“La televisione uccide”. “Più di sette caffè al giorno fanno venire le allucinazioni”. L’ultima è che “la pillola fa venire il cancro alla prostata”. Titoloni eclatanti come questi si trovano ogni giorno fra le notizie, solo con ingredienti diversi. Se ve ne parlo, non è perché singolarmente meritino attenzione, ma è per riflettere su una caratteristica che li accomuna: si tratta (forse) di correlazioni.
Per lo Zingarelli una correlazione è una “relazione di dipendenza tra due o più fenomeni variabili”. In altre parole, l’informazione da portare a casa, previa verifica dei dati, è che due fenomeni variano insieme; da qui a dire che dipendono l’uno dall’altro in maniera causale, la strada è lunga. Se notate, infatti, la definizione evita accuratamente le due parole “causa” ed “effetto”, e si limita a dire che al mutare di una variabile, anche l'altra muta. Ma al di là delle definizioni da dizionario, il problema delle correlazioni, e della loro altissima diffusione fra le notizie, sta più soprattutto nel nostro cervello.
Ognuno di noi cerca istintivamente “un colpevole” ogni volta che osserva un fenomeno che non sa spiegare. Il desiderio di attribuire una causa a ogni evento di cui veniamo a conoscenza deriva forse dal bisogno di dare un senso al mondo complesso, casuale e non sempre comprensibile in cui viviamo. Se il tentativo di spiegare è comprensibile, di certo non costituisce una prova.
“Extraordinary claims require extraordinary evidence”. Affermazioni eccezionali richiedono prove eccezionali, scriveva Carl Sagan. Ogni volta che vi trovate di fronte a una correlazione eclatante, cercate le prove. E se non le trovate, o non vi convincono, fatevi molte domande. In particolare chiedetevi sempre se non ci potrebbe essere una spiegazione alternativa.
In caso non l’aveste notato, “la gente che prende la pillola di solito non ha la prostata”, spiega Ed Yong, un ottimo scrittore inglese di scienza. Mi viene da dire che già cominciamo male. Come farà mai, infatti, una pillola anticoncezionale a causare il cancro a chi non la prende? L’ipotesi formulata dagli autori dello studio è che a maggiori concentrazioni di estrogeni nell’ambiente potrebbe corrispondere un rischio aumentato di tumore della prostata. Come prove ci aspetteremmo, come minimo, una misurazione delle concentrazioni di estrogeni nell’ambiente e almeno l’abbozzo di un possibile meccanismo per associare i due fenomeni. Ma non c’è nulla di tutto questo. Lo studio è “speculativo” e inteso per “generare ipotesi”. In altre parole non dimostra nulla.
La statistica è uno strumento potente e quando è usata con metodo è in grado di mettere in luce rischi reali per la salute. Basta pensare agli studi epidemiologici che hanno individuato nel fumo uno dei principali fattori di rischio per il cancro. Ma un’analisi statistica seria richiede innanzitutto un’ipotesi plausibile e quindi la scelta di un campione adeguato della popolazione da studiare. Infine lo studio deve essere riproducibile. Se le conclusioni di un'analisi di questo tipo sono valide, in genere sono anche corroborate da prove tossicologiche e cliniche incontrovertibili. Questo, di nuovo, è stato il caso dei nunerosissimi studi che hanno associato il fumo al tumore al polmone.
La TV uccide? Troppo caffè fa venire le allucinazioni? E se le spiegazioni alternative fossero uno stile di vista sedentario, nel primo caso; una predisposizione a generare immagini o suoni interni in assenza di uno stimolo esterno, nel secondo? Mi raccomando, la prossima volta che vedete numeri che si muovono in tandem, fatevi tante, tantissime domande.
Per scrivere questo post ho consultato: Spin doctors – The truth behind health scare headlines, di Marianne Freiberger e Rachel Thomas, New Scientist, 15/2/2011; il commento di Ed Yong del 15/11/11; il sito