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Parassiti in movimento

Il variegato e sovrabbondante mondo dei parassiti, tra le specie più abbondanti sulla Terra, è descritto con sapienza da tre esperti

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«Anche nei momenti migliori, la maggior parte delle persone ha uno o più parassiti che vivono sulla loro pelle o all’interno del loro corpo». Forse per questo sono tra gli animali di cui desideriamo sapere il meno possibile. Eppure sono un gruppo di bestiole assai istruttive e straordinariamente abbondanti, se non proprio fascinose. Lo sfruttamento della vita altrui richiede infatti complessi adattamenti e parecchie negoziazioni, affinché qualche compromesso accettabile sia raggiunto per il parassita e per l’ospite. In Parasites (Princeton University Press, 2022) tre esperti della materia, Scott Gardiner, Judy Diamond e Gabor Racz, hanno descritto questi animali e i princìpi che li governano in un piccolo capolavoro di semplicità, sapienza, concisione e ironia. A raggiungere questo notevole risultato sono anche stati aiutati dalle ottime illustrazioni di Brenda Lee.

Innanzitutto che cosa significa essere dei parassiti? Il termine, derivato dal greco, significa letteralmente “vicino al cibo”. Ma scambi di nutrienti e metaboliti avvengono in ogni individuo di pressoché tutte le specie, dato che ciascuno è di fatto un vasto ecosistema in cui albergano moltissimi organismi diversi. Al punto che il concetto stesso di individuo è sempre più traballante. Ci sono relazioni in cui i benefici sono reciproci, e allora si parla di organismi simbionti e di mutualismo. Quando la relazione avvantaggia una specie mentre un’altra non è aiutata ma neppure danneggiata, si dice che la prima è commensale. Quando invece una specie ricevendo benefici danneggia l’ospite, allora si parla di organismi patobionti o di parassiti.

Per quanto ci conforta piazzare gli esseri viventi in categorie separate e distinte, la realtà è ben più fluida, complicata e mutevole. Piccoli mutamenti nella quantità di cibo nell’ambiente, o un lieve indebolimento delle difese, possono far scivolare una relazione tra simbionti nel mutualismo se non addirittura nel parassitismo. Di frequente poi queste associazioni sono parte di reti ecologiche intricate e dinamiche, in cui tutti influenzano direttamente o indirettamente tutti gli altri. Parasites è pieno di aneddoti curiosi, che aiutano a illustrare come alcuni di questi animali si specializzano sulle abitudini, i comportamenti e gli habitat dei propri ospiti.

La maggior parte dei parassiti balza da un ospite intermedio a un altro, prima di raggiungere l’albergatore finale. Solo qui assumeranno le forme con cui si riprodurranno e disperderanno le proprie uova. Un esempio sono alcuni vermi piatti le cui uova sono dapprima ingurgitate in acqua da piccoli crostacei. Questi sono a loro volta mangiati da pesci, che sono una prelibatezza per gli ospiti finali: alcuni uccelli marini. Le uova liberate in acqua, con le feci di questi uccelli, fanno ripartire il ciclo. Ma a questa regola generale ci sono parecchie eccezioni. C’è per esempio una sanguisuga, la Placobdelloides jaegerskioeldi, che «passa l’intera esistenza nutrendosi e riproducendosi all’interno dell’ano degli ippopotami: un curioso habitat».

Un’altra eccezione sono gli ascaridi, i vermi nematodi più comuni tra i parassiti umani. Infettano oltre un miliardo di persone nel mondo e tra le ragioni del loro successo c’è la notevole resistenza delle uova. Considerate quasi immortali, le uova possono infatti rimanere intatte per decenni anche in presenza di conservanti. Un singolo ascaride è lungo mediamente quanto uno spaghetto, ma la biomassa che può accumulare è sconcertante, dato che una sola femmina adulta produce circa 200.000 uova al giorno. Considerando tutte le persone infette, il peso totale delle uova prodotte in un anno negli esseri umani nel mondo è stimata in circa 66 milioni di chilogrammi: «l’equivalente in peso di 350 balenottere azzurre adulte, o di 8000 elefanti maschi adulti o di 360 vagoni ferroviari a pieno carico».

