Il trailer di “Connected”
I temi sono interessanti anche per il modo con cui Nasser pone le domande agli scienziati e alle persone che incontra. Domande che trasmette sia con le parole, sia con il suo buffo corpo dinoccolato: la faccia indagatrice e divertita, lo sguardo occhialuto e curioso, una massa arruffata di capelli neri.
L’aspetto fisico di Nasser, insieme ai suoi modi entusiasti ed esuberanti, ricordano la curiosità ingenua e disinibita di un ragazzino di 15 anni e non lasciano necessariamente sospettare un curriculum di prim’ordine. Fiero figlio di immigrati in Canada dalla Tanzania e dall’India, Latif Nasser si è laureato a Dartmouth, un’università americana del gruppo delle “Ivy League”. Ha poi conseguito un dottorato in storia della scienza ad Harvard. Quindi ha fatto il suo apprendistato a Radiolab, il podcast pluripremiato di cui è oggi direttore della ricerca. Per Radiolab ha curato approfondimenti di successo, come quello sugli usi medici del sangue blu dei granchi a ferro di cavallo di cui ho scritto qualche tempo fa.
Da Harvard, Nasser dice di avere ottenuto il “permesso di essere stupido”, ovvero la libertà di porre tutte le domande che gli vengono in mente senza temere il giudizio di chi è più esperto. Nessuna domanda è stupida e ogni curiosità è lecita. Da Radiolab, e in particolare dai due fondatori, Robert Krulwich e Jad Abumrad, ha imparato a mescolare la scienza con un giornalismo creativo e con un uso raffinato dei suoni. Nel passaggio dalla radio al video, dice di avere dovuto imparare a usare gli occhi.
I collegamenti che propone seguono il gusto, la curiosità, il capriccio del narratore, che scopre che una legge della probabilità numerica si può applicare alla musica classica, ai social media e alle frodi fiscali, o che da un naufragio sono nate le basi per le previsioni meteo e il cloud. Sono collegamenti dichiaratamente arbitrari, ma non superficiali, soprattutto perché in Nasser non c’è alcuna pretesa di offrire risposte definitive.
Il suo scopo è piuttosto essere l’«ambasciatore della parte infantile del nostro cervello», quello che osa fare le domande anche le più ingenue, e di «unire i punti su questioni che coinvolgono la scienza, l’umanità, l’universo». È ovvio che Latif Nasser non è stupido per niente e che conosce almeno in parte le risposte alle sue domande. Ma è apprezzabile che con la sua conduzione cerchi di mettersi alla pari con il pubblico, a interpretarne le curiosità offrendo, insieme ad alcune risposte, anche «sorpresa, gioia e meraviglia».
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Per scrivere questo post, oltre ad avere guardato “Connected”, ho consultato: Remy Tumin, Latif Nasser, Harvard Ph.D., on the Rewards of Being Dumb, The New York Times (19/8/2020) e Latif Nasser on being 'the ambassador to the most childish part of your brain' in his new series, CDC Radio One (4/9/2020). In apertura, un’immagine Latif Nasser tratta dalla serie.
Latif Nasser: il permesso di essere stupido
“Connected” è una mini-serie di brevi documentari sulla scienza, a cura di Latif Nasser, uscita ad agosto 2020 su Netflix. Da vedere nelle sedentarie vacanze di Natale che ci aspettano.