Pensate al labirinto virtuale di un gioco elettronico: uno spazio sconosciuto in cui chi si batte contro mostri armati fino ai denti deve muoversi senza perdersi, pena la sopravvivenza del proprio avatar. E se tutto questo avvenisse al buio, con suoni e rumori come unica guida per orientarsi? È ciò che accade nel simulatore audio di ambienti virtuali, pensato per i non vedenti.
L’idea di un audiogioco proviene dal Cile negli anni Novanta. All’epoca Jaime Sánchez è un informatico dell’Università del Cile a Santiago, interessato a sviluppare strumenti elettronici per disabili. Il momento è propizio: è appena uscito DOOM, il gioco che, spostando il punto di osservazione all’altezza degli occhi dei giocatori, permette per la prima volta di vivere l’esperienza virtuale in prima persona. Ispirato da DOOM, Sánchez sviluppa una versione del gioco basata solo su indizi sonori, che chiama AudioDOOM.
Quando Sánchez chiede ad alcuni bambini ciechi dalla nascita di giocare con audioDOOM, scopre che sono perfettamente in grado di orientarsi nel labirinto. Non solo, ma i bambini sono anche capaci di ricostruire con il lego la mappa dei luoghi che hanno memorizzato tramite i suoni del gioco. Sánchez fa la prova anche con un gruppo di bambini che vedono normalmente, ma ottiene risultati assai scadenti. La capacità di orientamento e memorizzazione di uno spazio virtuale tramite i suoni è molto più sviluppata nei bambini non vedenti.
Per il passo successivo dobbiamo spostarci a Boston. Nel 2008 Lotfi Merabet ed Erin Connors, del Massachusetts Eye and Ear Infirmary, producono una nuova versione dell’audiogioco di Sánchez, ricostruendo lo spazio tridimensionale di gioco in base alla mappa di un edificio realmente esistente nel loro campus universitario. Quindi chiedono ad alcuni bambini ciechi dalla nascita, che non sono mai entrati in quell’edificio, di giocare con il simulatore. L’esperimento riesce alla grande: dopo avere memorizzato la mappa virtuale tramite il gioco, i bambini riescono a muoversi molto bene anche nell’edificio reale. E lo fanno meglio del gruppo di controllo, cui la mappa viene soltanto spiegata, ma non viene invece data la possibilità di giocare.
Chi non vede dalla nascita può produrre immagini? La corteccia cerebrale di chi non ha mai potuto vedere non dovrebbe avere mai ricevuto stimoli visivi. Eppure da un decennio circa sappiamo che l’area visiva di queste persone si attiva per alcuni stimoli esterni: quando leggono il Braille, interpretano il linguaggio e localizzano i suoni, per citarne soltanto alcuni. Di fatto la corteccia visiva non è inattiva, ma rappresenta possibilmente delle forme, a partire da stimoli legati alle parole o ai suoni.
Anche la corteccia visiva di chi gioca con il simulatore audio di ambienti si attiva. Grazie a un adattamento del gioco, Merabet ha potuto studiare l’attività cerebrale di alcuni volontari non vedenti mentre si trovavano all’interno di un apparecchio per la risonanza magnetica funzionale. Ha così scoperto che la loro area visiva si attiva durante il gioco e quest’attivazione sembra avere un ruolo importante nella ricostruzione a posteriori di un ambiente.
Le tecnologie digitali migliorano la vita dei non vedenti. A questa conclusione ero giunta già qualche anno fa, quando avevo chiesto a Franco Lisi, cieco dalla nascita e responsabile dei servizi informatici dell’Istituto dei ciechi di Milano, quali tecnologie avevano arricchito la sua esistenza. Le sue risposte mi avevano entusiasmato. La rivoluzione digitale aveva cambiato radicalmente la qualità della sua vita, permettendogli di esplorare il mondo in una maniera per lui sconosciuta fino allora. Il GPS nel telefonino aveva reso meno azzardati gli spostamenti in città e negli spazi aperti, mentre il sintetizzatore vocale gli aveva finalmente consentito di leggere pressoché ogni testo scritto, superando i limiti stretti dei pochi testi disponibili un tempo in Braille o sotto forma di audiolibro.
Non c’è luogo di culto che non abbia la sua collezione di occhi votivi: oggetti tanto meravigliosi quanto erano misere le opportunità, oltre la preghiera, per chi mancava della vista. Oggi la qualità della vità di chi non vede può essere sensibilmente migliorata, anche grazie a strumenti come i simulatori digitali di ambienti basati sui suoni. Fra non molto sarà possibile inserire in questi giochi le mappe di tanti edifici, grandi e complicati, come un’università o un centro commerciale o, perché no, i veri labirinti di una metropolitana o di un aeroporto. I luoghi chiusi, dove i cani guida non sono sempre benvenuti e il GPS raramente funziona, sono poco amichevoli per i non vedenti. Ma la situazione potrebbe cambiare: chi non vede potrebbe impratichirsi con la mappa simulata di un edificio prima di andarci per la prima volta, proprio come chi non ha problemi di vista dà un’occhiata a Google Map prima di avventurarsi in un quartiere che non conosce.
Ho tratto la maggior parte delle informazioni di questo articolo da “Playing by Ear” di Sara Readon, Science, 30 Sept. 2011. La foto di apertura dell’occhio votivo è tratta da artancient.com; la foto della persona non vedente con il cane è tratta da Wikipedia (Creative Commons License Attribution 2.5 Brazil); l’immagine fMRI della corteccia cerebrale è tratta da Sparking Tech.