Il successo evolutivo di un parassita, ossia la capacità della specie di riprodursi e persistere nel tempo, dipende sia dai propri adattamenti sia da quelli dei propri ospiti. Se un ospite è prossimo all’estinzione, insieme a lui sono a rischio tutti i conviventi, come testimoniano innumerevoli resti fossili. A volte però i parassiti hanno colto opportunità che hanno permesso loro di fare salti di specie. Sembra che gli ascaridi ne abbiano fatto più d’uno, dato che tracce dell’esistenza di qualche loro antenato sono state trovate in Belgio. Le contengono le feci fossili, o coproliti, di alcuni goffi dinosauri erbivori, chiamati iguanodonti e vissuti almeno 125 milioni di anni fa, all’inizio del Cretaceo. È dunque probabile che almeno alcuni ascaridi abbiano a un certo punto cambiato più di un ospite, prima che qualche loro discendente sia riuscito a insediarsi nel corpo di qualche nostro avo, nei millenni successivi.

Se i parassiti si sono scelti ospiti migranti, li hanno accompagnati nei loro viaggi. Anche questo è un fatto documentato da numerosi reperti fossili. Le relazioni genetiche tra varianti di parassiti, ricostruite grazie ai resti trovati nelle feci fossilizzate di nostri antenati in diversi continenti, hanno aiutato a ripercorrere gli spostamenti umani dall’Asia al Nord America attraverso lo stretto di Bering. Le migrazioni forzate, come la tratta degli schiavi tra l’Africa e l’America, hanno portato nel nuovo mondo, oltre alla manodopera, anche i loro piccoli ospiti.

Sopravvivere ai propri parassiti richiede qualche variazione ai programmi di vita. Le lumache possono subire limitazioni letteralmente castranti, da parte di alcuni parassiti trematodi che inibiscono lo sviluppo dei loro organi riproduttivi. Ma una specie di lumaca, la Biomphalaria glabrata, ha reagito anticipando i danni inferti dal trematode Schistosoma mansoni con improvvise, precoci scariche di uova.

Tra ospiti e parassiti avviene una coevoluzione che cambia entrambe le specie e richiede una certa dose di tolleranza reciproca. Per l’eliminazione radicale di un parassita sarebbero infatti necessarie reazioni talmente violente da parte del sistema immunitario che potrebbero essere letali per l’ospite stesso. Un equilibrio seppur precario tra le esigenze di ospite e parassita sembra essere un’opzione più accettabile, nell’interesse di entrambi. Quando però un parassita tollerato da un determinato ospite entra in contatto accidentale con un altro ospite, che nel corso dell’evoluzione ha avuto scarsi o nulli contatti con questa specie, allora si può scatenare una risposta molto aggressiva e pericolosa. È ciò che può accadere a chi ingerisce, insieme agli animali crudi o poco cotti che li ospitano, vermi nematodi come Anisakis simplex.

Gli Anisakis sono parassiti piuttosto comuni, i cui ospiti finali sono alcuni mammiferi marini. «Nel loro corpo arrivano però solo dopo un lungo viaggio nella rete alimentare oceanica. Le loro uova possono infatti essere mangiate da minuscoli organismi dello zooplancton, come i krill o i copepodi, all’interno dei quali le uova stesse si schiudono, incistandosi nell’ospite. Lo zooplancton viene quindi mangiato da un pesce o da un calamaro, dove gli Anisakis immaturi perforano la parete dell’intestino e si rinchiudono in una bolla protettiva di tessuto, formando una cisti. Questo può accadere più volte, dal momento che un animale contenente cisti di nematodi può essere mangiato da un altro pesce, e così via».

Ogni volta che un pesce infetto viene mangiato, gli Anisakis si riattivano: tornano nel lume intestinale dell’ospite per poi formare nuovamente delle cisti. Fin quando una balena o un altro mammifero marino mangia un pesce molto infetto. Una volta entrati nell’intestino dell’ospite definitivo, i vermi abbandonano le proprie cisti, conficcano le estremità anteriori nella parete dello stomaco, si nutrono, crescono, si accoppiano, e infine liberano nell’oceano le uova insieme alle feci dell’ospite.

Gli esseri umani normalmente non sono ospiti di Anisakis, per i quali sono piuttosto un “vicolo cieco”. Quando le persone entrano in contatto con questi vermi, mangiando pesce contaminato crudo o poco cotto, possono avere reazioni pericolose. Alcuni hanno delle forti allergie, mentre altri sviluppano delle ulcere quando il parassita conficca la testa nel loro stomaco. Mi piace molto il sushi, ma da quando ho letto questa descrizione ho un po’ meno voglia di mangiarlo.

