Qualunque cosa mangiamo causa e previene il cancro? Cliccare per ingrandire (fonte: Pharyngula, 28/3/15)
Da qualche anno un assai ostinato signore tedesco sta cercando di capire come mai alcuni tipi di carne rossa, e di latte, siano da evitare se si vuole evitare il cancro del colon (e forse della mammella). Questo signore si chiama Harald zur Hauser e nella sua “prima vita” ha meritato il premio Nobel per avere dimostrato, con altrettanta ostinazione, che i virus del papilloma (HPV) possono causare i tumori della cervice uterina. Questi tumori si stanno fortemente riducendo da quando esiste un vaccino contro i ceppi più cancerogeni di HPV: un vantaggio per le donne e la salute pubblica, che dobbiamo soprattutto alla tenacia di zur Hauser (ci ha messo una trentina d’anni a ottenere le sue validissime prove).Harald zur Hauser, premio Nobel per la medicina nel 2008 per la scoperta dei virus HPV che causano il tumore della cervice uterina (fonte: UniHeidelberg)
Il rischio di tumore del colon è più elevato nelle regioni dove si consuma carne derivata da una particolare specie bovina da latte, il bue domestico (Bos taurus), la più comune nei Paesi occidentali. In India, dove per motivi religiosi gli Hindu non si nutrono né di vitello, né di manzo, il tumore del colon è straordinariamente raro. Lo stesso accade in Mongolia, dove si mangia sì tanta carne rossa, ma di yak o della sottospecie Bos taurus taurus-mongolico. Lo schema si ripete in altri Paesi asiatici, con l’eccezione del Giappone e della Corea del Sud, dove il tumore del colon è aumentato parecchio nei vent’anni successivi alla Seconda guerra mondiale, quando si è importata parecchia carne bovina dagli Stati Uniti. I casi di tumore del seno sono distribuiti in maniera simile a quelli del colon, sebbene il rischio associato al consumo di prodotti di origine bovina sia più basso. Ma la cosa più interessante sono le differenze: in India il tumore della mammella è poco diffuso, ma lo è di più di quello del colon, e la ragione sembra essere il consumo di latte, ma non di carne bovina, aumentato negli ultimi cinquant’anni. Viceversa, in Giappone e Corea del Sud, dove il consumo di latte è rimasto molto basso, il tumore al seno è ancora oggi una malattia poco frequente. Infine i dati del registro tumori svedese – uno dei registri epidemiologici più completi e accurati al mondo – indicano che il rischio di cancro al seno è più basso del 21% nelle persone che non consumano latte perché intolleranti al lattosio. Un’altra malattia, la sclerosi multipla, è stata associata diverse volte al consumo di latte di mucca e di latticini, insieme ad altri fattori: la carenza di vitamina D e la riattivazione di vari tipi di virus erpetici assai comuni, in particolare il virus di Epstein-Barr (responsabile della mononucleosi), l’herpesvirus umano di tipo 6 e l’herpes zoster (che causa la varicella). Nel caso della sclerosi multipla il meccanismo causale potrebbe essere questo: nel siero dei bovini si sono trovate di recente delle piccole molecole di DNA circolare a singola elica, presumibilmente di origine virale; la vitamina B quand’è presente inibisce la proteina TGF-β, che è a sua volta un potente riattivatore del virus EBV; quindi una carenza di vitamina D dovrebbe lasciare libero il TGF-β di riattivare il virus EBV. Quando in laboratorio si infetta contemporaneamente una cellula con virus erpetici e piccoli DNA circolari di origine virale, questi ultimi si moltiplicano mentre i virus erpetici sono parzialmente inibiti. La riattivazione dei pezzi di DNA virale potrebbe quindi stimolare una risposta da parte del sistema immunitario, in grado di distruggere le cellule cerebrali coinvolte e di dare luogo ai debilitanti sintomi della sclerosi multipla. Questo sembra suggerire l’insieme delle osservazioni, di cui ho riportato le principali per brevità. L’ipotesi potrebbe anche spiegare come mai la sclerosi multipla sia più frequente nei Paesi settentrionali, dove la carenza da vitamina D è maggiore. Torniamo ai tumori del colon e del seno: qui il meccanismo ipotizzato non c’è ancora, ma potrebbe essere un «parente» di quello abbozzato per la sclerosi multipla. Anche nel caso di queste malattie si parla infatti da tempo della carenza di vitamina D e della riattivazione dei virus erpetici quali fattori di rischio. Ciò che ho apprezzato di più nello studio di Zur Hauser è la profondità e l’originalità del ragionamento scientifico. Non si è accontentato di dire «la carne rossa, o il latte, sono fattori di rischio», una cosa banale, che gli epidemiologi dicono da anni. È andato a vedere quale tipo di carne rossa e di latte (quella di Bos taurus), in quali regioni e popolazioni, fosse associato al problema. È poi andato a cercare che cosa, all’interno dello specifico tipo di carne rossa, o di latte, potrebbe costituire una parte della spiegazione (il piccolo DNA circolare di presunta origine virale). Ancora più in particolare, è andato a studiare come quel qualcosa, di presunta origine virale, possa interagire con qualcosa che è già presente in alcuni organismi umani (i virus erpetici latenti, la carenza di vitamina D, la proteina TGF-β). Infine ha ipotizzato un meccanismo. Ora, è chiaro che siamo ancora nel regno delle ipotesi suggestive piuttosto che dei fatti dimostrati, per ammissione dello stesso Zur Hauser. In altre parole non ci sono al momento elementi forti e definitivi per buttare le bistecche e il latte in frigorifero. Ma il rigore del ragionamento molecolare di Zur Hauser merita che si parli di quella che, per il momento, è ancora soltanto un'ipotesi appoggiata su indizi epidemiologici solidi. Certo è che, qualora il gruppo di ricerca dell’anziano premio Nobel tedesco riuscisse nell’impresa, la prevenzione di almeno alcuni casi di tre malattie diffuse, non tutte curabili, sarebbe semplicissima: basterebbe allevare mucche e vitelli privi del piccolo DNA circolare di presunta origine virale (o comprare latte e carne dagli allevamenti mongoli). Senza bisogno di diventare vegani. Per scrivere questo post ho letto «What do breast and CRC cancers and MS have in common?» di Harald zur Hauser, Nature Reviews of Clinical Oncology (ottobre 2015) e «Does this cause cancer?» di P.Z. Myers, Pharyngula (28/3/15). La fonte della foto in apertura è Wikipedia. Grazie ad Alessandra Mazzoni per la segnalazione.