Trenta documentari scientifici per quasi venti ore davanti al video: penserete che è una cosa da matti. Sarà un po’ folle, ma io non ci ho pensato due volte a dire sì quando Antonella Testa mi ha chiesto se volevo di nuovo fare parte della giuria del Festival Vedere la scienza. Del resto, l’anno scorso avevo imparato un mucchio di cose in modo piacevole e divertente. E così è stato così anche quest’anno.
A metà marzo ho ricevuto un pacco pieno di DVD, con i film da vedere a casa. Una novità rispetto al 2011, quando la giuria ha guardato tutti i documentari in due giorni fitti fitti, chiusi in una saletta della Cineteca italiana di Milano.
Ho visto i film “spalmati” in una decina di serate, con più attenzione e meno sfinimento rispetto all’anno scorso. Però il mio schermo casalingo è piccolo rispetto a quello della Cineteca e mi sono anche mancati i commenti a caldo degli altri membri della giuria: uno scambio utile a conoscere gusti, idee, preferenze delle persone con cui è necessario arrivare a una sintesi condivisa.
I documentari in concorso sono stati selezionati con il consueto rigore e l’esperienza quasi ventennale di Antonella Testa e Pasquale Tucci, direttore del Festival. La scelta è stata talmente buona che stabilire quale film premiare non è stato facile.
Il film che è piaciuto di più è stato La rivoluzione delle cellule staminali. Il documentario di Amy Hardie, Kate Doherty e Clare Blackburn è il tipico prodotto britannico che trasuda mestiere, chiarezza, misura, sobrietà. Una serie di animazioni disegnate a mano, molto semplici ed eleganti, spiegano meglio di mille parole che cosa sono le cellule staminali e che cosa possono fare. Le interviste con i maggiori scienziati del campo, fra cui Sir Martin Evans (premio Nobel per la medicina 2007), Sir Ian Wilmut (il “papà” di Dolly) e Shinya Yamanaka (lo scienziato che ha scoperto come riprogrammare le cellule adulte in cellule pluripotenti), aiutano a capire come è nata la ricerca sulle staminali e dove sta andando. Particolarmente emozionanti sono le riprese nello LV Prasad Eye Institute, l'ospedale indiano dove persone da ogni parte del mondo vengono a farsi trapiantare le cornee, a partire da cellule staminali prelevate dai loro stessi occhi e cresciute in laboratorio. La grande promessa terapeutica delle staminali è raccontata con senso di responsabilità, entro i limiti attuali e con uno sguardo speranzoso ma realista al futuro. Le domande etiche sul tema sono affidate a un dialogo fra la scrittrice Margaret Atwood e il biologo cellulare Austin Smith. Non stupisce che un documentario così ben fatto abbia ricevuto il sostegno finanziario del Wellcome Trust.
Probabilmente voi non lo sapete, ma il primo personal computer è stato inventato a Ivrea nei primi anni Sessanta da tre ricercatori della Olivetti. Neanch’io lo sospettavo, prima di aver visto Quando Olivetti inventò il PC, il documentario di Alessandro Bernard e Paolo Ceretto che si è classificato quasi a pari merito con quello sulle staminali.Il computer si chiamava Programma 101 e quando fu presentato quasi per caso alla fiera di New York nel 1964, provocò uno stupore inaudito: una piccola macchina da tavolo era riuscita a calcolare l’orbita di un pianeta! L’exploit sembrava assolutamente impossibile e molti si erano addirittura messi a cercare il cavo nascosto che avrebbe dovuto collegare la piccola macchinetta a uno dei grandi calcolatori dell’epoca, custoditi in grandi stanze dai vetri invalicabili e operati da tecnici in camice bianco. Il concetto che un computer potesse essere un piccolo strumento maneggevole, personale, di uso quotidiano era sconvolgente. Talmente sconvolgente che fu subito imitato. Le interviste a due dei tre ricercatori viventi, ancora pieni di orgoglio e di entusiasmo per la loro invenzione, sono bellissime e commoventi. In un paese più saggio del nostro, questi pensionati sarebbero persone conosciute, autorevoli, considerate (e molto benestanti). Come Bill Gates.