Le malattie da parassiti sono un problema sanitario legato soprattutto alla povertà. In certi casi basterebbero semplici misure di prevenzione: offrire alle persone scarpe da indossare, un minimo di condizioni igieniche e acqua potabile. Infestazioni più tenaci possono essere debellate grazie ad alcuni farmaci. Ricorderete forse l’ivermectina, un composto di cui, all’inizio della pandemia di Covid-19, si era detto che avrebbe potuto essere efficace contro il virus Sars-CoV-2. Contro il Covid-19 è assolutamente inefficace, mentre uccide le forme giovanili di molti vermi nematodi. Il composto è stato individuato tra le molecole prodotte da un batterio, lo Streptomyces avermitilis, trovato nel terreno di un campo da golf di Tokyo. William C. Campbell e Satoshi Ōmura, i due ricercatori che lo hanno scoperto, hanno meritato il premio Nobel per la fisiologia o la medicina nel 2015.

Numerose campagne di sanità pubblica nel mondo hanno ridotto notevolmente il problema, anche se alcune hanno avuto conseguenze impreviste. Per trent’anni circa, a partire dal 1950, il Ministero della Sanità egiziano ha cercato di ridurre gli alti tassi di infezione di Schistosoma mansoni con campagne massive di eradicazione. Oggi la terapia standard contro la schistosomiasi è un farmaco che si assume per via orale, ma all’epoca il trattamento era somministrato tramite iniezioni. Gli aghi usa e getta erano di là da venire, anche perché c’era scarsa consapevolezza di cosa potesse essere trasmesso con il sangue. La campagna ha così provocato l’infezione di gran parte della popolazione con il virus dell’epatite C.

Un po’ per scherzo gli autori di Parasites si sono chiesti se Giona sarebbe davvero potuto sopravvivere tre giorni nelle viscere di una balena. La loro conclusione è stata che se la sarebbe cavata meglio se si fosse travestito da giovane tenia. La sfida maggiore per la sopravvivenza sarebbe infatti stata, per Giona, l’attraversamento delle quattro camere dello stomaco della balena, con scarso ossigeno, immerso in un bagnetto di enzimi digestivi. Le tenie ce la fanno perché entrano nella balena come minuscole larve resistenti e non si sviluppano nella forma adulta, lunga anche 30 metri di lunghezza, finché non fuoriescono dallo stomaco. A propria tutela le larve producono proteine che inibiscono gli enzimi digestivi e bloccano la risposta immunitaria locale della balena, oppure si rinchiudono in piccole bolle simili a cisti. Vermi simili mimano il rivestimento mucoso dell’intestino della balena, in modo che l’ospite riconosca la larva della tenia come un pezzettino in più di se stesso, anziché come un intruso.

Gran parte dei parassiti è ancora da esplorare. Ci sono tante specie da identificare, insieme ai loro cicli di vita e alle reti ecologiche di cui fanno parte. Ogni scoperta richiede spedizioni avventurose, in ambienti poco battuti, nei quali raccogliere e analizzare campioni di acque e di suoli. Insomma, la vita dei parassitologi può essere dura, ma certamente non è noiosa.

Per scrivere questo post ho letto con molto interesse Parasites: The Inside Story di Scott Lyell Gardner, Judy Diamond, and Gabor R. Rácz (Princeton University Press, 2022). Tutti i testi tra virgolette sono citazioni dal libro, tradotte da me. In apertura il Cymothoa exigua, un endoparassita di pesci osteitti che si ancora tramite uncini, all’interno del cavo orale dell’ospite, sostituendosi alla lingua (Wikipedia, foto di Marco Vinci).
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Un adulto di Ascaris lumbricoides (Wikipedia, CDC Division of Parasitic Diseases).
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Lo scheletro di un iguanodonte, conservato presso l’Institut Royal des Sciences naturelles di Bruxelles in Belgio (Wikipedia, foto di Ben2). Questi animali erano parassitati da antichi ascaridi.

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Un piatto di sushi (Wikipedia, foto di Laitr Keiows). Nel pesce crudo o non sufficientemente cotto possono trovarsi larve di Anisakis.
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William C. Campbell e Satoshi Ōmura hanno ricevuto nel 2015 il premio Nobel per la fisiologia o la medicina per la scoperta dell'ivermectina (Wikipedia, foto di Bengt Nyman).