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Psoriasi, un ingarbuglio epidermico

Risposte immunitarie stonate, infiammazione che non si ferma e tanto stress mettono alla prova chi soffre di psoriasi, una malattia enigmatica di cui però si comprende sempre di più il comportamento biologico.
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La psoriasi è una malattia difficile da pronunciare, da capire e da curare. In apparenza è un problema di superficie, ma la sua profondità è evidente non appena si penetra all'interno delle cellule della pelle. Qui, nelle lesioni della psoriasi, si trova una rete di meccanismi che coinvolge alcuni difetti del sistema immunitario, una probabile predisposizione genetica, forse la varietà di microrganismi che popola la pelle e perfino il sistema nervoso.
A questo ingarbuglio dell’epidermide Nature ha dedicato uno speciale approfondimento nell’ultimo numero del 2012, che contiene molte informazioni utili, oltre che interessanti.
Le placche di psoriasi nascono nei cheratinociti, le cellule che compongono la maggior parte lo strato più superficiale della pelle. Come si vede nella figura, i cheratinociti proliferano dieci volte di più nelle placche psoriasiche che nelle cellule della pelle sana e inoltre non maturano in maniera adeguata. Il risultato sono lesioni squamose e arrossate della pelle, che a volte danno prurito e dolore.
Quanto è comune? I dati epidemiologici sono incompleti, ma l’incidenza è maggiore più ci si avvicina ai poli. Per l’Italia Nature riporta il dato più alto in assoluto, il 2,9% della popolazione, ma si tratta di autodiagnosi riferite dai pazienti, senza una conferma da parte dei dermatologi o dei medici di base. In quanto all’età, la psoriasi compare più di frequente attorno ai quarant’anni oppure fra i sessanta e i settanta.
La gravità della psoriasi si misura tramite l’area della superficie del corpo ricoperta dalle placche. Una BSA (in inglese body surface area) dal 3 al 10% indica una malattia moderata, mentre le malattie più gravi hanno un BSA superiore al 10%. L’80% circa dei casi è lieve, con placche separate in vari punti del corpo. Il restante 20% comprende forme più gravi, con lesioni di diversa natura e una copertura maggiore della superficie corporea.
La pelle è un organo che sa difendersi. La superficie dei cheratinociti è rivestita di specie di antenne molecolari, fra cui i Toll-like receptors (TLR), che riconoscono alcune caratteristiche comuni a molti batteri e virus. Quando questo accade, i cheratinociti inviano ambasciatori, chiamati citochine, per ottenere rinforzi come le cellule T (CD4 helper e CD8 killer), le cellule NK, le mast cellule e i macrofagi.
Fra le armi a disposizione della pelle ci sono le difensine. Il nome di queste molecole fa pensare a femmine piccole ma agguerrite. In effetti fanno buchi tremendi nella parete dei batteri, uccidendoli, ma possono anche danneggiare l’ospite se vanno fuori controllo. Nella psoriasi pare che ci siano troppe difensine.
Se terminata l’emergenza, non passa lo stoppino a spegnere la candela accesa, il rischio è che la fiamma continui a bruciare. IL-36N è una citochina anti-infiammatoria che normalmente attenua l’infiammazione in molti tipi di cellule, inclusi i cheratinociti. In pazienti colpiti da una forma estrema di psoriasi questa proteina è mutata e non funziona.In un’altra forma rara ed ereditaria di psoriasi, il gene mutato CARD14, causa l’attivazione di NFkB, una proteina cruciale per l’infiammazione.
Il ruolo del sistema immunitario nella psoriasi è stato scoperto per caso: negli anni ’90 un paziente che stava prendendo un farmaco anti-infiammatorio, che blocca l’attività del TNF-alfa per una malattia intestinale, ha visto migliorare anche la sua psoriasi. Da allora i farmaci anti-TNF sono stati usati anche per le forme più gravi di psoriasi, ma si tratta di un trattamento sintomatico: riduce l’infiammazione scatenata dal TNF, ma se le anomalie genetiche o le altre cause ancora indefinite persistono, i pazienti migliorano ma non guariscono.
Studi genomici hanno mostrato differenze fra almeno 1000 geni espressi nelle lesioni psoriasiche e nella pelle normale. Molti dei geni segnalati hanno a che fare con il sistema immunitario innato, ma sono talmente tanti che è difficile definire quali sono gli “autisti” e quali i “passeggeri”. Nella pelle si intersecano tante reti infiammatorie e funzioni di difesa, e districarle non è facile.
Geneticamente la psoriasi si sovrappone a malattie dell’intestino come il morbo di Crohn. D’altronde c’era da aspettarselo: sia la pelle sia l’intestino sono le due principali barriere contro i patogeni, e sono entrambe fatte soprattutto di epitelio.
Al di là delle molecole e dei geni identificati, come la psoriasi abbia inizio resta un mistero, di cui c’è solo qualche indizio. Forse il punto di partenza è una banale infezione della gola e delle tonsille con streptococco, le cui proteine potrebbero essere confuse dal sistema immunitario per proteine della pelle, scatenando una malattia autoimmune. Un altro indizio è che molti pazienti presentano difetti in geni coinvolti nello sviluppo dell’epidermide: una pelle che non si è sviluppata correttamente potrebbe essere una barriera difettosa, aperta all’invasione di parte di virus e batteri.
In circa un quarto dei pazienti la psoriasi non si ferma alla pelle, ma evolve in artrite psoriasica, ed è inoltre associata a malattie cardiovascolari e metaboliche. I malati gravi di psoriasi soffrono più di infarto e sono a rischio di diabete, ipertensione e obesità. La National Psoriasis Foundation americana ha stilato una lista di problemi cui prestare attenzione, per stabilire il profilo di rischio cardiovascolare dei pazienti: l’obiettivo è dire a dermatologi e medici di base, “Curare la pelle non basta”.
Come si fa a silenziare la psoriasi? Per secoli le malattie della pelle si sono curate col catrame di carbone. Poi nel secolo scorso sono venuti di moda i raggi ultravioletti. Oggi si usano soprattutto il metotrexato, i corticosteroidi e una serie di farmaci biologici diretti contro varie citochine. Tuttavia, la maggior parte di questi trattamenti si usano nei pazienti più gravi, mentre per la maggioranza dei malati di psoriasi non ci sono molte opzioni. Inoltre tutti i trattamenti, nonostante i notevoli progressi, sono sintomatici. La cura definitiva della psoriasi ancora non esiste.
L’efficacia di un farmaco contro la psoriasi si valuta con l’indice PASI (Psoriasis area and severity Index), ossia un valore che rappresenta la percentuale di pazienti che raggiunge una determinata riduzione dell’area colpita da psoriasi e della gravità della malattia. Per i nuovi farmaci biologici lo standard da superare è il PASI 75, cioè la percentuale di pazienti che raggiungono una riduzione della malattia di almeno il 75%.
La psoriasi è sempre più un modello per studiare altre malattie,come l’artrite reumatoide e il morbo di Crohn, che con essa condividono meccanismi cronici e infiammatori. Facilmente accessibile e semplice da osservare, la pelle si può fotografare, è facile ottenerne biopsie e le risposte ai farmaci sono più semplici da quantificare che per malattie interne.
Forse un giorno la soluzione sarà qualche batterio (buono) della pelle. Alcuni microbi di superficie mangiano infatti le cellule morte, altri trasformano l’olio che la pelle produce in un idratante naturale, altri ancora aiutano a evitare l’invasione di ulteriori batteri e virus. Insomma, il microbioma della pelle è un’armata che nel complesso si guadagna l’ospitalità. Ma la varietà di specie batteriche, tipica di una pelle sana, non è uguale a quella che si trova nelle lesioni psoriasiche. Sebbene molti siano convinti che i batteri della pelle abbiano un ruolo rilevante, non c’è ancora alcuna prova di un nesso di causa effetto. Guardando però con ottimismo a un futuro non troppo improbabile, possiamo immaginare una crema contenente batteri benefici, capaci di bloccare la crescita di specie dannose.
Anche le emozioni interferiscono con la psoriasi. È noto da tempo che l’infiammazione è alimentata dallo stress e in alcuni pazienti psoriasici la regolazione del rilascio del cortisolo, un ormone legato allo stress e inibitore dell’infiammazione, non funziona come dovrebbe. Non solo, ma le cellule di Langerhans si trovano vicino alle fibre nervose nelle parti più superficiali della pelle, proprio dove il sistema nervoso e quello immunitario si parlano. Man mano che le lesioni si formano, le cellule di Langerhans migrano e sono molto più numerose nelle placche che nella pelle normale.
 
