inglese di 33 anni e pare che sia anche un famoso giocatore di rugby. Forse un ex giocatore, dato che l’anomalia negli ormoni della crescita che gli hanno trovato nel sangue gli ha fruttato due anni di squalifica e perfino un articolo su Science.
 
Sì, perché Newton è il primo atleta ad andare fuori gioco per l’uso di questa sostanza proibita, mai individuata prima da un test antidoping. Eppure l’uso pare che sia molto diffuso e noto da tempo. Perché ci si è arrivati soltanto ora?
 
La storia del test è lunga e istruttiva. Ci dice quanta ricerca c’è dietro queste vicende, riportate in genere più sulla "Gazzetta dello Sport" che sui giornali scientifici. E ci racconta come la messa a punto di misure sulla biologia umana, tanto variabile per natura, siano complesse e difficili. Ma andiamo con ordine e vediamo innanzitutto che cos’è questa molecola.
 
L’ormone della crescita umano (in breve HGH, dall’inglese human growth hormon), è una proteina che insieme ad altre molecole stimola la crescita dei muscoli e l’eliminazione dei grassi. L’uso è consentito nei bambini che per qualche ragione non producono questa proteina e hanno per questo un’altezza molto al di sotto della media. Ma l’impiego da parte degli atleti è già da vietato da diversi anni dalla World Anti-Doping Agency (WADA).
 
Perché finora non era stato ancora beccato nessuno? Per lungo tempo si è pensato che l’ormone sintetico fosse identico e dunque indistinguibile da quello prodotto naturalmente dall’ipofisi. Ma nel 1999 Christian Strasburger, il direttore della clinica endocrinologica della Charité, uno dei principali centri di ricerca medica universitaria di Berlino, ha fatto una scoperta importante: l’ipofisi produce in realtà una miscela di ormoni della crescita, di cui i tipi principali sono due isoforme, una più lunga, da 22 kdalton, e una più breve, da 20 kdalton.
 
L’ipofisi un po’ imprecisa ci aiuta. La scoperta, avvenuta nell’ex Germania est (non un caso, vista l’esperienza della DDT in tema di doping) e pubblicata su Lancet, ha messo in evidenza che l’ipofisi è una “fabbrica” con più prodotti della sua controparte sintetica. Dalla sua catena di montaggio escono infatti diverse variazioni sul tema dell’ormone della crescita (prima di tutto le due molecole da 20 e 22 kd) che non escono invece dalla produzione industriale (specializzata solo nella forma da 22 kd). Ecco perché quando qualcuno si somministra una dose della versione sintetica, da 22 kd, il rapporto fra le due principali varianti naturali, da 20 e 22 kd, sballa.
 
Il test misura il rapporto fra le due forme di HGH. Sviluppato da Strasburger, l’esame identifica le due diverse forme e la quantità dell’una rispetto all’altra, grazie all’uso di anticorpi monoclonali specifici per ciascuna delle due molecole.
 
In uso dalle Olimpiadi di Atene, nel 2004, finora il test non aveva colto nessuno in flagrante. Ciò dipende probabilmente dal fatto che l’esame rileva soltanto rapporti anomali fra le isoforme di HGH entro uno o due giorni dalla somministrazione di HGH sintetica. È probabile che gli atleti, consapevoli di questo fatto, abbiano smesso di assumere l’ormone qualche giorno prima di ogni competizione. Per questa ragione il test dovrebbe essere eseguito a sorpresa e al di fuori degli eventi sportivi (Newton è stato beccato in questo modo), ma il numero di test e di laboratori capaci di effettuare l’esame in ogni Paese era limitato. Inoltre, poiché il test dell’HGH è un esame del sangue e non delle urine, la WADA ha dovuto sviluppare procedure rigorose per la raccolta e la conservazione dei campioni e ha dovuto superare l’opposizione dei sindacati degli atleti.
Alla WADA dicono: “Vogliamo essere sicuri di prendere chi bara e non chi ha avuto un picco di ormone della crescita”. Oggi che il test è affidabile e validato, il suo uso comincia a diffondersi.
 
Un esame che possa mettere in evidenza la presenza di doping fino a un mese dall’assunzione di HGH è il prossimo obiettivo degli scienziati che collaborano con la WADA. Il test andrebbe a misurare non l’HGH, ma altre molecole, come l’IGF-1 (insulin-like groth factor 1) la cui concentrazione nel sangue risulta alterata in seguito all’assunzione di HGH.
 
Ma vale la pena doparsi di HGH? Dopo tutto quello che abbiamo imparato sui test la domanda è d’obbligo. C’è chi dice che l’ormone della crescita sia l’oro dei farlocchi, inutile e costoso (una dose mensile costava circa 2500 dollari più di 5 anni fa). Eppure l’uso – secondo gli esperti di doping – è molto comune. L’endocrinologo Ken Ho, del Garvan Institute of Medical Research vicino a Sydney, dichiarava nel 2004 in un’intervista a Science: “In una persona normale, con concentrazioni normali di ormone della crescita, l’aggiunta sintetica non ha dimostrato alcun beneficio”. “Eppure” continuava Ho, “se desse anche soltanto una percentuale di vantaggio dello 0,01%”, che noi non siamo in grado di misurare, “ciò potrebbe forse fare la differenza fra chi perde e chi vince”. O forse l’effetto è solo placebo. Nessuno lo sa.
 
Un mondo senza doping. È possibile? Probabilmente non è mai esistito, ma sarebbe bello (soprattutto per la salute degli atleti). Nell’attesa continueremo a vederne delle belle, nella gara fra l’universo dello sport agonistico, che escogita sostanze dopanti sempre più “invisibili”, e quello della scienza, che si ingegna a sviluppare test anti-doping sempre più raffinati.

L’appuntamento è a Londra, nel 2012.

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