La traiettoria improbabile e grandiosa di un ragazzo nato nel Punjab nel 1926 ha meritato la menzione speciale ad Abdus Salam. The dream of simmetry, il film diretto da Diego Cenetiempo e dovuto al lavoro di ricerca di Giuseppe Mussardo e Luisa Bonolis. Fra i più importanti fisici teorici del secolo scorso, Salam non si è limitato a vincere il premio Nobel nel 1979, ma si è preoccupato di offrire un futuro nella ricerca e nella scienza a persone che come lui venivano da paesi poverissimi. Con questo spirito umanitario oltre che scientifico, nel 1964 Salam ha contribuito a fondare a Trieste l’International Center for Theoretical Physics (ICTP), dove si sono formati e hanno lavorato oltre 100.000 scienziati, in gran parte provenienti dal Sud del mondo. Nel film sono molto interessanti le testimonianze di una buona parte degli scienziati, molti dei quali premi Nobel, che lo hanno conosciuto. Inoltre sono belli i materiali d’archivio e le animazioni, usate per esempio per raccontare la partenza di Salam in piroscafo dall’India verso la Gran Bretagna. Uno dei ricordi più divertenti è di uno dei figli di Salam, che racconta come era stato complicato vestire il padre con il turbante e l’abito tradizionale del Punjab per la cerimonia del Nobel a Stoccolma.
Una seconda menzione speciale è andata a Vita all’inferno: i superstiti delle tenebre, per la qualità della fotografia e la capacità di fare riprese di altissima qualità in ambienti remoti e ostici. Il film, di cui potete vedere una clip a questo link, è prodotto da Mona Lisa Production, una casa di produzione francese specializzata in documentari in luoghi estremi e inaccessibili del pianeta. Attraverso immagini mozzafiato (ma non per tutti), il film mostra la potenza dell’evoluzione, all’opera in ambienti talmente inospitali che è incredibile trovarci forme di vita. Personalmente ho trovato che l’inferno del titolo e il Requiem di Mozart, seppur bellissimo come colonna sonora, siano incongrui con la storia evolutiva narrata dal film.
Ci sono altri film che mi sono piaciuti molto anche se non hanno vinto. Uno è La trama del cosmo: il salto quantico, un documentario di gran classe, con effetti speciali molto belli, una fantastica capacità di divulgazione e un presentatore di eccezione: Brian Greene. La produzione è di NOVA PBS, un marchio, una garanzia.
Un altro film molto bello è Alla ricerca del primo europeo, una produzione spagnola che è andata in giro per il mondo, in Africa, Asia e Europa, a cercare tracce dei nostri antenati, provando anche a ricostruire come vivevano, che cosa mangiavano, come si spostavano. Magnifica la vista da Gibilterra, che mostra come almeno una parte del tratto di mare che separa oggi l’Europa dall’Africa era una pianura relativamente facile da attraversare.
Infine mi hanno colpito due trasmissioni TV per bambini: Lo spettacolo con il topolino: energia nucleare e Lampi di genio in TV. La signora Curie e il segreto degli atomi. Si tratta di due film semplici, ma intelligenti. Nello spettacolo del topolino, lo storico conduttore di un programma tedesco ti porta dentro una centrale nucleare e ti spiega come funziona. Ho letto decine di articoli sul nucleare, specialmente dopo Fukushima, ma non avevo mai capito così bene come è fatto un reattore e che cosa accade là dentro. Potete vederlo integralmente su youtube (purtroppo solo in tedesco, ma le immagini dicono moltissimo).
La storia di Marie Curie è talmente interessante che, anche se è raccontata in modo un po’curioso, merita di essere conosciuta anche dai più piccoli. E comunque i piccoli di casa mia hanno apprezzato. Potete vedere il video integralmente sul sito della RAI, in italiano.
Concludo con una nota un po’ preoccupata, ma necessaria. "Vedere la scienza" è un festival di grande valore. Science ne ha parlato, citandolo insieme a pochi altri al mondo. Per tanti studenti delle scuole, i film di questo festival sono spesso il primo e a volte l’unico incontro con temi scientifici attuali e di altissimo livello. Questi incontri possono ispirare molti ragazzi e ragazze a intraprendere carriere coraggiose, di cui abbiamo bisogno. Ma un buon festival del documentario scientifico non si fa con le noccioline. Se è sopravvissuto finora, è grazie allo sforzo enorme e semi-volontaristico di pochissime persone. Quest’anno, per la prima volta da diverse edizioni, non è stato possibile invitare almeno un membro della giuria non italiano. Non è un buon segno per il futuro. Possiamo permetterci di perdere una manifestazione come questa perché mancano i soldi? Non credo.