Ori Amir è un neuroscienziato israeliano e un comico dilettante. Al Pomona College, in California, studia cosa succede a livello cerebrale quando cerchiamo di fare gli spiritosi. Nella letteratura scientifica non si trova molto in proposito. Una ventina di studi hanno indagato quali aree dell’encefalo si attivano quando le persone si divertono per qualcosa di buffo. Prima delle ricerche di Amir non c’era invece nulla su ciò che avviene nel cervello di chi prova a inventare qualcosa di comico. In un’intervista rilasciata il 3 marzo 2023 alla giornalista Jean Mary Zarate, Amir ha raccontato in un podcast della rivista Nature come ha iniziato queste ricerche e che cosa ha scoperto.
Amir vive a Los Angeles, dove la sera per hobby si esibisce in bar e cabaret. Qui ha conosciuto diversi comici professionisti e ad alcuni di loro ha chiesto di sottoporsi a una risonanza magnetica funzionale (fMRI) mentre si facevano venire in mente delle idee buffe.
La fMRI è eseguita da una macchina a forma di tubo, in cui una persona entra come per una risonanza di tipo medico. Le immagini del cervello elaborate dalla fMRI evidenziano le aree cerebrali che sono attive durante determinati compiti o attività.
Amir è consapevole dei limiti della fMRI, i cui risultati sono piuttosto imprecisi e pieni di “rumore di fondo”. Dietro ogni pixel colorato possono esserci milioni di neuroni, per cui il potere di risoluzione di questa tecnica è decisamente basso. Inoltre in ogni momento nel cervello sono in corso contemporaneamente tantissimi processi, molti dei quali non si fermano neppure quando dormiamo. Identificare tra questi quelli all’origine di un’attività specifica, come inventare una barzelletta, è estremamente difficile.
Quali aree cerebrali ci aspettiamo che servano a immaginare qualcosa di buffo? Occorrono come minimo le aree del linguaggio. E se abbiamo a che fare con delle immagini, anche solo mentali, saranno coinvolte le aree visive. Ma si tratta di regioni cerebrali quasi sempre attive per un mucchio di altri scopi diversi dalla comicità. Ne abbiamo bisogno per sapere dove ci troviamo, per parlare, per capire cosa ci stanno dicendo gli altri, giusto per fare qualche esempio.
A un gruppo di tredici comici professionisti, Amir ha chiesto di ideare una battuta divertente, mentre si trovavano dentro la macchina di fMRI. La battuta avrebbe dovuto essere pronunciata da uno dei personaggi di una vignetta muta, tratta dal Caption Contest, un concorso pubblicato ogni settimana dalla rivista americana The New Yorker. Gli esperimenti sono stati ideati allo scopo di distinguere i segnali di attivazione propri dell’invenzione umoristica dai tanti rumori di fondo.
Come esperimento di controllo, Amir ha sottoposto alla stessa prova nove comici non professionisti e diciannove persone che non hanno mai fatto del cabaret. Inoltre ha chiesto ai tredici professionisti di inventare delle didascalie puramente descrittive, che non facessero ridere, per altre vignette.
Quali sono stati i risultati? La corteccia temporale frontale, un’area semantica di alto livello dove si fanno associazioni tra diverse parti del cervello, si è attivata più nei professionisti che negli altri due gruppi. È possibile che nella testa di un comico, in quest’area si formino quelle associazioni bizzarre e stranianti, tra idee, concetti, oggetti che di solito non vanno insieme.
Un’altra osservazione è che, nel cervello dei comici professionisti, c’è una minore attività nella corteccia prefrontale. Si tratta di un’area che funziona un po’ da controllore, o da censore, del processo creativo. È la regione cerebrale che ci dice che cosa dobbiamo o non dobbiamo fare per raggiungere un determinato obiettivo. Perché si possano produrre libere associazioni, bisogna che il cervello non sia forzato più di tanto ad andare in una direzione o un’altra. Deve piuttosto poter vagare in modo un po’ libero e rilassato, mettendo una sorta di freno a quest’area dirigista.
