Il cervello gira con il suo iPod e non siamo noi a governarlo. È lui a scegliere la musica che trova più orecchiabile e a riprodurla a iosa. In media ogni tormentone non supera la mezz’ora e entro una giornata di solito svanisce. L’esperienza è frequente e di solito non troppo fastidiosa. O almeno così hanno stabilito Philip Beaman and Tim Williams, due psicologi dell’Università di Reading, in uno studio del 2009 per cui hanno chiesto a un centinaio di pendolari, studenti e visitatori di giardini pubblici (gente che ha tempo di ascoltare musica in alte dosi) di raccontare le loro esperienze di canzonette che si appiccicano. A dodici partecipanti hanno persino domandato di tenere un diario delle loro musichette inopportune.
Come dev’essere una canzone per installarsi nei neuroni? Innanzitutto bisogna averla sentita molte volte, e poi il ritmo o le parole devono essere sufficientemente semplici e ripetitive per diventare memorabili come “vermi delle orecchie”. Sì, earworms, li chiamano gli inglesi, e uno proprio così se li immagina: dei vermetti sonori che si insinuano fra le meningi e lì continuano a girare.
Ogni occasione è buona per una musica appiccicosa, come ha verificato Victoria Williamson, una ricercatrice della University of London a Goldsmith, che ha intervistato migliaia di persone che ascoltano la radio, tramite un questionario online. Perché un ritornello si pianti nella testa, basta averlo sentito alla radio o in TV, in palestra, al ristorante, in un negozio, a un concerto, su Internet, attraverso la suoneria di un telefono.
È sufficiente anche una persona che canticchia. Se avete a che fare con adolescenti che emettono frammenti di One Direction anche nel sonno, sapete che cosa intendo. Ma ogni età ha i suoi tormentoni e forse le Cimorelli sono meno persistenti delle musichette dei pupazzi a batteria (sì, quelli che non si scaricano neppure quando li lanciate dal sesto piano).
A volte lo stimolo è meno diretto. Può bastare il contatto con un ritmo, una situazione, una parola, un suono o una persona a far partire una melodia nella testa. Anche un ricordo, come passare per una strada dove si è sentita per la prima volta una canzone, può scatenare una melodietta invasiva. L’umore e lo stress sono anch’essi stimolanti di musiche in sintonia con lo stato d’animo.
In termini tecnici il “verme” musicale è un recupero involontario di memoria: un’intrusione incontrollabile e non dissimile da ciò che accade nei disturbi da stress post-traumatico: memorie ricorrenti che però sono ben più persistenti e invasive.
I tormentoni si attivano spesso quando siamo annoiati e il livello di attenzione è basso. Per esempio durante un lavoro monotono e ripetitivo, quando la mente comincia a vagare.
Come ci si libera da una canzonetta che gira nella testa? La volontà non basta, anzi, è controproducente. Per eradicare l’intruso è meglio l’accettazione passiva: prima o poi passa. Ma altri tre consigli utili vengono da una ricerca che Ira Hyman e colleghi alla Western Washington University, negli Stati Uniti, hanno effettuato insieme a quasi 300 studenti.
Uno. Evitate le canzoni che vi piacciono perché sono quelle che hanno maggiore probabilità di inchiodarsi. Mi vien da dire: grazie per il consiglio, ma chi ha voglia di ascoltare musiche che detesta?. Ora vengono dei consigli migliori.
Due. Se è un pezzetto che continua a tornarvi in mente come un disco rotto, cercate di farlo arrivare fino alla fine. Per il cosiddetto effetto Zeigarnik, tendiamo a mantenere in memoria i compiti che non abbiamo terminato e a dimenticarli una volta conclusi. Nel caso di una canzone, se si continua a interrompere è più probabile che ritorni. Se invece riuscite a farla “suonare” fino in fondo (magari riascoltandola) avrete più possibilità che alla fine se ne vada per sempre.
Tre. Mentre ascoltate la musica evitate di fare cose troppo facili o troppo difficili per la vostra mente. In entrambe le condizioni il cervello tende a vagare, lasciando ampio spazio allo sviluppo dei vermetti musicali.
Ho trovato parecchie informazioni sull’argomento nel Research Digest – Blogging on brain and behaviour della British Psychological Society, diretto da Christian Jarrett. Inoltre ho consultato gli articoli citati nel post: Beaman CP, & Williams TI, Earworms ('stuck song syndrome'): Towards a natural history of intrusive thoughts, British journal of psychology (2009); Williamson V., et al., How do "earworms" start? Classifying the everyday circumstances of Involuntary Musical Imagery, Psychology of Music (2011); Hyman, I et al., Going Gaga: Investigating, Creating, and Manipulating the Song Stuck in My Head, Applied Cognitive Psychology (2012). Se volete approfondire come funziona la memoria musicale, potete seguire questa interessante lecture su youtube di Victoria Williamson. Le immagini appartengono all’archivio Shutterstock.