Quasi trent’anni fa veniva approvato il primo dispositivo medico basato in parte sull’intelligenza artificiale. Nel 1995 la Food and drug administration statunitense (FDA) dava l’ok all’uso del PAPNET, un software che utilizzava le cosiddette reti neurali per evitare diagnosi errate nell’analisi dei campioni di Pap test, l’esame per la diagnosi precoce del tumore della cervice uterina.
Che cosa si intende per intelligenza artificiale (AI)? Una possibile definizione è un sistema computerizzato in grado, in autonomia, di apprendere, fare previsioni, dare suggerimenti e prendere decisioni capaci di influenzare ambienti virtuali o reali, come per esempio quelli medici. Gli obiettivi da raggiungere sono stabiliti da esseri umani, che forniscono anche il copioso materiale iniziale con cui le macchine di AI devono accumulare esperienza per imparare. Queste operazioni richiedono computer molto potenti, per lavorare su grandi masse di dati grazie a insiemi di comandi e procedure matematiche e statistiche, chiamate algoritmi. Le reti neurali sono state tra i precursori dei sistemi di AI oggi in uso e il loro nome deriva dal tentativo di costruire un’imitazione informatica dei processi neuronali alla base dell’intelligenza umana.
Il Pap test, un esame medico molto comune, fa parte degli screening oncologici a cui centinaia di milioni di donne nel mondo si sottopongono più volte nel corso della vita. Obiettivo dell’esame è la diagnosi precoce di eventuali tumori della cervice uterina o, ancora meglio, delle lesioni che precedono questo tipo di cancro. Da quando è stato sviluppato, dal patologo greco Georgios Papanicolaou nella prima metà del Novecento, si stima che il Pap test abbia salvato milioni di donne nel mondo dalla morte per cancro. Dove è utilizzato come esame di screening di popolazione, i tumori del collo dell’utero si sono ridotti di circa il 70%.
Ma anche lo straordinario Pap test non è infallibile. Uno dei problemi comuni a ogni metodo di diagnosi basato sulle immagini sta nella variabilità dei risultati, a seconda dell’esperienza e capacità dei medici che osservano i campioni e scrivono il referto. Nel Pap test, in particolare, viene analizzato un campione di cellule raccolto dal collo dell’utero con una spatola e “spalmato” su un vetrino. (La versione più moderna del metodo di raccolta prevede l’inserimento del campione in una provetta in fase liquida). Senza il contributo delle macchine, ogni vetrino deve essere osservato individualmente dall’occhio di un patologo o di una patologa, appoggiato sull’oculare di un microscopio.
Più i patologi sono esperti e allenati, maggiori sono gli esiti corretti e le diagnosi accurate. Non in tutti i centri medici esistono però le condizioni affinché i giovani in formazione possano imparare adeguatamente il mestiere. Per questo occorrono almeno tre condizioni: ottimi maestri, in grado di insegnare e trasmettere la propria esperienza ai meno esperti; un centro clinico specializzato, con un notevole volume di casi e dotato di adeguate tecnologie; e un talento speciale per ricordare, classificare, paragonare nella propria testa migliaia di immagini simili, distinte da differenze minute. Solo con questi ingredienti si addestra la capacità umana a discriminare cellule che presentano lesioni pretumorali, da cellule che sono già cancerose, rispetto a cellule invece sane.
Anche i patologi digitali devono fare esperienza e imparare, al pari dei loro colleghi in carne e ossa. Ma a differenza dei loro corrispettivi umani, lo possono fare analizzando immense raccolte di immagini e referti, contenute già in altre macchine o fornite da esseri umani, a una velocità impensabile per un singolo cervello fatto di neuroni. Per costruire la propria cultura di una certa disciplina, delle conoscenze pregresse e delle procedure, una persona ha bisogno, a differenza di una macchina, di parecchi anni.
Il Pap test è stato un ottimo banco di prova per una delle prime applicazioni dell’AI in medicina. È infatti un test semplice, usato da decenni, i cui esiti possono essere migliorati. Innumerevoli immagini, refertate da patologi più o meno competenti in diverse parti del mondo, negli anni Novanta erano già disponibili per essere date in pasto alle reti neurali. Con tale materiale le macchine hanno potuto incamerare in qualche settimana l’esperienza cumulativa delle carriere, a volte quarantennali, di centinaia se non migliaia di patologi. Hanno così addestrato la propria autonoma capacità robotica di analizzare campioni mai visti prima e proporre diagnosi.
Una volta che PAPNET ha iniziato a proporre sperimentalmente i propri referti, le stesse immagini sono state valutate in parallelo anche dai patologi. Dal confronto è emerso che la macchina dava esiti più attendibili di quelli della media dei patologi. Non superava in bravura i massimi esperti, capaci di diagnosticare i casi più rari o difficili, ma era mediamente più affidabile degli addetti a questo compito complesso e ingrato. Ciò nonostante, PAPNET non è mai entrato in uso, a causa principalmente dei costi, considerati all’epoca troppo alti.
Dal 1995 a oggi l’FDA ha autorizzato circa un migliaio di dispositivi medici che utilizzano AI. La maggioranza è impiegata in radiologia, nella valutazione e interpretazione delle immagini raccolte con radiografie, TAC e risonanze magnetiche. Altri sono in uso in cardiologia, per esempio per l’analisi automatica dei tracciati degli elettrocardiogrammi o per monitorare in remoto pazienti con pacemaker o altri congegni salvavita.
Il punto di vista di enti regolatori come l’FDA è interessante oltre che cruciale. Ogni autorizzazione rilasciata è infatti una sorta di certificato della sicurezza e dell’efficacia di ogni farmaco o dispositivo medico approvato. Come fa un sistema che utilizza l’AI in medicina a soddisfare questi requisiti?
Un esempio che può aiutare a capire la complessità in gioco è un sistema automatico per identificare pazienti a rischio di avere un’infezione diffusa, detta sepsi. La sepsi è un problema frequente in molti malati gravi, per esempio in terapia intensiva, e se non viene prevenuta o trattata subito può portare rapidamente alla morte. L’identificazione automatizzata dei pazienti a maggior rischio dovrebbe avvenire tramite l’analisi in parallelo di molti parametri clinici, raccolti nella cartella clinica elettronica di ogni persona ricoverata. L’AI dovrebbe non solo velocizzare la diagnosi di sepsi, ma soprattutto cogliere rapidamente i segnali che precedono questo stato così pericoloso.
Occorre però prestare attenzione a qualche rischio. In ospedali con poco personale, medici in affanno potrebbero fare un affidamento eccessivo a quanto suggerito dalle macchine, senza verificare le condizioni reali dei pazienti; gli algoritmi potrebbero commettere errori con conseguenze gravi o fatali; l’interpretazione data dai medici, ai suggerimenti offerti dall’AI, potrebbe non essere corretta; i dati inseriti nella cartella clinica elettronica, su cui si basano le analisi dell’AI, potrebbero contenere errori; e così via. Per mitigare questi rischi, gli enti regolatori potranno chiedere che il sistema non sia mai utilizzato in maniera esclusiva o automatica. Prima di prendere per buono ogni suggerimento o decisione proposti dall’AI, dovranno esserci opportuni controlli umani.
Oltre ai dispositivi, centinaia di farmaci, scoperti e sviluppati con il contributo dell’AI, sono in attesa di ricevere l’approvazione da parte degli enti regolatori. L’AI può infatti aiutare i farmacologi in buona parte dei loro compiti. Può selezionare rapidamente e con accuratezza un bersaglio molecolare per un nuovo farmaco, tra molte migliaia di molecole. Può effettuare screening computerizzati di sterminate raccolte di composti attivi, per prevedere quali hanno la forma in tre dimensioni e l’affinità più adatte al bersaglio. Può indicare le eventuali modifiche strutturali che potrebbero rendere il composto ancora più specifico ed efficace. Può poi contribuire a progettare le sperimentazioni di laboratorio e cliniche necessarie a valutare la sicurezza e l’efficacia di tali composti, prima in cellule in coltura, poi in animali di laboratorio, infine nei pazienti. Può aiutare a raccogliere la copiosa e complessa documentazione da sottoporre per l’autorizzazione agli enti regolatori. Una volta approvato, un farmaco è soggetto alla cosiddetta farmaco-vigilanza, in cui si raccolgono eventuali effetti collaterali rari, non osservati durante gli studi clinici: anche in questo, la AI può aiutare chi lavora nel campo.
Continuo apprendimento e rapida evoluzione sono tra gli aspetti più potenti e allo stesso tempo problematici dell’uso di queste tecnologie in medicina. In gergo si parla di machine learning: gli aggiornamenti e le esperienze che si accumulano modificano senza sosta gli algoritmi delle macchine, che cambiano così il proprio modo automatico di fare previsioni e prendere decisioni. Agli occhi di chi opera negli enti regolatori, è soprattutto questa intrinseca, incessante flessibilità a rendere l’AI in medicina qualcosa di molto diverso dai dispositivi e dai farmaci tradizionali.
La composizione, il principio attivo e i principali effetti collaterali di un farmaco non cambiano, una volta ricevuta l’approvazione. Per definizione i sistemi di AI sono invece mutevoli e cangianti nel tempo. Quale loro versione dovrà approvare un ente regolatore? Soltanto la prima, o anche tutte le successive? Serviranno controlli e verifiche nel tempo per confermare le autorizzazioni già concesse? A queste domande aperte mancano, per ora, risposte soddisfacenti.
E come sarà l’equilibrio tra i benefici per i pazienti e le utilità finanziarie? Le aziende che sviluppano dispositivi medici e farmaci basati sull’AI si aspettano un ritorno economico. Gli ospedali, i centri di ricerca e i sistemi sanitari che useranno tali prodotti e servizi punteranno a riduzioni dei costi operativi. Si tratta di considerazioni legittime, che non devono però avere la priorità sui benefici per i pazienti.
Un’altra preoccupazione riguarda il destino di intere specialità mediche. Non è difficile immaginare che, nell’era dell’AI, potrebbero non essere in molti a iscriversi alle scuole di specialità in patologia, radiologia e altri ambiti dove i sistemi automatici promettono di poter svolgere da soli il lavoro di molti medici e tecnici. Che la promessa si avveri o meno, solo il fatto che se ne parli può condurre a un progressivo depauperamento umano e professionale, che non potrà mai essere colmato dalle sole procedure informatiche.
Lo sviluppo della medicina molecolare e di precisione sta facendo aumentare i numeri delle malattie rare, e continuerà a farlo. Per ogni marcatore che si scopre, e se ne trovano a centinaia ogni giorno anche grazie all’AI, malattie oggi classificate quali singole patologie vengono via via “spacchettate” in sottogruppi e varianti più specifiche. Effettuare diagnosi accurate di malattie raramente osservate e poco conosciute richiederà sempre la casistica, la memoria e l’intuito di medici di grande esperienza. Dottori che nella loro vita professionale hanno visto tanti, tantissimi casi e tanti, tantissimi pazienti. Quindi, benvenuta AI, con tutto il tuo immenso potenziale per diagnosi più accurate e cure più precise e mirate. Purché tu sia un aiuto a migliorare, e non una dirompente sostituzione di saperi, intelligenze e capacità molto preziose, costruite con impegno, dedizione e fatica.
Immagine in apertura: un campione di Pap test con cellule normali (Wikipedia)