Del resto, fra la pelle e il sistema nervoso c’è un’origine comune nell’embrione e molte affinità. Le mast cellule rilasciano sostanze come l’istamina che stimola la crescita di fibre nervose sensoriali prevalenti nelle lesioni psoriasiche. Questo crea un circolo vizioso che permette all’infiammazione della pelle e ai sintomi della psoriasi a persistere. Purtroppo l’effetto dello stress sulla psoriasi è complicato dal fatto che la psoriasi stessa è causa di stress.
Per aiutare il cane a non mordersi la coda, alcuni dermatologi hanno iniziato a suggerire ai pazienti, oltre alla cura della pelle, anche terapie cognitive comportamentali che sembrano ridurre lo stress.La maggior parte dei medici offre però poco sostegno psicologico e sociale ai pazienti, preferendo concentrarsi sulla pelle. Su Internet è nata qualche risorsa utile, come questo servizio di auto-aiuto sviluppata dalla Psoriasis and Psoriatic Arthritis Alliance in Gran Bretagna.
Oltre alle lesioni sopra la cute, ci sono anche gli effetti sottopelle. La discriminazione nei confronti dei malati di psoriasi, inconscia e non esplicita, affonda le radici in tempi non remoti  quando la psoriasi era confusa con la lebbra (accadeva solo un secolo fa!). Christopher Griffiths, un dermatologo dell’Università di Manchester, ha dimostrato che nell’insula, la parte del cervello che processa emozioni come il disgusto, i malati di psoriasi riducono il flusso sanguigno quando guardano una fotografia con un’espressione facciale schifata. Che sia questo un meccanismo di difesa, una sorta di chiusura inconsapevole verso le reazioni ostili? La reazione curiosamente viene meno non appena la psoriasi si riduce per effetto di qualche farmaco o di una fluttuazione naturale. Nonostante queste scoperte, la discriminazione vero le persone colpite da psoriasi è diffusa. È raro infatti che mansioni di contatto col pubblico, come la reception o il servizio a tavola, siano affidate a chi presenta questa malattia assolutamente innocua e non contagiosa.
Le informazioni e le immagini di questo articolo sono tratte da Nature Outlook: Psoriasis (S49-S65, 20/27 dicembre 2012).
pso

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