Pubblicare o non pubblicare i risultati degli esperimenti che hanno reso due ceppi virali dell’influenza aviaria H5N1 facilmente trasmissibili nei mammiferi? Questo è il problema.
Il virus H5N1 infetta soprattutto gli uccelli, ma dal 1997 sappiamo che le rare volte in cui contagia un essere umano, è letale in un caso su due. La prima vittima nota è stato un bambino di 3 anni di Hong Kong. Dopo di lui, di aviaria sono morte poco più di 500 persone nel mondo: un tasso di mortalità di almeno tre ordini di grandezza inferiore rispetto ai 500.000 morti causati ogni anno da una normale influenza stagionale.
Anche se l’H5N1 si trasmette molto raramente nell’uomo, la sua letalità continua a tenere diversi scienziati svegli la notte. Infatti il virus aviario è ormai radicato fra gli uccelli dell’Asia, dell’Africa e del Medio Oriente, e l’eventualità che da questo immenso serbatoio animale emerga un giorno un virus trasmissibile per via aerea fra esseri umani, è plausibile e non è riposante.
Ora due virus con queste caratteristiche hanno tutta l’aria di esistere in due laboratori nel mondo: uno diretto da Ron Fouchier, presso il Medical Center Erasmus di Rotterdam, e l’altro guidato da Yoshihiro Kawaoka all’Università del Wisconsin a Madison, negli Stati Uniti. I risultati dei due studi, condotti in maniera indipendente nei due laboratori, sono stati sottomessi per pubblicazione a Science e Nature attorno a novembre 2011 e non sono ancora stati pubblicati.
Si tratterebbe di due ceppi virali H5N1 in grado di passare per via aerea da furetto a furetto; il furetto è un piccolo mammifero molto usato negli studi sull’influenza poiché l’infezione in questi animali assomiglia abbastanza da vicino a quella umana. Questo è almeno quel che risulta dagli articoli di cronaca usciti finora sulla vicenda, poiché le pubblicazioni dei dati originali sono sospese per il momento.
Un furetto
Poco prima di Natale infatti il governo americano ha chiesto ai due gruppi di rimuovere alcuni dettagli cruciali dagli articoli prima della pubblicazione. La richiesta è stata motivata con il parere di una commissione consultiva di biosicurezza, la National Science Advisory Board for Biosecurity (NSAAB), la cui preoccupazione è che la “ricetta” sperimentale possa servire a gruppi terroristi per creare un’arma biologica.
Sgombriamo il campo dagli equivoci: Fouchier e Kawaoka sono due scienziati di altissimo livello internazionale e non sono né degli irresponsabili, né dei bioterroristi. Anthony Fauci, il direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) americano, ha chiarito su Science che esperimenti analoghi, a quelli che Fouchier e Kawaoka hanno condotto, vanno avanti da anni in tanti altri laboratori. L’obiettivo di tutte queste ricerche è stabilire quali alterazioni molecolari sono in grado di modificare la trasmissibilità dei virus influenzali. Il fine ultimo è di arrivare più preparati a un’eventuale pandemia di H5N1.
Anthony Fauci, direttore del NIAID americano
Ma il furore degli scienziati è stato anche provocato dalla proposta di limitare l’accesso ai dati a un numero ristretto di esperti. Sia la richiesta di omettere i dettagli cruciali, sia la proposta di limitare l’accesso ai dati riservati sono senza precedenti e rischiano di creare una discutibile “prima volta”.
Gli scienziati comunque riconoscono che le due scoperte impongono un momento di riflessione. Per questo 39 esperti di influenza hanno aderito, il 26 gennaio scorso, a una pausa di 60 giorni in cui nessun laboratorio lavorerà su ceppi di H5N1 che potrebbero condurre alla creazione di virus altamente infettivi per gli esseri umani. L'interruzione dovrebbe dare tempo agli scienziati di valutare come meglio procedere e di discutere con le autorità di salute pubblica le misure di sicurezza che potrebbero essere necessarie a maneggiare virus con queste caratteristiche.
