E. O. Wilson non ha mai avuto paura di suscitare un vespaio. Neanche il 5 aprile scorso, quando ha scritto sul Wall Street Journal che un ottimo scienziato può non essere un asso della matematica.
L’obiettivo di Wilson è evitare che il terrore della matematica scoraggi gli studenti che hanno una passione per la scienza, e non sminuire l’importanza di conoscere e dominare i numeri. Potete verificare voi stessi in questa breve conferenza TED (con sottotitoli in italiano), in cui Wilson parla del suo ultimo libro, Letters to a young scientist e confessa un segreto.
Senza alcuna vergogna, il maggiore esperto al mondo di formiche racconta che ha studiato algebra per la prima volta al primo anno di università, dopo essere andato a scuola in una zona povera dell’Alabama dove la matematica non si insegnava. L’analisi poi l’ha affrontata a 32 anni suonati, quando era già professore ad Harvard, seguendo un corso dove fra i compagni quasi tutti ventenni c’era anche qualche suo allievo.
Wilson ha ingoiato il rospo e ha imparato l’analisi e il calcolo differenziale, ma non ha mai preso più di 6 al 7. Per lui la matematica resta una lingua straniera: puoi parlarla bene se ti sforzi e passi del tempo con persone di madrelingua. Ma alle sessioni con i nativi della matematica, Wilson ha preferito lunghe sedute in prossimità dei formicai di ogni angolo del pianeta.
Quello che sappiamo sulla vita sociale delle formiche lo dobbiamo a lui, essenzialmente, che in questo campo è considerato la massima autorità mondiale. Le sue parole perciò pesano oggi come pesavano nel 1975, quando propose l’ipotesi della sociobiologia, ossia l’idea che l’organizzazione sociale degli animali sia determinata biologicamente e vagliata dalla selezione naturale. Potete immaginare le reazioni dei genetisti puri, che consideravano non l’ambiente, ma l’informazione contenuta nei geni, sufficiente a definire il comportamento degli animali. Oggi sappiamo che geni e ambiente lavorano insieme anche quando determinano caratteri molto semplici, come il pelo di un gatto siamese, ma forse gli strumenti di allora non erano adeguati per interrogare a fondo la natura e conciliare la bagarre.
Torniamo alla matematica. Quanta ne serve per essere un ottimo scienziato? Molta nelle scienze dure, come la fisica delle particelle, l’astrofisica, l’informatica. Meno nelle scienze della vita, secondo Wilson, ma non tutti sono d'accordo.
Una critica feroce si trova su Slate, mentre Michael White, nel post sul blog The Finch and Pea, esorta a leggere l’articolo di Wilson per intero e a cogliere i toni di grigio del suo ragionamento, senza fermarsi al titolo a effetto.
“Raramente le grandi scoperte dei pionieri della scienza vengono da idee puramente matematiche”. Le illuminazioni per Wilson arrivano più sotto forma di idee che di numeri, dopo che si è lavorato e riflettuto tanto su un problema, magari mentre uno “prende appunti sul campo, legge un articolo scarabocchiato, cerca di spiegare qualcosa a un collega in corridoio, o mangia da solo”.
Quando l’intuizione arriva, va poi dimostrata, e qui la matematica e la statistica servono. Non si può progettare un esperimento, né elaborare una teoria senza tenere conto dei numeri e delle loro relazioni. Ma non è necessario fare tutto da soli: si possono affidare i calcoli a un matematico o a uno statistico che può essere arruolato come collaboratore. Così ha sempre fatto Wilson: per capire i principi della divisione del lavoro negli insetti sociali, ha raccontato al suo collega matematico George Oster quello che aveva scoperto in natura e in laboratorio. Quindi Oster ha usato i teoremi e gli altri attrezzi che aveva nel suo bagaglio di matematico prestato alla zoologia, per catturare l’essenza dei fenomeni descritti da Wilson.
“Se il tuo livello di matematica è basso, cerca di migliorarlo, ma sappi che nel frattempo puoi comunque dare un contributo straordinariamente importante alla scienza”.
E.O. Wilson, zoologo in erba nella sua Alabama
Dunque, l’essenziale è che ogni scienziato conosca eccezionalmente bene il suo mestiere, e intuisca il mestiere dell’altro a sufficienza, per capire di che tipo di analisi matematica e statistica ha bisogno, e se le soluzioni proposte hanno senso oppure no. Ma la ricetta di Wilson vale anche ai giorni nostri?
I numeri vanno dati e vanno dati giusti. Soprattutto, devono dare significato agli esperimenti, come in questo esempio: immaginate che io voglia testare un nuovo farmaco per curare una malattia che ogni anno infetta diversi milioni di persone. Ipotizziamo che il mio farmaco curi 8 pazienti su 10 nelle prime fasi di sperimentazione: sarete d'accordo con me che i risultati saranno ben più convincenti se il farmaco manterrà la promessa e nelle fasi successive dello studio curerà 4000 malati su 5000, ossia un numero ben più significativo a parità di proporzione. Questo è un calcolo semplicissimo, ma a volte si casca proprio sulle banalità.
Ho visto tanto ottimi progetti di ricerca mancare un finanziamento perché la matematica e la statistica facevano acqua. È uno scivolone tanto comune quanto è facile da evitare: basta arruolare un collaboratore esperto e chiedergli di verificare se i calcoli stanno in piedi.
La scienza medica, e soprattutto quella biologica, stanno diventando complesse quasi quanto la fisica. Le tecnologie delle cosiddette discipline omiche permettono, da circa una decina d’anni, di misurare fenomeni su larghissimi numeri di geni, proteine, cellule. Esperimenti di questo tipo “girano” su strumenti che incorporano milioni di righe di codice, intrisi a loro volta di tanta matematica e statistica. Capire tutto è impossibile, ma almeno premunirsi dei servizi di un “traduttore e interprete” è il minimo che uno possa fare. E sapere un po' di matematica di alto livello è meglio.
Altrimenti il rischio è di eseguire ricette come per una torta pronta al cioccolato: magari riesce buonissima e pure col buco, ma poi sappiamo dire che cosa c’è dentro, se ce lo chiedono?
Leggo sempre E.O. Wilson anche quando non sono d’accordo con quello che sostiene. A volte dice cose che molti pensano e nessuno osa dire per paura di fare una figuraccia. Come si può pensare che un grande scienziato possa essere una schiappa in matematica? Con la sua voce schietta, coraggiosa, candida, a 84 anni Ed Wilson ha di nuovo sfidato un luogo comune. Saper usare la matematica è importante nella scienza, ma la paura non deve inibire una generazione di scienziati in erba.
Due volte premio Pulitzer, Wilson è anche uno straordinario scrittore: le sue idee sulla pagina risultano talmente forti, chiare, evocative, che fanno venire l’orticaria a chi non è d’accordo con lui. Great Scientist ≠Good at math è stato pubblicato sul Wall Street Journal il 5 aprile 2013. L’articolo di Wilson mi ha ricordato un altro articolo che avevo letto su Nature l’anno scorso: Know when your numbers are significant di David L. Vaux (vol. 492, pp. 180–181, 13 December 2012). Da questo articolo ho tratto le idee per la seconda parte del post.
Le immagini: in apertura, un frammento di una lavagna scritta da Einstein (da Wikimedia Commons), mentre la foto di E.O. Wilson bambino è tratta dal sito del Museum of living history di Washington DC.