Pochi virologi al mondo avevano sentire parlare di zika fino al 2015. Oggi, appena 180 giorni dopo, ci sono almeno quattro vaccini in sperimentazione e altri in fasi più precoci di sviluppo. Urgenza e successo contro una minaccia virale sostanzialmente sconosciuta sono ingredienti che raramente si miscelano bene. Che cosa è successo? Cominciamo con l’urgenza.
Il 2 marzo 2015 l’Organizzazione mondiale della sanità riceve un’allerta: una nuova epidemia virale si sta diffondendo negli stati settentrionali del Brasile. Il nome, zika, ci dice qualcosa sull’origine: si chiama infatti così la foresta dell’Uganda dove il virus fu trovato, in una scimmia, nel 1947. Per sessant’anni, però, era rimasto sconosciuto e confinato in una stretta cintura equatoriale. Dal 2007 ha cominciato a diffondersi verso est, attraverso le isole dell’Oceano Pacifico, fino alle Americhe.
Come aveva attraversato l’oceano? Di preciso non si sa, ma un’ipotesi è che si sia infilato, nel 2013, insieme a qualche zanzara, in un aereo che trasportava la squadra di calcio di Tahiti e i suoi fan verso il Brasile, in occasione della Coppa delle confederazioni. Sì, zika viaggia non solo in jet, ma soprattutto nel corpo dalle zanzare (la specie preferita è la Aedes aegypti).
I sintomi: febbre, mal di testa, dolori alle articolazioni e uno sfogo inusuale sulla pelle (puntini rossi che si fondono in isole e che sbiadiscono quando si fa pressione). E poi gli occhi arrossati con strisce più scure. Fra le rare complicazioni, la sindrome di Guillain-Barré, una malattia neurologica che può essere associata a un’anomala reazione del sistema immunitario a un virus. In genere però la malattia causata da zika è lieve e si risolve spontaneamente in una settimana circa. Almeno negli adulti.
A fine 2015 quasi 4000 bambini erano nati in Brasile con la testa piccola e la fronte bassa, una conseguenza della crescita inadeguata di alcune parti del cervello. La microcefalia era un problema rarissimo in Brasile prima dell’epidemia di zika: se ne contavano al massimo 200 casi l’anno. Oggi il rischio per una donna incinta infetta da zika di partorire un bambino con la microcefalia va dall’1 al 30%.
Come sappiamo che sia proprio zika la causa della microcefalia dei bambini nati da madri infette? La prova è indiretta ma solida: anche in topine gravide l’infezione con zika causa microencefalia e una crescita ritardata dei feti murini. Lo hanno dimostrato alcuni ricercatori dell’Università di San Paolo, che hanno isolato zika dal sangue di pazienti infetti, lo hanno cresciuto in laboratorio in cellule di zanzara e lo hanno quindi iniettato nei topi per mimare l’infezione umana.
L’epidemia sta già lambendo la Florida e le previsioni della NASA indicano che potrebbe diffondersi su entrambe le coste degli Stati Uniti. La nascita di neonati con un grave handicap è intollerabile, soprattutto in Paesi che non sono più abituati alle malattie infantili e che hanno le risorse per evitarle. Ecco spiegata l’urgenza. Ora veniamo alle ragioni del successo, almeno parziale, dei vaccini sviluppati finora.
La mappa della NASA con indicato il rischio per ciascuna regione di vedere diffondersi zika (Immagine: NASA).
La prima ragione sta nella struttura di zika: parente di dengue, West Nile e febbre gialla, zika è un virus piuttosto stabile, che muta poco e di conseguenza si presenta quasi sempre con lo stesso aspetto al sistema immunitario.
Una rappresentazione colorata del virus zika fotografato al microscopio elettronico a trasmissione (Immagine: CDC/ Cynthia Goldsmith)
La seconda ragione è che l’organismo umano sa liberarsi di zika spontaneamente, sviluppando un’immunità naturale. Due elementi che aiutano quando si pensa di creare un vaccino. Se non disponiamo ancora di un vaccino contro l’HIV è perché questo virus, a differenza di zika, muta moltissime volte, anche in un solo giorno in un singolo paziente, e per ora non è mai stato debellato naturalmente da alcun individuo infetto.
Un vaccino contro zika è nato nel laboratorio di Dan Barouch al Beth Israel Medical Center di Boston negli Stati Uniti. Si tratta di un vaccino a base di DNA nudo, piuttosto facile da produrre in laboratorio: pezzi di DNA che corrispondono a uno o più geni del virus, insieme agli elementi necessari ad attivare tali geni in una cellula animale. Le cellule dell’organismo che catturano il DNA iniziano a sintetizzare le proteine virali, contro le quali il sistema immunitario attiverà una risposta. Un vantaggio di questo metodo è che il vaccino è facile da produrre; uno svantaggio è che la risposta immune possa essere meno vigorosa rispetto a quella contro un virus intero inattivato o ucciso. Un altro problema è ottenere una resa adeguata: i vaccini a DNA sono coltivati in immense colture di batteri, diversamente dai vaccini tradizionali che crescono nelle uova, più efficienti da questo punto di vista. Finora ci sono stati diversi tentativi di sviluppare vaccini a DNA contro vari tipi di virus, con scarsi risultati. Uno è stato utilizzato nei cavalli contro la febbre gialla, ma nessun vaccino di questo tipo è mai stato approvato per uso umano.
Un secondo vaccino più tradizionale è uscito dal laboratorio del colonnello Nelson Michael, presso il Walter Reed Army Institute of Research a Silver Spring in Maryland. Qui il virus zika è stato attenuato, ossia danneggiato al punto da diventare inoffensivo ma restare riconoscibile per il sistema immunitario. Un po’ come un pugile che ha preso qualche botta in viso: è sufficientemente stonato per non essere più una minaccia per l’avversario, ma non ha ancora perso i connotati. In pratica il virus è messo a crescere in cellule, in grandi bottiglie rotanti da una ventina di litri. Quindi è purificato su colonne di resina ed è inattivato con sostanze che preservandone la struttura ne inibiscono la capacità di riprodursi e infettare cellule. Che tutte le particelle virali sia effettivamente inattivate è una cosa che viene controllata con estrema cura.
Nella foto, il colonnello Nelson Michael (Immagine: 2016 U.S. Military HIV Research Program)
Come funziona un vaccino? Provocando una specie di finta infezione, una simulazione che aiuta il sistema immunitario a familiarizzare con la forma del virus senza la necessità che il corpo sperimenti la malattia. Se l’immunizzazione funziona, il vero virus sarà riconosciuto e neutralizzato in una eventuale infezione successiva. Una buona analogia è un simulatore di volo: il pilota può fare esperienza e diventare abile e sicuro con il velivolo senza correre alcun rischio di schiantarsi con i passeggeri a bordo.
I primi due vaccini sono stati testati questa primavera negli animali. Nel laboratorio di Boston tre gruppi di topini hanno ricevuto, rispettivamente, il vaccino a DNA o quello inattivato oppure, come controllo, un’iniezione senza alcun preparato. Dopo quattro settimane, il tempo necessario al montare della risposta immune, i topini sono stati infettati con il virus. Entrambi i vaccini hanno funzionato: nessun segno d’infezione si è osservato nei topi vaccinati, a differenza dei topi non vaccinati nei quali il virus si è moltiplicato fino a un milione di volte. I risultati sono stati pubblicati su Nature il 28 giugno 2016.
Il passo successivo è stata la prova nei macachi, più simili a noi rispetto ai topi. In questi animali è stato testato anche un terzo vaccino, sviluppato da Barouch, in cui parte dei geni di zika erano stati inseriti in un virus, “svuotato” dei propri geni, che normalmente causa il raffreddore. Come accaduto con i topi, anche le scimmie vaccinate non hanno mostrato traccia di zika nel sangue, a differenza di quelle non vaccinate che trasudavano virus da tutti i fluidi e le mucose. I risultati sono consultabili sul numero di Science del 4 agosto 2016.
Terminate le prove negli animali, obbligatorie per legge, si sta passando ora alla sperimentazione umana. Il 2 agosto 2016 è cominciata la prima fase di sperimentazione di un vaccino anti-zika presso il N.I.H. Clinical Center di Bethesda in Maryland che dovrebbe concludersi a dicembre. Il vaccino, in studio in 80 volontari, è a DNA nudo ed è uscito dal laboratorio diretto da John R. Mascola presso il Vaccine Research Center del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) presieduto da Anthony Fauci. Il costo della sperimentazione della sola fase 1, necessaria a valutare la sicurezza del vaccino, è stimata attorno a 80 milioni di dollari. Inoltre sperimentazioni umane degli altri vaccini finora testati negli animali sono previste per l’autunno.
Già nel 2017 si potrebbe passare alla fase 2, allargando lo studio a circa 5000 individui. Il costo di questa seconda fase sperimentale è di circa 150 milioni di dollari. Ammesso che tutto vada bene, nel 2018 potrebbe esserci un vaccino approvato.
Sarà possibile sperimentare questi vaccini in condizioni reali di epidemia? C’è l’eventualità che il picco delle infezioni si esaurisca prima che i tempi siano maturi per provare i vaccini sul campo, ossia in un territorio dove la popolazione è ad alto rischio di infezione. Ma un vaccino può diventare non testabile anche nel caso opposto: un’epidemia troppo lenta piuttosto che troppo rapida.
Un ostacolo più attuale potrebbero essere i quattrini e l’insensatezza della politica. È notizia del 7 settembre 2016 che i senatori democratici americani hanno bloccato un finanziamento di 1,1 miliardi di dollari per un piano contro zika, in una scaramuccia con i repubblicani che a loro volta stanno mettendo i bastoni fra le ruote a Planned Parenthood, una storica e meritoria associazione per il controllo delle nascite. I veti incrociati da “House of cards” avranno la meglio su ragionevolezza e salute?
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Per scrivere questo articolo ho consultato l’ottimo reportage di Siddharta Mukherjee, The race for a zika vaccine (The New Yorker, 22 agosto 2016); gli articoli di Dan Barouch sulla sperimentazione dei vaccini rispettivamente nei topi (Nature, 28 giugno 2016) e nei macachi (Science, 4 agosto 2016). Ho inoltre cercato la mappa sulle previsioni di diffusione di zika sul sito della NASA e letto sul New York Times delle baruffe sul budget del piano contro zika (7 settembre 2016). Nel disegno in apertura, il confronto fra un neonato con la testa nella norma e uno microcefalo (CDC).