L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha riunito a Ginevra 22 esperti il 16-17 febbraio, con lo scopo di raggiungere alcune conclusioni condivise. Per la commissione dell’OMS la ricerca sul virus H5N1, in grado di essere trasmesso per via aerea da mammifero a mammifero, è importante e dovrebbe continuare; la pubblicazione integrale di tutti i dettagli delle ricerche condotte finora da Fouchier e Kawaoka dovrebbe avvenire a breve; finché l’OMS non avrà elaborato un processo per arrivare alla pubblicazione delle due ricerche, esse dovrebbero rimanere segrete e la la moratoria sulle ulteriori ricerche sui nuovi ceppi di H5N1 dovrebbe proseguire. Si tratta di conclusioni almeno in parte contrastanti con quelle della commissione governativa americana.
La situazione resta ingarbugliata e per arrivare a una soluzione bisognerà chiarire alcuni punti fondamentali:
1. Nel conflitto fra la prevenzione del rischio di bioterrorismo e quella di pandemia, è più prudente bloccare o permettere la pubblicazione dei dati? Questo è il nodo centrale della questione e le posizioni sono contrastanti. Se fra gli esperti di biosicurezza domina un atteggiamento restrittivo, fra i più grandi scienziati del campo, come Peter Palese, Jeffery Taubenberger e molti altri, l’opinione prevalente è che i dati vadano pubblicati. Solo la condivisione pubblica dei risultati può infatti garantire il più ampio contributo della comunità scientifica alla elaborazione di terapie e vaccini protettivi contro un’eventuale minaccia infettiva, sia che essa derivi da una più plausibile evoluzione della natura o da un più improbabile artefatto del terrore.
2. Chi saranno gli eventuali scienziati cui sarà permesso accedere ai dati? Con quali criteri saranno scelti? E come si farà a garantire che le informazioni “privilegiate” restino confinate ai circa 1000 scienziati scelti (queste sono le cifre che circolano)? I direttori editoriali di Science e Nature, rispettivamente Bruce Alberts e Phil Campbell, hanno dichiarato qualche settimana fa che non pubblicheranno i dati solo se riceveranno un chiarimento convincente su questi punti.
3. Quale diritto ha un solo Paese di porre un veto su dati che interessano l’intera popolazione mondiale? Soprattutto in considerazione del fatto che il maggior numero di morti da H5N1 si è registrato in Asia e in Medio Oriente e non in America.
4. Come si limita il rischio che i virus escano dai laboratori? Alcuni propongono che le ricerche su questi ceppi virali ad alta trasmissibilità siano portate al più alto livello di biosicurezza (si tratterebbe del livello 4; attualmente H5N1 è a livello 3).
Vi lascio con il commento più rassicurante che ho letto. Il commento, riportato su Science, è di Peter Palese, virologo della Mount Sinai School of Medicine di New York e forse il maggiore esperto al mondo di virus influenzali. Palese sostiene che non sia poi così facile creare un virus altamente trasmissibile negli esseri umani in laboratorio, con la certezza che funzioni anche al di fuori. “Se fosse così facile, la natura lo avrebbe già fatto”.
Peter Palese,
virologo della Mount Sinai School of Medicine di New York
virologo della Mount Sinai School of Medicine di New York
Per scrivere questo post ho consultato:
M. Enserink, d. Malakoff, Will flu paper lead to new research oversight?, Science, 6/1/2012
M. Enserink, In the eye of the storm, two rivals, two strategies, Science, 6/1/2012
D. Butler, Caution urged for mutant flu work, Nature, 26/1/2012
D. Malakoff, Flu controversy spurs moratorium, Science, 27/1/2012
Jef Akst, Bird Flu Paper Publication Delayed, The Scientist, 17/2/2012
Mitchel Zoler, WHO trumps U.S. plan for H5N1 flu, EGMN: Notes from the road, 20/2/2012
Le immagini del post provengono da Wikipedia.