Aula di scienze

Aula di scienze

Persone, storie e dati per capire il mondo

Speciali di Scienze
Materie
Biologia
Chimica
Fisica
Matematica
Scienze della Terra
Tecnologia
I blog
Sezioni
Come te lo spiego
Science News
Podcast
Interviste
Video
Animazioni
L'esperto di matematica
L'esperto di fisica
L'esperto di chimica
Chi siamo
Cerca
Biologia e dintorni

Quando la correlazione non è casuale

C'è modo di capire quando un'associazione fra due fenomeni nasconde più probabilmente una causa? Sì, con gli 8 criteri messi a punto da Austin Bradford Hill. Grazie a questi criteri nel 1964 il Surgeon General americano ha potuto dichiarare che il fumo di sigaretta è associato in modo causale al tumore del polmone.
leggi

Negli ultimi due post vi ho parlato di due correlazioni. La prima è una pietra miliare dell’epidemiologia: lo studio che ha associato il fumo al tumore del polmone; la seconda è una burla che dell’epidemiologia si è presa gioco, trovando un legame apparente fra il consumo di cioccolato e il numero dei premi Nobel di un Paese.

Fra i due esempi c’è volutamente un abisso e infatti è facile distinguere l'associazione seria da quella farlocca. La realtà, però, offre moltissimi toni di grigio e discriminare le relazioni con una probabile causa comune da quelle che lo sono solo in apparenza è complicato.
 
Oggi vi propongo un metodo che vi aiuterà a intravedere le correlazioni solide in mezzo a un mare di bufale. È il metodo che gli epidemiologi stessi hanno adottato per stabilire quali fra le tante correlazioni hanno più forza e quindi, una probabilità maggiore di possedere un nesso causale. Per raccontarvi di questo metodo bisogna però che facciamo un salto indietro nel tempo.
 
Torniamo agli anni Cinquanta. Dopo un inizio sonnolento, gli studi inglesi di Doll e Hill e quelli americani di Wynder e Graham hanno ormai messo in luce un legame fortissimo fra la sigaretta e il cancro del polmone, e il messaggio delle loro ricerche si sta diffondendo nella popolazione generale.
 
In quegli anni i fumatori americani raggiungono il picco massimo: fuma quasi una persona su due o il 45% della popolazione adulta. Perfino le riviste mediche accettano la pubblicità delle sigarette e alle conferenze dell’American Medical Association si distribuiscono “bionde” gratis.
 
Nonostante gli incassi da record, le grandi industrie del tabacco sono preoccupate e preparano le contromosse. In mezzo ai numerosi tentativi di offuscare i fatti, l’attacco più incisivo contro i risultati degli studi epidemiologici è quello che rimarca la mancanza di una causa.
 
Il fumo sarà pur associato al tumore al polmone, ma come fa a provocarlo? “Correlation is not causation” è il ritornello più frequente dei rappresentanti dell’industria e dei loro affiliati. L’insistenza su questo tallone d’Achille dell’epidemiologia innervosisce parecchio gli scienziati. Evarts Graham, in particolare, è fra i più irritati e si butta in un’impresa sperimentale complicata pur di trovare la “prova mancante”.
 
Evarts Graham
 
Il grande chirurgo, ex fumatore accanito, cerca di dimostrare che il fumo causa tumori nei topi, insieme a Ernest Wynder, con cui aveva effettuato la prima indagine epidemiologica americana sui danni della sigaretta. Inizialmente tenta di esporre gli animali ad atmosfere tossiche di fumo, paragonabili a quelle cui possono sottoporsi gli umani. Ma provate voi a obbligare un topo a inalare… Scornato dal primo tentativo, Graham inventa una specie di macchina che consuma l’equivalente di 100 sigarette al giorno e ne distilla il residuo di catrame nero in una fiasca contenente un solvente. Con il residuo così ottenuto, Graham spalma con un pennello la schiena dei topi e quindi osserva se crescono tumori.
 
Effettivamente i tumori si sviluppano sulla cute dei topi, ma gli esperimenti convincono poche persone e, anzi, hanno quasi un effetto controproducente, dato che i fumatori non si spalmano un concentrato liquido di sigaretta sulla schiena… La prova sperimentale che inchioda la sigaretta al tumore del polmone resta un miraggio, nonostante lo zelo di Graham, che da tabagista incredulo si è convertito nel più convinto sostenitore della pericolosità del fumo.
 
