La faccia buffa e molto simpatica di Pete Docter, il regista di “Inside out”
Un banale trasloco, un fatto della vita di tanti, è il passaggio delicato del film. Riley si trasferisce con i suoi genitori dalla casa dov’è nata, nel tranquillo Minnesota, alla più intensa San Francisco, dove capiamo che passerà l’adolescenza. Ma il film si esaurisce nei primissimi giorni di questo trasferimento, quando qualcosa va storto. E questo, nonostante Riley abbia due genitori che le vogliono bene e una vita molto normale. Come dire: a volte basta davvero poco a scombussolare le cose in quel là dentro che da fuori non si vede e non si sente. Là dentro, nella fantasia a marchio Pixar, ci sono cinque pupazzetti per cinque emozioni: Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura, Disgusto. Le loro reazioni agli avvenimenti del mondo esterno sono immediate e a volte esplosive. Ma perlopiù si bilanciano e si compensano: ecco Tristezza, che spinge a reagire o stimola chi ci è vicino a darci una mano; ed ecco Gioia, che smorza una Rabbia stizzosa con una risata o rievoca un ricordo consolante dopo una Paura; e chi non ricorda un broccolo Disgustoso, mandato giù grazie a una distrazione divertente? La maggioranza delle esperienze, tristi, gioiose, paurose… è spazzata via da un aspirapolvere salva-spazio. Pochissime si depositano nel magazzino dei ricordi: quelle con una forza emotiva tale da rievocare memorie. Il legame che tiene assieme emozioni e ricordi, e che permette una continua riscrittura emotiva della nostra storia, è uno dei temi su cui il film si sofferma. Le emozioni non agiscono da sole, naturalmente. Sullo sfondo, un vasto paesaggio dà forma alla personalità di Riley: ci sono il treno in cui viaggiano i pensieri, il set in cui si girano i sogni, ma anche l’amico immaginario della prima infanzia che nel tempo svanisce. È dura uscire di lì... Perché il paesaggio è dominato dalle emozioni? Non solo perché sono i protagonisti del film. La tesi di Keltner ed Ekman è che «le emozioni guidano le nostre percezioni del mondo, i nostri ricordi del passato e anche i nostri giudizi morali su ciò che è giusto e sbagliato, più tipicamente in maniere che consentono risposte efficaci alla situazione attuale». L’attaccamento fra genitori e figli, la soluzione dei conflitti fra fratelli, l’atteggiamento scherzoso fra chi si corteggia, la negoziazione fra rivali - dicono ancora Keltner ed Ekman – sono altri aspetti dell’organizzazione della nostra vita sociale da parte delle emozioni.Paul Ekman e Dacher Keltner hanno studiato per decenni come funzionano le emozioni.
Perché le quattro emozioni negative detengono la maggioranza? Se l’evoluzione ce le ha regalate, è perché fin dai tempi della foresta, Paura ci ha aiutato a fuggire dai predatori; Rabbia a competere con i nostri simili per cibo e partner; Disgusto a evitare veleni e altre porcherie. In due parole, a sopravvivere e riprodurci meglio e più di altri. Ma quando oggi ci preparano a reagire rapidamente, non sempre ci aiutano. Soprattutto perché si sono evolute in un mondo, quello della foresta, assai diverso dal nostro. Chi ha bisogno oggi di sfuggire a un leone, evitare un’erba velenosa o lottare contro un simile (a volte perfino ucciderlo) per conquistare un partner? Non cercate però la profondità evolutiva nel film: è una mia aggiunta. Nel film Tristezza è un po’ troppo passiva e inerte. Solo alla fine si capisce che è lei, con il disagio che provoca, a smuovere le cose per il meglio, a rimettere a fuoco la ragione su ciò che conta, a far ritrovare a Riley il piacere del contatto e delle parole degli altri. Uno dei messaggi del film è che le emozioni non sono più da vedere come un corollario distruttivo della ragione, ma come una sorta di guida istintiva, scritta dall’esperienza. Più le emozioni accumulate sono buone e varie, più il tesoretto di ricordi profondi offrirà vie da seguire per affrontare l’ignoto; più l’esperienza è emotivamente negativa, o distorta, e meno aiuterà a districarsi in quel che riserva la vita. Alla fine c’è un grande bottone rosso che spicca più degli altri. C’è scritto “pubertà. Ad agosto sul New Yorker, Elizabeth Kolbert ha scritto “The terrible teens”, un pezzo magistrale sui cambiamenti profondissimi del cervello in questo passaggio della vita. «Per trovare una compagna – scrive la Kolbert -, i nostri antenati dovevano avventurarsi fuori dal gruppo. La ricompensa di quella pericolosa avventura era la riproduzione sessuale, il costo di stare a casa era l'oblio genetico. Nel 2015 gli adolescenti possono trovare un partner facendo scivolare il dito su un app. Ciò nonostante conservano la neurofisiologia delle scimmie (e in qualche misura dei topi). Da questo punto di vista i ragazzi di oggi oscillano ancora fra le liane di una foresta pluviale anche quando sfrecciano in una tundra. Sono programmati per correre rischi folli, ed è quello che fanno». È anche per questo che le loro emozioni da otto volante, i loro comportamenti scompaginati ci paiono così incomprensibili? Soprattutto, è questo che vedremo in “Inside out 2”? PS Che cosa capisce di tutto questo un bambino? Sarebbe divertente chiederglielo. Io ho visto il film con la mia adolescente. Prima reazione in uscita (al film scelto dalla mamma): «È una storia un po’ triste e un po’ noiosa». Seconda reazione, quattro ore più tardi: «Dev’essere bellissimo studiare il cervello». Per scrivere questo post ho visto “Inside Out” e poi ho letto: “The Science of ‘Inside Out’” di Dacher Keltner e Paul Ekman, The New York Times (3/7/15); “The Terrible Teens - What’s wrong with them?” di Elizabeth Kolbert, The New Yorker (31/8/2015); “Inside Inside Out” di Kerri Smith, Nature Blogs (30/7/2015). In apertura i cinque personaggi che impersonificano le emozioni di Riley. La foto di Pete Docter viene da Wikipedia, quella di Dacher Keltner dal sito dell’Università di Berkely e quella di Paul Ekman dal sito www.paulekman.com.