Una terza differenza è stata trovata nell’area dello striato, coinvolta nell’elaborazione della gratificazione. Più la battuta era divertente e più quest’area si attivava, soprattutto nei professionisti, prima che la battuta stessa fosse detta. Forse il cervello ha bisogno di creare l’atmosfera giusta per inventare qualcosa di buffo? O forse produrre battute divertenti è semplicemente piacevole, e lo è tanto più quanto più queste funzionano.
Cosa succede invece in chi vede o ascolta qualcosa di divertente? Si attivano alcune delle stesse aree di chi produce le battute, ma in tempi e modi diversi. Per esempio, quando uno capisce una battuta, la fMRI mostra un rapido picco di attivazione nella stessa area della corteccia temporale che si “accende” anche in chi la battuta la produce, in questo caso più precocemente e gradualmente. In maniera analoga, e con gli stessi andamenti e differenze, si attiva anche l’area della gratificazione nello striato.
Un’osservazione più ovvia: per gag con aspetti visivi si notano attivazioni maggiori nelle aree visive, mentre per battute basate più sulla parola le aree maggiormente coinvolte sono quelle del linguaggio.
Amir ha anche studiato i diversi stadi del processo di ideazione umoristica. La prima cosa che sembra accadere è che percepiamo qualcosa di incongruo in una narrazione o in elementi disparati della realtà circostante. L’incongruità viene quindi elaborata, interpretata, modificata fino a creare una sintesi originale in una battuta, una barzelletta, una storia buffa. Il processo creativo passa spesso per un cambio di prospettiva, una sorta di straniamento che permette di giungere, con l’effetto comico, a una specie di soluzione del problema osservato.
Un esempio di straniamento comico, dato da un ribaltamento di prospettiva, è lo sguardo di Diawné: appena arrivato a Bologna dopo essere uscito per la prima volta dall’Africa, nelle strade nota che ogni tanto si vedono uomini o donne che vanno in giro legati a un cane.
I primordi dell’intelligenza artificiale come i “chatbot” producono innumerevoli effetti comici non intenzionali, usando modelli generali del linguaggio. Quando avranno appreso a imitare meglio l’intelligenza umana, potranno fare deliberatamente dell’ironia?
Qualcuno ha detto che piangiamo tutti per le stesse cose, ma ridiamo ciascuno per cose diverse. La comicità che emerge dalle persone dipende molto dalla cultura che condividono a ogni determinato momento. Ineffabile e difficile da definire, l’umorismo è di frequente legato a qualcosa di attuale e contingente all’interno di ogni piccola comunità.
Ridere è un modo per dimostrare che apparteniamo a un gruppo sociale, che capiamo le persone e che siamo in sintonia con loro, come hanno mostrato le ricerche della neuroscienziata britannica Sophie Scott all’University College London. Ridere è anche uno dei sistemi con cui gestiamo i nostri rapporti con gli altri. Una coppia che riesce a sorridere in un momento di stress o di difficoltà “livella” insieme le emozioni. Ridere aiuta a stare meglio insieme, a ridurre l’imbarazzo e la tensione. Ma è anche un modo per dividere ed escludere, per esempio quando si ride di qualcuno anziché con qualcuno. La risata può essere anche volontaria e non spontanea, come quando ci si sforza di fronte alla penosa battuta di un capo.
Queste considerazioni ci dicono che l’umorismo è un comportamento complesso, e tra i problemi più difficili da risolvere per i sistemi di intelligenza artificiale. Ma non sottovalutiamoli. Tra non molto potremo magari chiedere ai nipotini di ChatGPT di inventare una barzelletta a partire da una serie di frasi serie. O avranno imparato a rendere scherzosa e divertente una nostra dichiarazione particolarmente barbosa.
- Jean Mary Zarate, Ori Amir, What happens in our brains when we're trying to be funny, Nature podcast (3/3/2023);
- Inside the Mind of a Comic with Professor Ori Amir, Pomona College News (10/7/2022);
- Lisa Vozza, Perché ridiamo?, Biologia e dintorni, Aula di Scienze Zanichelli (29/1/2017).
In apertura un fotogramma con Stan Laurel e Oliver Hardy nel film "I diavoli volanti" (1939, Wikipedia).
Il neuroscienziato e comico Ori Amir (Pomona College)
Un’immagine prodotta da una fMRI: le aree colorate rappresentano zone in cui il cervello è più attivo rispetto a quanto si osserva nei controlli (Wikipedia).