La soluzione al problema viene da un approccio completamente diverso, che sgorga dalla mente di Austin Bradford Hill. Hill, oltre ad avere trovato per primo l’associazione fra la sigaretta e il tumore al polmone insieme all’allievo Doll in Gran Bretagna, è il più importante statistico medico dell’epoca e la sua idea è molto semplice: NON NEGARE IL PROBLEMA.
 
Austin Bradford Hill
 
Hill riconosce che l’epidemiologia può osservare un fenomeno, ma non dimostrarne la causa, dal momento che è una disciplina che non fa esperimenti. Ammettendo questo limite, Hill ha la forza di proporre una soluzione pratica ed efficace, oltre che elegante: una serie di 8 criteri che gli epidemiologi devono trovare nelle loro associazioni per inferire un nesso causale.
 
1. la correlazione è forte: il rischio di cancro fra i fumatori è di almeno 5-10 volte superiore a quello dei non fumatori;
 
2. si ripete in modo sistematico: gli studi di Doll e Hill e di Wynder e Graham, effettuati in contesti diversissimi e popolazioni ampie, hanno sempre messo in luce la stessa associazione;
 
3. è specifica: il tabacco è associato quasi sempre a una specifica malattia in uno specifico organo, dove il fumo è più a contatto con l’organismo;
 
4. è legata al tempo: più sono gli anni in cui uno ha fumato e maggiore è il rischio di sviluppare un tumore al polmone;
 
5. l’effetto biologico dipende dalla quantità: maggiore è il numero di sigarette fumate e più grande è il rischio di ammalarsi;
 
6. è plausibile: si può ipotizzare un meccanismo per cui un carcinogeno inalato produce un cambiamento in senso tumorale nel polmone;
 
7. è coerente con i risultati sperimentali: i dati epidemiologici sono in accordo con i risultati di laboratorio, ottenuti in esperimenti sui topi;
 
8. si comporta in modo simile in situazioni analoghe: oltre al cancro al polmone, il fumo è associato anche ai tumori del labbro, della gola, della lingua e dell’esofago, ossia a malattie affini in parti dell’organismo che vengono a contatto con il fumo.
 
La chiarezza pragmatica della lista di Hill cambia per sempre l’epidemiologia, dandole una forza che non aveva mai avuto. Una correlazione fra due fenomeni, se trovata con una domanda sensata, un metodo rigoroso e un campione adeguato, può implicare un nesso causale se, e solo se, è rafforzata dai criteri di Hill. (Ora, provate ad applicare questi criteri alla storia del cioccolato che fa vincere il premio Nobel…).
 
È grazie a questi criteri semplici e netti che nel 1964 il Surgeon General statunitense può concludere il suo rapporto annuale con queste parole: “Il fumo di sigaretta è associato in modo causale al tumore al polmone negli esseri umani; l’ampiezza dell’effetto del fumo di sigaretta è infatti molto più grande di ogni altro effetto”.
 
Qualche anno prima, nel 1956, mentre l’epidemiologia comincia ad avere la meglio sul tabacco, Graham finisce a letto con una specie di influenza. L’influenza in genere passa in una settimana, ma la malattia di Graham persiste e dopo una serie di esami rivela la sua vera natura: un grande tumore che occlude bronchi e bronchioli. In una lettera a un giovane collaboratore, Graham scrive: “Tu sai che ho smesso di fumare più di cinque anni fa, ma il problema è che ho fumato per i cinquanta precedenti”.
 
Ho imparato l’importanza dei criteri di Hill per distinguere una relazione causale da un’associazione nel libro di Siddharta Mukherjee, The emperor of all maladies (Fourth Estate, London 2012). Per approfondire, ho trovato interessante questo tutorial della School of Public Health della Boston University. La foto di apertura è di Tessa Oksanen (2003), l’ho trovata nella collezione Wellcome Images ed è disponibile sotto licenza Creative Commons. La foto di Evarts A. Graham appartiene alla Becker Medical Library della Washington University School of Medicine (St Louis, MO) e l’ho trovata nell’articolo intitolato Evarts A. Graham and the First Pneumonectomy for Lung Cancer, JCO July 1, 2008 vol. 26, no. 19, pag. 3268-3275. La foto di Austin Bradford Hill appartiene anch’essa alla collezione  Wellcome Images ed è pubblicata sul sito del Science Museum London.

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento